Un mondo nuovo

Di che cosa?


2020, FC n 15 del 12 aprile. NEL TEMPO DEL CORONAVIRUS.Sono un medico in un reparto di Medicina Interna della Lombardia. In questo periodo il nostro ospedale  è in prima linea nella lotta al coronavirus e i pazienti ammalati di questa nuova malattia hanno riempito il reparto. È una situazione inaspettata, grave, che ha distrutto tutte le nostre certezze, la nostra organizzazione. Abbiamo visto sgretolarsi i nostri reparti così come erano fino a qualche settimana fa, per cercare di rimodellarli e ricostruirli ogni giorno in modo diverso, per fare più spazio ai letti per i malati di coronavirus, per aggiungere attrezzature e respiratori che non bastano mai, per provare nuovi farmaci che non conoscevamo e di cui ancora non sappiamo il reale effetto sulla malattia. Abbiamo fatto cose che non pensavamo di saper fare, ci siamo resi conto di quanto poco sappiamo fare. Oltre che dal punto di vista fisico e strettamente medico, questo nemico sta colpendo e uccidendo anche la nostra umanità. Sta spaccando i rapporti umani. I nostri pazienti sono isolati, rinchiusi, per evitare che il virus si diffonda. Questa malattia ci impedisce il contatto umano tipico del rapporto fra medico e paziente. I parenti non possono entrare. Le notizie vengono date solo da lontano, tramite telefono. Le persone ti guardano e ti chiedono con lo sguardo parole che tu non sai dare. Hanno sulla faccia rumorose maschere per l’ossigeno, hanno la testa dentro caschi che forniscono loro aria sotto pressione. I pazienti soffrono da soli. I malati muoiono da soli. Senza la vicinanza e il conforto dei propri cari. Senza un sacerdote che possa portare loro un sacramento. Senza qualcuno che possa tenere loro una mano o dire una parola di conforto. Neanche un sorriso possiamo dare loro, perché la mascherina che indossiamo nasconde ogni espressione del nostro volto. È proprio questa la cosa più straziante. E ti chiedi: cosa posiamo fare noi per loro, dal punto di vista umano?Ieri ho fatto il turno di notte, e ho visto morire due persone. Da sole. Ho avuto il duro compito di avvisare i parenti, per telefono, per dare la notizia. Erano 15 giorni che non vedevano più il loro caro. E non avrebbero potuto rivederlo nemmeno adesso. Anche loro erano in quarantena per il contagio. Mi hanno anche ringraziato. Di che cosa? Non so dirlo. È stato in quel momento che di fronte al malato, appena deceduto, mi è venuto spontaneo fare un gesto che mi è venuto da dentro, un segno di croce su di lui… un gesto che assomigliava tanto a una benedizione. Una benedizione non di un prete, ma di un medico, di un uomo a un altro uomo, di un cristiano a un suo fratello. E poi mi sono chiesto: può un medico dare una benedizione? Può un uomo benedire un altro uomo in nome di Dio? Non so se qualcuno può darmi una risposta. Non so se questo gesto possa avere avuto un valore. Ma è successo. Anche questo succede in questi giorni nei nostri ospedali, al tempo del coronavirus. E forse succederà ancora, domani. – dott. RobertoDio è amore e noi suoi figli, per essere veramente tali, non possiamo che amare. Lì è Dio! Anche nel gesto di benedizione di un medico. In forza al battesimo, infatti, anche i laici possono benedire, in particolari circostanze come questa del coronavirus: si può benedire chi sta soffrendo o è vicino alla morte; ogni cristiano è chiamato a benedire, se è battezzato può farlo. Compiono così un segno di fede per loro, ha risposto Antonio Rizzotto alla lettera.