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Faccia a faccia


Bianca S., Scarp de’ tenis, ottobre 2021FIAMMETTA BORSELLINO E IL FACCIA A FACCIA CON L’ASSASSINO DEL PADREChe cosa significa essere sola a colloquio con i macellai mafiosi che hanno fatto a pezzi tuo padre? Fiammetta Borsellino l’ha provato.Ultima dei 3 figli di Paolo Borsellino, il magistrato dilaniato da un’autobomba, con 5 fra uomini e donne della sua scorta, nella strage di via D’Amelio, il 19 luglio 1992, a Palermo, Fiammetta ha voluto incontrare, nel carcere dove sono rinchiusi, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, che per quella strage sono stati condannati con l’accusa di essere fra gli autori. Una testimonianza preziosa di “giustizia riparativa” da parte di una donna che da anni si batte per chiedere la verità sull’assassinio di suo padre – una verità fin qui oscurata da quello che la magistratura ha definito “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”.Dell’incontro con i Graviano, capi mafiosi del quartiere palermitano di Brancaccio, la figlia del giudice Borsellino ha parlato in una videoconferenza con i detenuti del carcere di Padova, che ne hanno riferito sulla loro rivista, Ristretti orizzonti.Fiammetta, che ha oggi 48 anni e ne aveva 19 quando suo padre morì, ha spiegato che cosa l’abbia spinta a chiedere di incontrare i Graviano: «Anche accettare la morte di un padre passa attraverso la conoscenza della persona che l’ha provocata». Una decisione che è stata un gesto di omaggio all’educazione ricevuta: «Mio padre era per il confronto, lo giudicava il mezzo col quale si può cambiare la cultura». Una decisione, comunque, dettata dall’istinto più che dalla ragione: «La strage di via D’Amelio ha tantissimi lati oscuri e vede coinvolte moltissime persone, dalle istituzioni alla mafia. Di fronte all’impossibilità di capire perché tuo padre è esploso in aria, si può purtroppo arrivare a prendere delle strade autodistruttive. Ho capito istintivamente che dovevo intraprendere un percorso di conoscenza, che non poteva non passare attraverso il confronto con chi questo dolore l’ha provocato». Non è stato facile, prima di tutto, ottenere il permesso dall’amministrazione penitenziaria: «Ho dovuto lottare come una pazza per avere quell’autorizzazione; soltanto la mia tenacia nello scrivere lettere, assillare le persone ha portato al risultato». Così ho preso un treno e me ne sono andata da sola, cioè totalmente allo sbaraglio, a incontrare queste due persone. E non è stato facile trovarsi faccia a faccia con Giuseppe Graviano: «Nonostante la mia pacatezza, mi ha scaraventato addosso una rabbia, una cattiveria che ho percepito sulla pelle. Ma io ho accettato tutto questo perché volevo capire chi è l’uomo che è andato in via D’Amelio, si è appostato nel palazzo di fronte, si è nascosto per far esplodere una bomba». Con Filippo Graviano, invece, il colloquio ha avuto un esito diverso: «Ho percepito in lui, proprio a livello istintivo, sentimentale, una prostrazione, un dolore; ho sentito in lui un cambiamento perché non mi è stata trasmesso quella rabbia, quell’odio, quel male che ho sentito da Giuseppe Graviano».Sugli effetti dell’incontro, Fiammetta Borsellino non ha dubbi: «Credo che mi abbia dato forza. E sono profondamente convinta che abbia cambiato anche loro». È l’esito che si propone, appunto, la giustizia riparativa: per riprendere il titolo di un romanzo di successo, Riparare i viventi.