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Sartoria e co-housing


2024, 23 febbraioSartoria e co-housing: a Verona un D-Hub per la ripartenzaDi qua Verona, di là Veronetta. A separare il centro pedonale scintillante di negozi e palazzi nobiliari dal quartiere multietnico, una Belleville in salsa veneta, c’è il corso largo e placido dell’Adige. Ma laddove fino a prima del Covid si consigliava alle ragazze di non inoltrarsi, oggi sulla riva sinistra fioriscono AirBnb e localini di tendenza, segno di una gentrificazione imminente. È qui che si svolge l’attività di D-Hub, associazione di promozione sociale che scommette su coloro che la vita ha calpestato: ex detenute, tossiche, sopravvissute alla tratta, senza fissa dimora. D come donna, ovviamente. E Hub come snodo, punto centrale della ruota di una bicicletta da cui partono i raggi, come descritto nel logo. In un vicolo stretto di Veronetta c’è la sartoria sociale: una infilata di macchine per cucire dove si impara a tagliare e confezionare. Nell’arteria principale, dove corrono gli autobus diretti al centro storico, invece c’è lo stanzone dei laboratori creativi, uno spazio comunitario di ritrovo pomeridiano aperto ai cittadini, dove una dozzina di volontari qualificati tengono corsi di sartoria, incisione, maglia e uncinetto. Di fronte, ancora, un negozietto ben curato dove per l’autofinanziamento vengono venduti borse, astucci, agende, grembiuli, foulard, animali di pezza imbottiti, autoprodotti dalle stesse donne che frequentano i corsi. E poi da 5 anni c’è la Banca del tessuto: perché a D-Hub arrivano interi rotoli di stoffe preziose, avanzi di produzione di aziende importanti, o dai laboratori di Teatri come La Fenice di Venezia, magazzini di mercerie che chiudono in città.È l’incarnazione del principio dell’economia circolare, spiega Mery Bergamaschi, 39 anni, fondatrice nel 2013 di D-Hub con un gruppo di amiche operatrici sociali: «Alle donne che terminano i nostri corsi di sartoria sociale offriamo un “cassetto degli attrezzi” per proseguire l’attività in proprio: talvolta la macchina per cucire, sempre una tessera per accedere alla Banca del tessuto e prendere le stoffe che servono». La metà circa delle allieve, una volta finito il corso, negli anni sono state assunte da Progetto Quid, la grande impresa sociale con sede a Verona che impiega donne a rischio marginalità e vende capi e accessori confezionati con tessuti riciclati. Le prime utenti sono state indirizzate alla sartoria sociale di via Trezza dal Centro aiuto alla vita locale, poi sono arrivate le beneficiarie del Reddito di inclusione attiva (Ria), inviate dal Comune di Verona. Un altro “raggio” della ruota della bicicletta è il co-housing: l’associazione ha la disponibilità di due appartamenti in cui vengono alloggiate dieci donne inserite in diversi percorsi di accoglienza, tra cui quelli contro la tratta.La parola d’ordine per Mary Bergamaschi, che si definisce con un pizzico di ironia “pedagogista dell’inclusione”, è «ripartenza». «Vogliamo guardare lo svantaggio da un punto di vista diverso – spiega –. Da quello delle possibilità. D-Hub è un luogo di ricerca-azione, dove gli operatori sociali, i volontari e le 4 dipendenti portano le loro energie migliori per non cadere nell’equivoco dell’assistenzialismo. Un luogo in cui si sta bene insieme, dove le donne coinvolte non si sentono né sono considerate solo utenti. I nostri verbi sono: incontrarsi, fermarsi e ripartire».Adesso è la stessa D-Hub a cercare una “ripartenza”. I locali in cui opera – la sartoria, lo stanzone dei laboratori (offerto in comodato d’uso dalla Caritas diocesana per tutto il 2024), la Banca del tessuto, il negozio-boutique – sono disseminati da una parte all’altra del quartiere, da quando l’associazione ha dovuto abbandonare la sede storica, già assegnata dal Comune, a causa di lavori di ristrutturazione del palazzo. Ora il cantiere è quasi terminato, ma la destinazione è incerta. Nel frattempo l’associazione ha individuato uno spazio unico, in cui potrebbero trovare spazio tutte le attività, ma il costo è alto e le preoccupazioni anche. «Vorremmo continuare a operare a Veronetta, nella prima circoscrizione cittadina – spiega un’altra operatrice di D-Hub, Barbara D’Aumiller, docente di Storia dell’Arte “prestata” al sociale – perché pensiamo che la marginalità debba stare al centro, non ai margini».