Un mondo nuovo

Apocalisse


L’Apocalisse non è il libro della catastrofe e della fine del mondo. È l’immagine delle tribolazioni che appartengono alla vita dell’uomo e del mistero del Male che coesiste nella storia accanto alla redenzione. Ma il racconto di Giovanni termina con la vittoria dell’Agnello, simbolo di Gesù Cristo, e con la visione della Gerusalemme celeste. Recentemente ho riletto un testo di Vasilij Rozanov, un grande visionario ridotto in miseria durante la Rivoluzione d’Ottobre in Russia, racconta Caramore, egli nel 1918 scrive: «Troni, classi, categorie sociali, lavoro, ricchezza. Tutto è travolto. Tutti sono spazzati via, precipitando nella vacuità di un’anima priva del suo contenuto antico». La cosa interessante è che lui non fa risalire il disastro del presente alla rivoluzione che ha fatto irruzione sul piano storico, ma a una crisi del cristianesimo che si è svuotato, ed è per questo che il mondo produce la catastrofe. Lo svuotamento spirituale e morale spinto all’estremo, forse, è ciò che ha prodotto tutto questo. E quindi risalire ai fondamenti del vivere comune è ciò che ci può mostrare l’Apocalisse. Abbiamo bisogno di una visione, di una speranza. Visioni di umanità possibile, come quelle presenti nel libro di Isaia, “Il lupo pascolerà con l’agnello” (Is 11,6), ci fanno sperare che in alcune fasi della storia sia possibile una conciliazione. Questa idea della possibilità ci sostiene nella speranza. L’Apocalisse ci ricorda che il tempo è breve. Il giudizio è dato come imminente: “Guai, guai, immensa città, Babilonia, possente città; in un’ora sola è giunta la tua condanna!” (Ap 18,10). È breve il nostro tempo personale – e ce ne rendiamo ben conto quando diventiamo anziani – ma è breve anche il tempo che rimane a questa Terra. Dobbiamo usare bene il tempo breve della nostra vita e della nostra umanità. Facciamolo in fretta! (Il nostro tempo è breve: serve speranza, FC n. 18 del 1 maggio 2022).