Un mondo nuovo

Le cause di questa caduta?


2020, FC n. 49 del 6 dicembre. LA PANDEMIA FA PROSPERARE LA CAMORRAIntervista a don Aniello Manganiello, parroco a Scampia. «Mi sono ritrovato davanti un quartiere ancora più degradato», spiega don Aniello «i ragazzi – di oggi - hanno perso il senso della giustizia e della denuncia». Quando lo raggiungiamo al telefono, don Aniello è impegnato a pitturare le panchine dell’Oratorio «L’ultima volta le avevo verniciate sempre io undici anni fa», racconta il sacerdote campano, 66 anni. «Ho anche tagliato un po’ di rami, domani fisserò le reti del campo da calcio». Da quando è tornato a Napoli, nella “sua” Scampia, don Aniello si è rimboccato le maniche e si è messo subito al lavoro. Era arrivato da parroco nel 1994. Da allora, per sedici anni, ha lottato al fianco degli abitanti del quartiere, degli emarginati, delle famiglie più bisognose, dei ragazzi sbandati, portando avanti quelle che lui chiama “battaglie di civiltà”, contro la camorra, l’illegalità, in nome del Vangelo.A settembre del 2010, per decisione dei suoi superiori, è stato allontanato da Scampia, mandato a Roma, dove però è rimasto pochi mesi. Don Aniello si è poi trasferito nel Comune di Camposano, a casa di sua madre, per poter essere vicino a Napoli e non rompere il legame con i suoi ex parrocchiani. Nel frattempo, non si è mai fermato: nel 2012 ha fondato l’Associazione “Ultimi contro le mafie e per la legalità”, con presidi in molte regioni, si è dedicato alla scrittura. Poi, a giugno scorso, la decisione della Congregazione dei padri guanelliani di rimandarlo a Scampia. A settembre, don Aniello è tornato come responsabile dell’oratorio, al fianco dell’amministratore parrocchiale don Domenico, 39 anni. «In realtà, io non sono mai andato via. Ho sempre continuato a seguire l’associazione calcistica Oratorio don Guanella Scampia, che ho fondato non appena sono arrivato come parroco nel 1994. Mi preoccupava molto vedere i ragazzi del quartiere preda della malavita, degli influssi fascinosi della camorra che qui funziona come ammortizzatore sociale e dà lavoro, un’azienda che non è mai in perdita. Quest’anno abbiamo iniziato con dodici squadre, dai bambini bati nel 2015 ai ragazzi nati nel 2000. Nella promozione, la nostra prima squadra, si possono iscrivere anche giocatori più grandi. Ma con il nuovo lockdown ci siamo dovuti fermare». Portare via i ragazzi dalla strada, attraverso il calcio, è sempre stata la sua battaglia. «Questo territorio è segnato da una grave dispersione scolastica e senza un titolo di studio, senza una formazione, quando arrivi a 18 anni finisci per fare il muratore, o il garzone di bottega, o vai in giro a portare il caffè». Don Aniello racconta di aver trovato il quartiere in condizioni ancora peggiori di come lo aveva lasciato. «Nei giovani qui non c’è più il sentire forte dell’importanza della legalità, della denuncia, della reazione. Trovo assuefazione, un grande disimpegno. Il Covid-19 ha fatto la sua parte. Delinquere, imbrogliare, rubare, non pagare le tasse, aggirare le leggi, farla franca: tutto questo non è più visto come un problema. Prima degli allenamenti di calcio, prendo i ragazzi da una parte e per un quarto d’ora parlo loro di questi temi: sembra che per loro io parli di cose dell’altro mondo». Le cause di questa caduta?«Scampia ha vissuto un’enorme emorragia giovanile: i diplomati e laureati se ne sono andati per trovare lavoro altrove, e questo ha provocato l’impoverimento culturale e sociale del tessuto umano. Chi non ha studiato, qui non trova lavoro, si deve arrangiare come può. Tanti si sono dati ai furti, in particolare delle auto: attività comuque legate alla camorra locale. Lo spazzio continua, anche se in modo più nascosto, spesso nelle case». Prosegue il sacerdote: «Ho trovato un quartiere sporco, pieno di rifiuti. La pandemia ha contribuito al degrado sociale, la crisi economica ha costretto tante famiglie a chiedere prestiti alla camorra, che ha approfittato per aumentare lo strozzinaggio e l’usura, tenendo in scacco giovani e famiglie, costretti a delinquere. Qui buona parte degli abitanti lavora in nero: con il lockdown, senza un contratto regolare, la gente si è ritrovata senza niente. Con l’Oratorio Don Guanella ci siamo attivati per dare sostegno ai bisognosi. Ma il Covid-19 ha reso molto più grave la situazione e prospera la malavita. Come si fa a parlare di legalità e giustizia a famiglie che non hanno da mangiare?».