Un mondo nuovo

Generazioni


“‹‹Voi dite sui vecchi le stesse cose che dicevamo noi da ragazzi. È giusto. Ma un giorno altri ragazzi diranno lo stesso di voi››.Questa osservazione di papa san Giovanni XXIII, nella sua semplicità, segnala un dato storico costante, il superamento critico che le generazioni producono nel loro succedersi. Questo è verificabile anche ai nostri giorni, ma con un tasso ben più alto di tensioni. Infatti, la cosiddetta rivoluzione digitale sta creando un modello umano profondamente innovativo così da dar origine ai “nativi digitali”, bambini, adolescenti e giovani con una modalità inedita di comunicazione e quindi di esistenza.Sulla scia del celebre motto del filosofo Cartesio, Cogito, ergo sum, ‹‹penso, quindi esisto››, che imparavamo a scuola, si è coniato un curioso Digito, ergo sum, esisto sono in connessione informatica con il mondo. Un nostro ragazzo, che sta 5 ore al giorno al computer, comunica in modo diverso rispetto a noi delle precedenti generazioni che ci incontriamo gli occhi negli occhi, discutiamo in modo diretto, intuiamo i retro-pensieri di chi abbiamo di fronte, ci scriviamo lettere manoscritte articolate. Ora domina, invece, il dialogo freddo della chat-line ove l’altro è sostanzialmente un’icona che può essere contraffatta a proprio uso e gusto, e il linguaggio è semplificato, spesso affidato ai 140 caratteri del tweet o ai segni ridotti (emoticon) del messaggio del cellulare.È, allora, legittimo parlare di una svolta radicale che, pur conservando il divario critico tra le generazioni, a cui alludeva papa Giovanni XXIII, lo carica di problemi e di dimensioni del tutto nuove e fin inaspettate. Proprio per questo si è soliti parlare di una “questione giovanile” che rivela un’identità specifica rispetto al tradizionale rapporto “padri-figli” oggetto di una costante considerazione, come suggeriva già il titolo stesso del celebre romanzo omonimo che lo scrittore russo Ivan Turgenev aveva pubblicato nel 1862. O come indicava, in senso più esplicitamente negativo, la famosa opera Padre padrone di Gavino Ledda ( 1975), divenuta nel 1977 un noto film dei fratelli Taviani.Abbiamo, dunque, pensato di aprire – dopo il lungo percorso condotto insieme studiando la famiglia nei suoi vari volti, soprattutto quello della misericordia – una nuova rubrica che prosegue in un certo senso l’itinerario precedente, dedicandola appunto ai figli, in particolare giovani. Come è noto, infatti, papa Francesco ha posto a tema del futuro Sinodo, dell’ottobre 2018, proprio ‹‹i giovani, la fede e il discernimento vocazionale››. Naturalmente, come sempre, il nostro sarà un approccio alla luce della Bibbia, che è ‹‹lampada per i nostri passi›› nel cammino della vita. È curioso notare che la parola più usata nell’Antico Testamento, dopo il nome divino Jhwh (“Jahveh”), è ben, cioè “figlio”, per cui la Bibbia è un libro di figli buoni e cattivi che vedono alla fine entrare in scena in mezzo a loro il Figlio per eccellenza, Gesù Cristo. È interessante notare anche che questo vocabolo ben deriva dal verbo ebraico banah, che significa “costruire, edificare”: infatti la casa cresce con le pareti, protese verso l’alto e il futuro, dei figli. È ciò che è ben espresso in un Salmo: ‹‹Se il Signore non costruisce (banah) la casa, invano si affaticano i costruttori… Ecco, eredità del Signore sono i figli (ben), è sua ricompensa il frutto del grembo. Come frecce in mano a un guerriero sono i figli (ben) avuti in giovinezza›› (127,1 3-4). Abbiamo iniziato con un Papa, concludiamo ora con il monito acuto di un altro, Montini, il beato papa Paolo VI: ‹‹Molti oggi parlano dei giovani; ma non molti, ci pare, parlano ai giovani››” (card. Gianfranco Ravasi, FC n. 48 del 27 nov. 2016).