2022, FC n. 22 del 29 maggioCaro don Stefano, le scrivo da un carcere. Leggo sempre Famiglia Cristiana grazie al cappellano. È la prima volta che mi trovo in prigione. Non mi piace definirmi “detenuto” perché, prima di tutto, sono un uomo. Un uomo che ha sbagliato e che sta pagando, ormai da diverso tempo. Tra non molto uscirò, e sono molto preoccupato, spaventato direi, per il giudizio della società, per lo stigma che, inevitabilmente, mi porterò dietro a lungo. Perché il giudizio, o pregiudizio, è la vera piaga dell’umanità, e giudicare un uomo senza conoscere il suo cuore è un vizio comune nel quale, lo ammetto, anch’io in passato cadevo spesso. Oggi, cerco di evitarlo. La mia è una storia di dolore e di speranza, di caduta e di rinascita, di libertà perduta e ritrovata, di non-amore risanato. I primi tempi in carcere sono stati orribili. Ero confuso, smarrito, disperato, a volte tentato dal suicidio. Poi, ho conosciuto dei volontari cattolici e ho cominciato a frequentare assiduamente la Messa. Due suore mi hanno seguito, hanno accolto il mio pianto, il mio sconcerto di peccatore che non si capacitava di aver sbagliato.Così, pian piano, mi sono accostato al sacramento della Riconciliazione: è allora che ho avuto la forza, il coraggio, di chiedere perdono e di piangere, finalmente, non sul mio vittimismo ma sulla mia miseria di peccatore. Ho cominciato a frequentare l’Eucaristia ogni settimana. Poi, la vera svolta, il cambiamento totale, seppur graduale: un mio compagno di cella mi ha prestato la sua Bibbia, e per la prima volta ho conosciuto in profondità la Parola di Dio. La leggevo con ardore, assetato di quella verità che mi era, fino ad allora, così distante e sconosciuta. Anche “fuori” ero un credente, ma il misticismo che mi affascinava era astratto, senza radici nella realtà, incoerente e vacuo. Ero quello che si dice un “cristiano non praticante”, e la mia fede era debole e confusa. Scoprire l’Antico Testamento e, soprattutto, il Vangelo di Gesù Cristo ha iniziato piano a cambiare qualcosa nel mio intimo, a scavarmi dentro. In particolare, dopo un sogno, una pace immensa mi ha avvolto e, da quel giorno non mi sono sentito più realmente solo. Con il tempo, ho capito che il Signore aveva scelto di incontrarmi e di riprendermi per mano proprio nel momento in cui ero più nudo, più povero, più inerme, libero da ogni zavorra umana. Libero nel cuore, e non nelle gambe, mentre fuori non lo ero: come la maggior parte degli uomini, infatti, credevo di essere libero, di poter fare ciò che volevo – anche di ferire gli altri, di mentire, di ingannare – ed invece ero schiavo, prigioniero del peccato, complice del male. Ho espresso la mia ritrovata libertà anche nel chiedere perdono a coloro che, pur amandoli immensamente – ma stoltamente, con cuore offuscato – avevo fatto soffrire. E non importa, in fondo, che non mi abbiano risposto, né accolto il mio pentimento, perché confido che, un giorno, ci riusciranno. Adesso guardo con serenità e fiducia al futuro.Ho profonda vergogna per i miei errori passati e non amo parlarne, poiché ho preso le distanze da ciò che ero e non sono più. In carcere ho scoperto anche la narrativa, realizzando il sogno, a lungo coltivato “fuori”, di scrivere dei romanzi nei quali ormai do voce allo Spirito e a ogni mio anelito di vita, di gioia e gratitudine al Signore che salva. Tuttavia, il senso di isolamento, spesso, mi opprime. Perciò, concludo con un umile desiderio: vorrei ricevere email, o lettere, da chiunque desideri contattarmi. Sarò felice di corrispondere con chi vorrà degnarmi della sua amicizia – NickCaro Nick, la tua lettera mi commuove e credo che faccia lo stesso effetto anche ai nostri lettori. Per ragioni di spazio ho dovuto ridurla, ma in essa tutti noi cogliamo, grazie alle tue doti di scrittore che hai scoperto “dentro” il carcere, il cammino di liberazione che il Signore ti ha indicato e che tu hai accettato di fare. Quelle persone che citi – i volontari, il sacerdote, le suore – mi ricordano l’angelo di cui si narra nel capitolo 16 degli Atti degli apostoli che, comparso nel mezzo della notte nel carcere di Filippi, in cui Paolo e Sila erano stati rinchiusi per aver predicato il Vangelo di Gesù, li liberò dai ceppi e li fece uscire, permettendo loro di continuare a predicare il Vangelo. Sì, esattamente quello stesso Vangelo che hai riscoperto tu nel momento in cui ti sei sentito avvolgere dall’amore di Dio. Quello stesso amore ha liberato dai ceppi della schiavitù del peccato il tuo cuore. L’amore libera, questo è il tuo insegnamento a tutti noi. L’odio, con tutti i suoi succedanei (invidia, gelosia, malevolenza, diffidenza, pregiudizi, ecc.ecc.), rende schiavi, magari senza neppure che ce ne rendiamo conto, , come giustamente racconti nella lettera. Dio è sempre in azione, ai tempi di Paolo come ai nostri, e tanto più ha la possibilità di agire quanto più glielo permettiamo di fare. La tua storia che così onestamente narri e che leggiamo tutto d’un fiato come se fosse un romanzo, mostra proprio questo. Mostra, anche, che esistono condizioni particolari in cui noi uomini siamo più pronti ad ascoltare la voce dello Spirito santo, e queste a volte coincidono con situazioni di sofferenza – don Stefano
Uomo nuovo
2022, FC n. 22 del 29 maggioCaro don Stefano, le scrivo da un carcere. Leggo sempre Famiglia Cristiana grazie al cappellano. È la prima volta che mi trovo in prigione. Non mi piace definirmi “detenuto” perché, prima di tutto, sono un uomo. Un uomo che ha sbagliato e che sta pagando, ormai da diverso tempo. Tra non molto uscirò, e sono molto preoccupato, spaventato direi, per il giudizio della società, per lo stigma che, inevitabilmente, mi porterò dietro a lungo. Perché il giudizio, o pregiudizio, è la vera piaga dell’umanità, e giudicare un uomo senza conoscere il suo cuore è un vizio comune nel quale, lo ammetto, anch’io in passato cadevo spesso. Oggi, cerco di evitarlo. La mia è una storia di dolore e di speranza, di caduta e di rinascita, di libertà perduta e ritrovata, di non-amore risanato. I primi tempi in carcere sono stati orribili. Ero confuso, smarrito, disperato, a volte tentato dal suicidio. Poi, ho conosciuto dei volontari cattolici e ho cominciato a frequentare assiduamente la Messa. Due suore mi hanno seguito, hanno accolto il mio pianto, il mio sconcerto di peccatore che non si capacitava di aver sbagliato.Così, pian piano, mi sono accostato al sacramento della Riconciliazione: è allora che ho avuto la forza, il coraggio, di chiedere perdono e di piangere, finalmente, non sul mio vittimismo ma sulla mia miseria di peccatore. Ho cominciato a frequentare l’Eucaristia ogni settimana. Poi, la vera svolta, il cambiamento totale, seppur graduale: un mio compagno di cella mi ha prestato la sua Bibbia, e per la prima volta ho conosciuto in profondità la Parola di Dio. La leggevo con ardore, assetato di quella verità che mi era, fino ad allora, così distante e sconosciuta. Anche “fuori” ero un credente, ma il misticismo che mi affascinava era astratto, senza radici nella realtà, incoerente e vacuo. Ero quello che si dice un “cristiano non praticante”, e la mia fede era debole e confusa. Scoprire l’Antico Testamento e, soprattutto, il Vangelo di Gesù Cristo ha iniziato piano a cambiare qualcosa nel mio intimo, a scavarmi dentro. In particolare, dopo un sogno, una pace immensa mi ha avvolto e, da quel giorno non mi sono sentito più realmente solo. Con il tempo, ho capito che il Signore aveva scelto di incontrarmi e di riprendermi per mano proprio nel momento in cui ero più nudo, più povero, più inerme, libero da ogni zavorra umana. Libero nel cuore, e non nelle gambe, mentre fuori non lo ero: come la maggior parte degli uomini, infatti, credevo di essere libero, di poter fare ciò che volevo – anche di ferire gli altri, di mentire, di ingannare – ed invece ero schiavo, prigioniero del peccato, complice del male. Ho espresso la mia ritrovata libertà anche nel chiedere perdono a coloro che, pur amandoli immensamente – ma stoltamente, con cuore offuscato – avevo fatto soffrire. E non importa, in fondo, che non mi abbiano risposto, né accolto il mio pentimento, perché confido che, un giorno, ci riusciranno. Adesso guardo con serenità e fiducia al futuro.Ho profonda vergogna per i miei errori passati e non amo parlarne, poiché ho preso le distanze da ciò che ero e non sono più. In carcere ho scoperto anche la narrativa, realizzando il sogno, a lungo coltivato “fuori”, di scrivere dei romanzi nei quali ormai do voce allo Spirito e a ogni mio anelito di vita, di gioia e gratitudine al Signore che salva. Tuttavia, il senso di isolamento, spesso, mi opprime. Perciò, concludo con un umile desiderio: vorrei ricevere email, o lettere, da chiunque desideri contattarmi. Sarò felice di corrispondere con chi vorrà degnarmi della sua amicizia – NickCaro Nick, la tua lettera mi commuove e credo che faccia lo stesso effetto anche ai nostri lettori. Per ragioni di spazio ho dovuto ridurla, ma in essa tutti noi cogliamo, grazie alle tue doti di scrittore che hai scoperto “dentro” il carcere, il cammino di liberazione che il Signore ti ha indicato e che tu hai accettato di fare. Quelle persone che citi – i volontari, il sacerdote, le suore – mi ricordano l’angelo di cui si narra nel capitolo 16 degli Atti degli apostoli che, comparso nel mezzo della notte nel carcere di Filippi, in cui Paolo e Sila erano stati rinchiusi per aver predicato il Vangelo di Gesù, li liberò dai ceppi e li fece uscire, permettendo loro di continuare a predicare il Vangelo. Sì, esattamente quello stesso Vangelo che hai riscoperto tu nel momento in cui ti sei sentito avvolgere dall’amore di Dio. Quello stesso amore ha liberato dai ceppi della schiavitù del peccato il tuo cuore. L’amore libera, questo è il tuo insegnamento a tutti noi. L’odio, con tutti i suoi succedanei (invidia, gelosia, malevolenza, diffidenza, pregiudizi, ecc.ecc.), rende schiavi, magari senza neppure che ce ne rendiamo conto, , come giustamente racconti nella lettera. Dio è sempre in azione, ai tempi di Paolo come ai nostri, e tanto più ha la possibilità di agire quanto più glielo permettiamo di fare. La tua storia che così onestamente narri e che leggiamo tutto d’un fiato come se fosse un romanzo, mostra proprio questo. Mostra, anche, che esistono condizioni particolari in cui noi uomini siamo più pronti ad ascoltare la voce dello Spirito santo, e queste a volte coincidono con situazioni di sofferenza – don Stefano