Un mondo nuovo

Roberto, l'Angelo invisibile di Milano


In ogni città ci sono angeli buoni che fanno la differenza, aiutano i poveri, cambiano in meglio la vita a chi è in difficoltà. A Milano c’era una volta un Angelo invisibile, uno che a un certo punto dell’esistenza si è ricordato di dover restituire qualcosa di quel che aveva ricevuto. Agiva e scompariva, lasciando alla gratitudine il segno di una presenza che sembrava piovuta dal cielo. Leggeva sul Corriere cronache disperate di uomini e donne calpestati dalla vita, e subito si materializzava portando un aiuto concreto, una somma per estinguere un debito, il vitalizio per un giovane immigrato che non poteva manteenersi agli studi, il necessario per pagare l’affitto a una pensionata insolvente, la garanzia di una cura per malati soli. Di questa presenza hanno beneficiato in tanti, senza mai conoscere il suo nome. Angelo invisibile è una definizione impropria: gliel’ho data io in un articolo per raccontare queste cronache del bene e rilanciare il suo messaggio: ‹‹Se soltanto chi è nella mia condizione di benestante rinunciasse a quello che avanza oltre al superfluo, avremmo risolto tanti drammi e casi umani, non solo a Milano, ma in Italia. Il valore dei gesti che facciamo è proporzionale a quello di cui ci priviamo per farli››. Un giorno mi ha chiamato per una rettifica: ‹‹Non sono un Angelo, ma un cittadino che fa il proprio dovere. Chi ha di più deve aiutare chi ha di meno››. Ma ormai quel titolo gli era rimasto cucito addosso. Tutti chiedevano un aiuto dall’Angelo di Milano. Così ha creato una Fondazione e l’ha chiamata Condividere. Poi si è appoggiato ai centri di ascolto della Caritas, per filtrare le richieste. E qui ha continuato ad aiutare gente, con la supervisione di un altro Angelo, come don Virginio Colmegna. Due mesi fa, all’improvviso ha rotto ogni indugio e ha rivelato il suo nome. Scrivilo pure, ha detto: ‹‹In un momento in cui una parte non trascurabile del Paese e una certa politica mostrano il lato peggiore, vuol dire che è venuto il momento di uscire allo scoperto e testimoniare››. L’Angelo, pardon, Roberto, lo fa dopo 16 anni di rigoroso anonimato in cui ha sostenuto, tra l’altro, anche l’operazione missionaria Mato Grosso, in Perù. Uscire allo scoperto non è stato facile. Qualcuno potrebbe accusarlo di incoerenza o malcelato esibizionismo: la bontà, si dice, per essere autentica ha bisogno della discrezione e del silenzio. Lui risponde così: ‹‹In questo momento bisogna esporsi e sollecitare altri come me a farlo››. Dieci mesi fa ha pubblicato sul Corriere una lettera aperta al governo, dopo gli anatemi sugli immigrati in mare, ‹‹Io sto dalla parte degli esseri umani››, ha scritto. Da un mese va nei quartieri di Milano a dare lezioni sul risparmio, per evitare ai cittadini, spesso anziani, sorprese sgradevoli con banche e finanziarie. ‹‹Vedo una società impaurita e la paura spinge la gente a difendere quel che gli è rimasto››. Dieci giorni fa è intervenuto per pagare il trasporto di un giovane tetraplegico: il Comune ha tagliato metà dei fondi e la famiglia non poteva sostenere i costi per mandarlo con il pullmino speciale a scuola. ‹‹Non sono un eroe, in questi anni penso di aver ricevuto molto di più di quel che ho dato››, ripete. Ma per le nostre buone notizie, rimane un Angelo (Giangiacomo Schiavi, Scarp de’ tenis, febbr. 2020).