Un mondo nuovo

Le domande scomode


2023, FC n. 46 del 12 novembreRashia, le domande scomode di una donna coraggiosaRasha Nabil, 45 anni, egiziana, giornalista di spicco dell’emittente tv Al Arabiya degli Emirati Arabi Uniti, a Dubai, con la sua videointervista al leader di Hamas, Khaled Meshal, riugiato nel Qatar, ha offerto una coraggiosa testimonianza che ha acceso uno spiraglio di luce nel buio che dal vicino Oriente ha invaso il mondo. Opponendo alle narrazioni di parte il calvario indicibile di migliaia di vittime civili, quale sia la loro cittadinanza, religione e appartenenza, travolte da un incubo che le parole non possono contenere, come ha scritto David Grossman.Ha tentato di aprire una breccia nel male assoluto della strage del 7 ottobre 2023 in Israele, trasformando un’intervista non facile in un grido di dolore, mentre incalzava l’interlocutore con determinazione, puntualità e passione che l’hanno spiazzato. Non se l’aspettava Khaled Meshal di ricevere, da una voce araba, ritenuta amica, domande tutt’altro che accomodanti nella ricerca di verità negate. Per di più da una donna che ha saputo tenergli stesta, interrompendolo, quando divagava, mettendolo di fronte a fatti che nessuna logica bellica assolve. Una che vive a fianco di contesti pericolosi, dove le donne vengono uccise per essersi tolte lo hijab, come le iraniane Mahsa Amini e la sedicenne Armita Geravadan, morta in questi giorni dopo essere stata massacrata dalla polizia morale. Una donna che d’ora in poi dovrà fare i conti per la libertà con cui ha contestato il tentativo di Kaled Meshal di giustificare la strage di Sukkot come un’operazione militare di legittima resistenza: «Questo è il suo punto di vista, ma quello che gli occidentali hanno visto in Tv è stata la violenza di Hamas contro i civili israeliani. Siete responsabili dell’immagine di Hamas all’estero, ora è paragonato all’Isis». E che gli ha rinfacciato: «Come potete pretendere che l’Occidente e il mondo in generale sostengano la causa palestinese quando sono evidenti le violenze perpetrate da Hamas contro i civili israeliani? Trattare i civili così fa parte dell’ideologia di Hamas». Dinanzi a un interlocutore, sempre più infastidito, Rasha non ha usato mezzi termini: «Lei sta seduto fuori Gaza, in una stanza con l’aria condizionata e parla di guerra, di jihad, di bombardamenti, ma la gente che non ha più lacrime per piangere e fiato per vivere si sveglia la mattina con la morte sulla soglia di casa». Non si è arresa quando Meshal, in difficoltà, con toni che volevano essere concilianti le ha detto: «Cara sorella, le organizzazioni militari sono concentrate sulle forze di occupazione e i soldati. In ogni guerra ci sono vittime civili, Hamas non è responsabile nei loro confronti». Un’autodifesa che Rasha ha rinviato al mittente con un’ultima perentoria domanda: «Vi scuserete per quello che avete fatto ai civili israeliani il 7 ottobre?». La risposta di Khaled Meshal, disarcionato e irritato, «le scuse dovrebbero essere chieste a Israele. Hamas non uccide di proposito i civili. Punto e basta», ha lasciato nei suoi occhi una sconsolata tristezza che è valsa più di ogni parola. Ma nell’aria è rimasta la speranza che la sua testimonianza contribuisca al cammino di pace, unica soluzione «per fermare le armi», come ha chiesto papa Francesco nel suo appello.