Un mondo nuovo

Vorrei che ci fossero tanti medici così


2020, Giangiacomo Schiavi, Scarp de’ tenis maggio-giugno. CORONAVIRUSVorrei che ci fossero tanti medici così, come il giovane specializzando che si è offerto di sostituire i colleghi di una casa di riposo in provincia di Roma, tutti contagiati dal Covid-19, e per questo costretti ad abbandonare i loro assistiti nel momento più duro della pandemia. Quando l’hanno intervistato in tv, in cerca forse di qualche denuncia sulle inadempienze della direzione e della politica, ha spiazzato tutti con queste parole: ‹‹Ho avuto il privilegio di fare un’esperienza straordinaria. Dagli anziani, dai malati di Parkinson, da chi era impossibilitato a muoversi, ho ricevuto una lezione di vita e di storia. Mi hanno raccontato gli orrori della guerra, la loro Resistenza, il coraggio di fare certe scelte in anni terribili, la fame, la paura, la felicità per la pace che ha portato tutti nelle piazze. Parlavano con orgoglio di un Paese che è il nostro, di sofferenza e di riscatto e qualche volta mi hanno fatto piangere. Grazie, grazie, ho detto più volte, non sapevo nulla di quei giorni e non dimenticherò mai questa lezione di storia e di umanità››.Vorrei che ci fossero tanti medici così, anche come il dottor Luigi Cavanna, primario di oncologia all’ospedale di Piacenza, che le vite degli altri le ha salvate perché ha messo in piedi una squadra di pronto soccorso a domicilio nei giorni in cui di coronavirus si moriva in ospedale: non c’era posto e se avevi più di ottant’anni ti lasciavano fuori dalle terapie intensive. Lui non ha avuto paura a presentarsi con la mascherina a casa di malati e malate nei paesini isolati anche dai medici di famiglia. Prima si era offerto volontario al pronto soccorso del suo ospedale: un inferno. ‹‹Ho pensato che sarei stato più utile curando le persone a casa, evitando la corsa spesso inutile verso l’ospedale. È andata bene, abbiamo evitato altri morti, ma la cosa più bella che mi porto dentro è la gratitudine degli anziani che si sono sentiti accuditi, con la cura hanno avuto anche quello che mancava di più: l’ascolto››. Sono esempi che danno un senso alla vita e a una professione. E che diventano copertine dei giornali stranieri. Cavanna è finito su Time, con Francesco Menchise, medico della terapia intensiva dell’ospedale di Ravenna. ‹‹Lavoratori coraggiosi che rischiano la vita per salvare la nostra››, ha scritto il corrispondente del settimanale americano. Non dovrebbe essere un’emergenza, una crisi o una pandemia a dirci che la sanità non è una catena di montaggio, che l’ospedale non è un’azienda, che il medico non è un customer satisfaction. Non si può ridurre la salute a un calcolo sui costi e i benefici. Non l’ha fatto Chiara, 43 anni, rianimatrice al neurologico Besta di Milano. Quando ha saputo che la terapia intensiva dell’ospedale di Lodi, era in crisi, ha fatto una scelta istintiva: ‹‹Vado dove c’è bisogno, siamo medici proprio per questo››. Dietro tanti sguardi che straziavano il cuore ha trovato altre colleghe come lei, capaci di dare fiducia e speranza. E quando è tornata nel suo reparto ha detto che dopo certe esperienze non si può più essere normali. ‹‹Prima dei diritti e dei doveri viene il bisogno di aiuto. Il Covid ce lo ha tragicamente ricordato››. Vorrei che ci fossero tanti medici così. Ma forse ci sono, e non ce n’eravamo accorti.