Un mondo nuovo

La michetta condivisa


A Pinocchio si è allungato il naso a furia di bugie, a me per il piacere, di lunga data, dell’”allungare” il naso e sniffare la fragranza del pane fresco uscire dalle panetterie. Una volta ondeggiavo risoluto e allegro fra i tavoli di un ristorante facendo il cameriere e, tra le mie mansioni, era quella di recarmi dal mugnaio a prendere le farine per la preparazione delle paste – tagliatelle, tagliolini, agnolotti eccetera.Un giorno arrivo al mulino e vedo il mugnaio sconsolato. Che c’è, gli chiedo.Mah, le farine sono diverse. Anche i grani forse. Hanno aggiunto questo e quello per accelerare lievitazione e cottura, degli enzimi. Sì, i panettieri lavorano meno duramente, però…In effetti, da quel momento coinciai a notare in Piemonte a lenta scomparsa dei pani, delle forme e dei profumi cui ero abituato: la grissia, l monferrina, il libretto e altri, tutti di pasta dura. Questo mi ha rattristato. Nella stessa misura, tuttavia, uguale e contraria, rallegrano le iniziative, e senza contare ciò che vi sta intorno. Ah, il pane! Che meravigla. Sulla michetta, lunga fu la disputa tra quella piena e quella vuota: qual è la più buona? Questioni di lana caprina: tutt’e due, dico io, anche se un’artigiana di via Pola, venuta dal Veneto, ne faceva una de secondo tipo, vuota ma piena di sapore, della cui mollica ricordo ancora la consistenza e che ancora adesso mi sogno. E fuori dal negozio, prima di ricevere il capogiro, entrando – una specie di sindrome di Stendhal – andavo, allungavo il naso e fiutavo dall’esterno, di là dalla vetrina, cercando di attribuire le venature del profumo a ciascuna delle forme esposte. E il naso si allungava, si allungava nell’impossibilità del compito. Pensare che certuni il pane non lo mangiano per scelta, e pensare che per altri è alimento base e se manca manca tutto. Pensare che il piccolo Anatolij Kuznecov, scrittore ucraino come Gogol’, si vide costretto a triturare le castagne matte, amare e aspre e di solito immangiabili, perché la guerra aveva tolto il pane. Il non ancora scrittore mangiava castagne matte sognando il pane. Molti sognano il pane. So che è anche metafora del nutrimento e della bontà, una bontà che rimbalza dalle papille gustative allo spirito e all’anima: buono come il pane. Il pane è con noi generoso. Nutre. Per giunta lo si può farcire. E costa poco. Ma, chiederebbe l’innocente, e non il bamba ma il bambino, quanto costa essere buoni come il pane? (Fabio Marco S., Che vi do!, periodico n. 93 del Luglio 2019).