Un mondo nuovo

L'Italia è stato un Paese di migranti


L’Italia è stato, e in parte ancora è, un Paese di migranti. Gli italiani, in varie epoche e fasi storiche, sono emigrati in Nord e Sud America, nei vari paesi del Nord Europa e in Australia, ma probabilmente non è a tutti noto che, nel periodo tra il 1876 e il 1976 circa 450.000 italiani presero la direzione del Nord Africa. Pur costituendo un fenomeno quantitativamente minore, le correnti migratorie dirette verso la sponda meridionale del Mediterraneo presentano tutte le caratteristiche che hanno giustificato l’attenzione per fenomeni analoghi, ovvero: lunga durata, osmosi culturale, creazione di insediamenti complessi e duraturi, diversificazione sociale e intensi rapporti di vicinato con la società ospite.L’origine del fenomeno si può far risalire addirittura all’epoca mercantile, in conseguenza dei rapporti che, soprattutto Genova e Venezia, intrattenevano con l’Impero Ottomano. Successivamente, questi primi nuclei si arricchirono grazie all’arrivo, a partire dal 1600, di gruppi di ebrei sefarditi da Livorno e di persone rapite dai pirati barbareschi fino all’inizio del 1800. Nel corso dello stesso secolo e poi durante il periodo del fascismo, vi fu l’arrivo di esuli politici che si intersecarono con lavoratori provenienti da varie regioni italiane e che trovarono lavoro nei settori della pesca, dell’industria mineraria, dell’edilizia e dell’agricoltura. L’afflusso di proletari e persone in cerca di lavoro fu legato principalmente alla fase di realizzazione di opere pubbliche da parte dei paesi colonizzatori e coinvolse soprattutto popolazione proveniente dalla Sicilia e dalle regioni meridionali.Per quanto riguarda i caratteri dell’emigrazione nei singoli paesi, la Libia costituisce un caso a sé, in quanto, essendo questo Paese l’unica colonia italiana in Nord Africa, l’afflusso di popolazione fu programmato dallo Stato e legato alle vicende del colonialismo italiano. Per gli altri paesi, è significativa soprattutto la vicenda tunisina ove s’insediò la comunità italiana più numerosa e più composita, la quale riuscì a raggiungere una notevole influenza economica e culturale, pur non essendo la Tunisia una colonia italiana.Anche l’Egitto è stato sede di un’influente comunità italiana che in occasione della costruzione delle grandi opere pubbliche, come il Canale di Suez e la diga di Assuan si allargò a fasce di popolazione più popolare. La presenza italiana in Algeria è invece molto legata alla vicenda del colonialismo francese che qui ebbe inizio già a partire dal 1830. Una comunità italiana è stata presente anche in Marocco pur se di dimensioni più contenute rispetto a quelle degli altri paesi dell’area.Come si diceva, il caso tunisino è stato quello più significativo. A tale riguardo, si è calcolato che nel 1938 la presenza di italiani poteva ammontare ad un numero compreso tra una stima minima di 131.516 e una massima di 194.000. In questo Paese la comunità italiana raggiunse una notevole influenza e fu capace di creare istituzioni economiche e culturali molto importanti. Tra queste si segnalano un ospedale, scuole, la società di carattere culturale “Dante Alighieri” che diede grande impulso alla diffusione della cultura italiana. Da punto di vista dell’origine e della composizione sociale, i connazionali presenti in Tunisia provenivano soprattutto dalla Toscana, per quanto riguarda la componente dei ceti borghesi legati alle professioni liberali, e dalla Sicilia e la Sardegna, per la componente popolare, costituita prevalentemente da operai, contadini e minatori.La Tunisia fu anche una delle mete di esilio per molti patrioti risorgimentali che, a partire dai moti del 1821, al fine di sfuggire alle repressioni messe in atto dai regnanti degli Stati italiani preunitari, soprattutto dal Regno delle due Sicilie, si recavano in questo Paese. Fu anche grazie al loro contributo che prese impulso la diffusa attività editoriale e la pubblicazione di giornali in lingua italiana.In Egitto, l’incremento più significativo della presenza italiana lo si ebbe in occasione della costruzione del Canale di Suez, a partire dal 1859. Si trattò di un’emigrazione di persone fortemente qualificate (professionisti, tecnici e militari), rappresentanti delle cassi superiori, le quali ebbero un ruolo importante nel processo di modernizzazione dell’Egitto.  Anche in Egitto sono numerosi i segni lasciati dalla presenza italiana nel campo dell’architettura, della medicina e dell’economia, grazie al ruolo svolto dal Banco di Roma. Il livornese Ciro Meratti creò ad Alessandria d’Egitto un primo servizio postale con l’Europa, poi acquisito dallo Stato. In Egitto, come in Tunisia, almeno fino al 1870, la lingua ufficiale dell’amministrazione postale fu l’italiano. In campo militare, l’attrezzatura dell’arsenale di Livorno contribuì alla formazione iniziale della flotta egiziana e molti esuli delle rivoluzioni del 1820/21 diventarono ufficiali dell’esercito egiziano.In Algeria, le prime presenze di italiani, fino all’inizio dell’ottocento, furono legate a processi simili a quelli osservati per la Tunisia e l’Egitto; si trattava di gruppi di ex schiavi affrancati e dei rappresentanti della comunità ebraica livornese. Prima dell’Unità d’Italia arrivarono anche gli esuli sfuggiti alle repressioni seguite alle insurrezioni risorgimentali e, a differenza degli altri paesi dell’area, con la colonizzazione francese, già a partire dall’inizio degli anni trenta, dell’Ottocento, cominciarono ad arrivare muratori e lavoratori, soprattutto dal Piemonte e dalla Toscana.In Marocco, i primi nuclei di italiani si insediarono intorno agli anni Ottanta del Settecento, grazie agli accordi commerciali che i regnanti locali avevano stipulato con la repubblica di Genova, prima e con il regno di Sardegna poi. In ogni caso, in questo paese, allo sviluppo delle attività commerciali non corrispose la formazione di una collettività italiana significativa ed influente, come negli altri paesi nordafricani.La presenza italiana in Libia è legata soprattutto alla fase coloniale, nel cui ambito, nel 1930 fu fatto un primo tentativo di trasferire 500 famiglie che ebbe scarso successo. Successivamente, quando Italo Balbo si insediò come governatore, furono espropriati 70.000 ettari di territorio – suddivisi in lotti compresi tra i 10 e i 50 ettari – al fine di trasferire altri 20.000 coloni. Su tali basi, il 28 ottobre 1938, XVI anniversario della marcia su Roma, da Genova e da Napoli partirono le prime 1.775 famiglie, composte da 14.663 persone. L’anno successivo furono ancora inviate 1.358 famiglie composte da 12.000 componenti.Gli esiti della seconda guerra mondiale e la fase di decolonizzazione a questa seguita, provocarono la scomparsa delle comunità italiane che si erano insediate in Nord Africa.Questo evento, molto spesso traumatico e inaspettato per coloro che ne furono vittime, provocò una frattura nella memoria e una dilacerazione nelle identità che non sono stati ancora pienamente compresi e rielaborati. Oggi, che invece il flusso migratorio avviene nella direzione inversa, vediamo che suscita tante reazioni scomposte e spesso anche aggressive da una parte della classe politica e dell’opinione pubblica italiana e europea. Tuttavia, se guardiamo con lucidità all’esperienza sopra descritta, si può dire che quando lo spostamento di popolazioni non ha carattere violento – finalizzato all’assoggettamento di altri paesi e comunità – produce scambi e commistioni che fanno bene e arricchiscono sia chi accoglie che ci è accolto.In questa fase, l’Italia e l’Europa dovrebbero essere capaci di affrontare il cosiddetto problema dell’immigrazione con razionalità e lungimiranza, al fine di evitare i drammi e le lacerazioni vissute dagli italiani e per fare in modo che la ricchezza e le potenzialità che il fenomeno porta con sé possano pienamente dispiegarsi (Carmine Miglino, Che vi do!, n. 94, dicembre 2019).