Un mondo nuovo

Popoli indigeni


2019, Internazionale n. 1301 del 5 aprile. NON BASTA SCUSARSI CON I POPOLI INDIGENIIn un periodo poco incline alla riflessione etica, il governo del presidente messicano Andrés Manuel Lòpez Obrador (centrosinistra) ha deciso di fare un uso sociale del perdono. Ha chiesto scusa ai familiari dei cinque studenti scomparsi nel 2016 a Tierra Blanca, nello stato di Veracruz, e alla scrittrice e attivista Lydia Cacho per gli abusi subiti dallo Stato. È importante che un governo ammetta gli errori nei campi di sua competenza. Anche se l’errore risale al passato, chiedere scusa significa dire che certe cose non si ripeteranno. Ma quando si chiede a un altro paese di pentirsi, come ha fatto Obrador, che ha preteso le scuse della Spagna e della chiesa per la conquista dell’America, la situazione cambia. La conquista dell’America fu una sanguinosa impresa di spoliazione dei popoli indigeni. Ma da quando è nata la repubblica, duecento anni fa, il Messico ha proseguito sulla stessa strada. Per nascondere questo fatto, Obrador incolpa i conquistatori: il Messico è un paese ingiusto perché il capo dei conquistatori, lo spagnolo Hernán Cortés, si portò via l’oro e duecento anni non sono bastati per riprendersi. Secondo questa versione, fummo messicani al massimo dello splendore, poi fummo soggiogati e infine siamo tornati a essere messicani. La commissione che definisce quello che siamo oggi sembra non essere esistita. Organizzazioni come il Consiglio indigeno di governo, l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) e ltri gruppi hanno criticato Lòpez Obrador per essersi opposto alle comunità indigene, promuovendo progetti come il Treno maya, pensato per collegare il Chiapas con lo Yucatán  e rilanciare il turismo, il corridoio commerciale dell’istmo di Tehuantepec e la centrale termoelettrica di Morelos (a cui lo stesso Obrador si era opposto in campagna elettorale). Ha senso che un presidente estraneo ai popoli indigeni parli in loro nome davanti al papa e al re di Spagna? … Secondo questa logica bisognerebbe chiedere agli indigeni mexica di scusarsi davanti agli altri popoli nativi che hanno aggredito. Nella Relazione di Michoacán, scritta nel 1540, un nativo purépecha commenta: “I messicani sono astuti nel manipolare la verità. Non sono riusciti a conquistare alcuni popoli, e allora vogliono vendicarsi su di noi e ucciderci a tradimento”. Risalire la catena del perdono fino al primo oltraggio è inutile. La mia amica Jesusa Rodriguez, senatrice e attivista, ha detto in senato che mangiare tortillas con carne di maiale è un riferimento implicito all’assedio di Tenochtitlán del 1521, decisivo per la caduta dell’impero azteco, perché il maiale è arrivato dalla Spagna. Ha ragione, ma non penso che sia una buona idea sostituire il maiale con un parente per emulare l’antropofagia sacra delle culture preispaniche. Siamo il prodotto di una commistione, tacos con ripieni misti. A quasi cinquant’anni da Love story, è ovvio che Segal dava cattivi consigli. La passione si sbaglia e richiede scuse. La realtà è complessa e non si accontenta di parole. I popoli indigeni subiscono ingiustizie. Chiedere scusa non basta. Solo quando avremo una nazione di nazioni, in cui nessuna cultura sottomette le altre, meriteremo di guardarci in faccia.