Un mondo nuovo

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Gianfranco Ravasi, FC n. 46 del 14 novembre 2021‘adam/’adamah, il significato di base è il colore «rossiccio» dell’argilla della terra da cui l’uomo è tratto, che, tra l’altro, si connette allusivamente anche a dam, «sangue» a causa del colore rosso.  Innanzitutto il tema della libertà: l’uomo è posto sotto l’albero simbolico della «conoscenza del Bene e del Male», ossia delle libere decisioni morali. Egli può ricevere dal suo Creatore il frutto di quell’albero, cioè il dato oggettivo del Bene e del Male; oppure, come purtroppo farà, lo afferrerà e ruberà, decidendo lui soggettivamente l’etica, ciò che è vero, giusto, buono o falso, ingiusto e cattivo. È il cosiddetto «peccato originale», il voler essere «come Dio conoscitori del Bene e del Male».  Noi siamo rivolti verso l’alto, cioè a Dio da cui riceviamo la vita, e verso il basso, cioè alla terra da «coltivare e custodire» e agli animali a cui dare il nome che li definisca. Ma la perfezione è raggiunta con uno sguardo orizzontale che è la terza relazione, quella con l’«aiuto che gli corrisponda», «che gli stia di fronte», faccia a faccia, gli occhi negli occhi. È il rapporto con la donna, cioè col prossimo e l’umanità.  L’autore sacro ricorre al simbolo della «costola» che, nell’originale ebraico – dice Gianfranco Ravasi – indica il «lato»: lo stare a fianco significa parità e comunanza di carne e di spirito.  Si tratta di un unico nome: «La si chiamerà ‘isshah perché da ‘ish è stata tratta»; l’uno al maschile ‘ish, «uomo», e l’altro al femminile, ‘issah, «donna», per indicare la realtà comune che li unisce.  Ed è proprio questa relazione di comunione e d’amore, capace di generare, che diventa l’«immagine» del Creatore: «Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio li creò, maschio e femmina li creò».  La statua più simile a Dio è l’umanità vivente nella sua dualità feconda sia biologicamente sia spiritualmente attraverso l’amore.