Un mondo nuovo

Una pastorale nuova


2021, FC n. 15 del 11 aprile. Il coraggio di scommettere su una pastorale “nuova”È tempo di cambiare. È precisamente tempo di cambiare mentalità pastorale. Quella ricevuta non è più all’altezza del cambiamento d’epoca con il quale tocca fare i conti. Per la comunità cristiana è questo un passo urgente e vitale allo stesso momento così scrive Armando Matteo facendosi portavoce e interprete di una esigenza che sembra avvertita da tutti ma che, ho paura, stia diventando un mantra che non andrà oltre la ripetizione di intenti che non troveranno attuazione concreta nelle nostre Chiese locali.In realtà l’impressione che ho è che non vediamo l’ora che passi questa pandemia per tornare a fare le stesse cose di prima rattoppando il tessuto connettivo tradizionale. Manca il coraggio di scommettere finalmente sul “nuovo” di cui c’è urgente bisogno per seminare il futuro di una Chiesa che ritrovi se stessa in quello che Chi l’ha pensata e voluta le ha consegnato per svolgere la sua missione di «segno e strumento di salvezza per tutto il genere umano».La domanda allora diventa: come cambiare? E non credo che la risposta la possiamo trovare nella confusione delle lingue delle nostre discussioni pastorali dove finiamo per affogare nelle nostre parole. Credo piuttosto che sia giunto il momento di farci “schiaffeggiare” dalla Parola e, in particolare, dal Vangelo per svegliare la nostra coscienza di pastori e per sollecitare quella di quanti “vogliono” essere cristiani, non ognuno a modo suo ma secondo quello che Cristo chiede ai suoi discepoli. In altre parole, il cambiamento lo dobbiamo cercare in quello che Gesù dice a proposito della sua Chiesa.Che cosa significa, per esempio, «Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13-14) se non l’abbattimento della preoccupazione del quantum che ha da sempre condizionato e continua a condizionare la nostra pastorale? E che cosa significa «trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» se non la revisione radicale della cosiddetta religiosità popolare che continuiamo a far passare come espressione della fede della nostra gente quando invece è per lo più la sagra dell’idolatria e quasi dappertutto è diventata uno strumento di potere per i politici di turno quando non lo è addirittura per la criminalità organizzata?Ma vorrei richiamare l’attenzione soprattutto su un aspetto che a me sembra di importanza capitale. La nostra pastorale si regge ancora su un’impalcatura che abbiamo costruito non ex verbis Christi ma ex silentio. Parlo in particolare della vita sacramentale. Nel Vangelo e negli scritti neotestamentari non c’è traccia del fatto che i sacramenti siano destinati ai piccoli non ancora in grado, evidentemente, di ascoltare e accogliere consapevolmente e liberamente la Parola che chiama alla conversione, condizione fondamentale per accedere alla vita sacramentale se è vero quello che scrive, per esempio, l’evangelista Marco: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16). Noi viaggiamo ancora sulla lunghezza d’onda della fede parentale in forza della quale chi nasce da genitori cristiani (?) appartiene alla Chiesa fin dalla nascita. Non è la fede che Gesù chiede ai suoi discepoli, che è personale e che va scelta tenendo presente quello che comporta: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,17).Come cambiare, dunque? Sono prete da 46 anni e confesso che la mia più grande sofferenza la vivo quando, celebrando i sacramenti, so in partenza che tutto si risolve in una sorta di recita dove alle domande si deve rispondere con un sì che rimane sulle labbra e non è penetrato nel cuore. Il giorno in cui potremo celebrare il battesimo per coloro che liberi e consapevoli sceglieranno Cristo, quello sarà il segno concreto del rinnovamento di cui abbiamo bisogno – Lorenzo B..