Un mondo nuovo

Rimpianto


LE CONFIDENZE DI MARIA JOSE’ DI SAVOIA – Il rimpianto della Regina, partigiana mancata. Mentre era in Svizzera, nel 1943, alla consorte di Umberto II, ultimo sovrano d’Italia, fu offerto il comando di una brigata. Lei dovette rifiutare. Il ritorno in Italia, a piedi, nell’aprile 1945. ‹‹Il mio solo rimpianto? Non aver preso parte attiva alla Resistenza. Non avevo paura, sono nata sotto il segno del Leone… Libertà!››. Gli occhi azzurri di Maria José, l’ultima regina d’Italia, si illuminavano per poi spegnersi nella malinconia. Era il 1994 quando chi scrive, Luciano Regolo raccoglieva a Cuernavaca (Messico), dove, all’epoca, viveva. Maria José, scomparsa quasi un ventennio fa, si riferiva alla proposta di assumere il comando di una brigata partigiana che le giunse dopo un infruttuoso tentativo con Umberto, il marito, bloccato dal diniego paterno. Dall’armistizio dell’8 settembre 1943 si trovava in Svizzera, controllata dal Governo elvetico, che voleva mantenere la propria neutralità, ma anche dalle spie nazifasciste, e già dal dicembre seguente si era recata sempre più spesso a Chiasso, incontrando partigiani come Edgardo Sogno e Aldobrando Medici Tornaquinci. Portava loro di nascosto denaro, persino piccoli carichi di armi, sale e generi di prima necessità. Il sistema era semplice, per quanto rocambolesco: lasciava bagagli ai depositi delle stazioni di confine, oppure in località montane intermedie, dove veniva raggiunta dalle ‹‹staffette››.E proprio dai partigiani, anche di orientamento comunista, come alcuni inviati da Cino Moscatelli, riceve l’invito ad assumere il comando onorario di una o più brigate, per incoraggiare gli animi di molti combattenti a proseguire nella dura lotta. Una notte, nei dintorni di Lugano, raccontava la “regina di maggio”, una staffetta venne addirittura a prelevarla, insistendo a lungo perché tornasse in Italia. Alla fine rifiutò e questo, ripeteva lei, oramai anziana, restava il suo ‹‹unico e più grande rimpianto››. La trattennero il pensiero dei figli ‹‹ancora troppo piccoli per restare orfani›› e gli avvertimenti dei consiglieri come il marchese Resta di Pallavicino: ‹‹Se va in qualunque posto con i badogliani o con altri, i tedeschi lo verranno a sapere e bombarderanno il luogo dove lei si trova. Io mi sentivo responsabile non solo verso i miei figli, ma anche verso tutti gli italiani ai quali un mio gesto impulsivo poteva costare caro››.Il 29 aprile 1945, occhiali scuri, calzoni alla zuava, scarponi chiodati e zaino da alpinista, Maria José, da sola, si mette in marcia per tornare in Italia. I suoi bambini li lascia a Glion, affidandoli alle cure della contessa Vittoria Scarampi di Viry e di Mario Nardi. Lasciata l’auto a Martigny, dove rimase Resta di Pallavicino, colpito da un attacco di ulcera, proseguì in cammino sulle vette delle Alpi. Dopo tre ore arrivò a Bourg Saint Pierre e fece una sosta dai monaci del Gran San Bernardo. Lì si offrirono di accompagnarla l’abate monsignor Neston Adam e Alberto Deffeyes, che era stato il suo maestro di sci. Passato finalmente il confine, i tre trovarono un’auto ad attenderli, ma anche un inaspettato corteo di giovani partigiani in motociclette che, fucile a tracolla, intonarono Bella ciao e altre canzoni comuniste. Erano i ragazzi ‹‹rossi›› che scortarono Maria José sino ad Aosta (Luciano Regolo, FC n. 16 del 19 aprile 2020).