Un mondo nuovo

Ho sconfitto la droga


2020, Avvenire 13 aprile. Coronavirus. La storia di Matilde da ex tossicodipendente a Oss«Ho sconfitto la droga a Rogoredo. Ora sono in corsia contro il Covid»È una malattia bastarda. Annaspano per respirare, vogliono vivere… sanno come potrebbe andare a finire. Sono lucidi, cercano di mantenere il controllo, capiscono che più si agitano peggio è. È come vederli annegare. C’è tanta solitudine, e ci si affeziona. Ho visto 15 persone morire. Ho prestato il telefono per chiamare casa, dopo averlo disinfettato ovvio. I famigliari vengono fatti venire nell’ora estrema… Abbiamo chiamato dall’ospedale la figlia di un uomo che stava morendo. Lei non è venuta, aveva una bambina di un anno. Capisci? Ha dovuto scegliere tra proteggere sua figlia e vedere suo padre.E tu hai paura di ammalarti o di trasmettere il virus a tua volta a chi ti sta vicino? Al di là dei doppi guanti, mascherine doppie, tuta e visiera, io ho da sempre paura del contagio. Ho iniziato con le canne a 15, a 17 ero già all’eroina, tra le tante altre sostanze che ho sperimentato: per vent’anni ho sempre evitato accuratamente di riutilizzare le siringhe per la paura dell’Aids. Un anno fa sono uscita dal Bosco ed entrata in comunità (di Fondazione Eris).Sono uscita dalla comunità a metà febbraio e dopo un periodo di quarantena sono entrata in subito in servizio in ospedale come Oss: reparto Covid, rianimazione. A dire la verità mi avevano chiamato a gennaio, quando ero ancora in comunità, perché c’era stata un’impennata anomala di casi di polmoniti interstiziali.C’era già il coronavirus in quel periodo? Non sono io a dirlo, ma più di un medico. Di sicuro c’era qualcosa che non andava. Adesso la situazione è un po’ più sotto controllo, ma ci sono stati momenti veramente duri, con arrivi continui.Dal Bosco della droga al reparto Covid. Una vita in guerra. Una vita in guerra, fino a ieri con me stessa per nemica. Ora però combatto per le vite degli altri. Ma non mi considero una tosta. È vero piuttosto il contrario: ho sempre sostenuto una doppia parte nella vita finché ho potuto: figlia di una famiglia perbene, ribelle determinata a fare di testa mia, studio, lavoro, l’eroina da cercare (una volta si andava a Lambrate e in Ripamonti, adesso a Rogoredo), così finché entrambi i ruoli sono diventati un peso insostenibile, e sono stati spazzati come polvere dall’eroina. Ho vinto il concorso come operatrice socio sanitaria nel 2015, ma non mi hanno chiamata finché non è scoppiata quest’emergenza. Nel frattempo ero diventata una presenza fissa del Bosco, dal mattino alla sera. Mancava solo che dormissi lì. La dignità non l’ho mai persa, ma questo non basta a non farti sentire il peso del fallimento. Anzi.Cosa ricordi del Bosco e cosa ricorderai di questo periodo in corsia? L’ultimo giorno, febbraio 2019. Ero scesa in stazione, il solito viaggio. C’era una ragazzina che non si reggeva in piedi, l’ho aiutata a rialzarsi e l’ho portata fino al banchetto all’inizio del Bosco dove davano da mangiare e bere. Era persino più magra di me. Mi sono messa a piangere, i ragazzi del “Sollievo” di Lambrate mi hanno abbracciato, e sono andata via con loro. Ricordo quella ragazzina come me un tempo, non l’ho più vista. Poi ricordo gli occhi azzurrissimi di una signora toscana che mi cercavano dal letto di ospedale dicendomi: “toh è arrivata mia figlia!”, per scherzo, ma mica poi tanto. La battuta sempre pronta fino all’ultimo, una vera toscana.Quanto a me, ho imparato che dipendenza è una malattia e non una colpa, e penso anche che anche questo virus è come la dipendenza: non c’è un farmaco per curarla, non ancora perlomeno, e può essere fermato solamente adottando determinati comportamenti. Penso a questo, e all’aiuto che ho ricevuto, e che ora sto tentando di restituire. E cavolo, credo proprio che se non mi fossi fatta ritirare la patente dalla polizia, ora sarebbe più facile andare al lavoro.