Un mondo nuovo

Quel fiume africano


2024, Scarp de’ tenis agostoYvette Tetteh e quel fiume africanoPer sette mesi si è allenata nuotando, con ferrea disciplina, per sei giorni alla settimana. Non doveva partecipare a una gara né stracciare un record: semplicemente, voleva portare all’attenzione del mondo l’inquinamento di un maestoso fiume africano, il Volta, avvelenato dai residui degli abiti usati inviati dall’Occidente. Ce l’ha fatta. Nuotando per quaranta giorni, su 450 chilometri, lungo il fiume e nel lago artificiale omonimo, Yvette Tetteh, trent’anni, ghanese, imprenditrice agricola e ambientalista, ha conquistato le pagine dei giornali internazionali, ottenuto interviste su radio e tv e, naturalmente, espugnato i social. Figlia di una famiglia con radici in Ghana e in Inghilterra, cresciuta da bambina in Sudafrica, laureata in California, all’università di Stanford, Yvette è tornata nel 2015 ad Accra, capitale del Ghana, con l’intenzione di mettere a frutto i molti privilegi che sapeva d’aver ottenuto con la sua educazione. Lì ha fondato un’azienda che lavora la frutta locale e commercializza il prodotto essiccato e ha aderito alla The OR Foundation, un’associazione non profit il cui slogan è “troppi abiti, poca giustizia”, impegnata a denunciare il traffico di abiti di seconda mano, lo scarto della fast fashion, la moda veloce, che da Europa e Nord America vengono spediti in Ghana. «Si tratta di 15 milioni di capi di abbigliamento alla settimana», ha scritto L’Osservatore romano, citando le stime di The OR Foundation: «Solo il 40% di questi prodotti è rivenduto, mentre la quota restante finisce nelle discariche o, sempre più spesso, in strada, nei fossati e sulle spiagge». Yvette Tetteh lo definisce «il colonialismo dei rifiuti del Nord globale», che finisce con l’avvelenare il Sud del mondo. Compreso, appunto, il fiume Volta, che nasce in Burkina Faso e, traversando il Ghana, sbocca nell’oceano Atlantico. Seguita da un catamarano a energia solare, dotato di un laboratorio per l’analisi delle acque, Yvette ha documentato nella sua lunga nuotata come il Volta, apparentemente limpido, sia in realtà contaminato dalle microfibre sintetiche rilasciate dai tessuti dispersi nel territorio. In un Paese di 32 milioni di abitanti, dove almeno un abitante su quattro vive sotto la soglia di povertà, l’invasione degli scarti d’abbigliamento sta producendo più di un disastro. Ha messo in difficoltà, per esempio, i produttori di cotone, che vengono spinti fuori mercato dalla concorrenza dei “vestiti dei bianchi morti”. Una delegazione di commercianti di Kantamanto, il mercato di Accra, ha portato al Parlamento europeo la richiesta di una regolamentazione più rispettosa del traffico di abiti smessi. Ma è stata l’impresa di Yvette Tetteh a far accendere i riflettori sull’argomento. All’arrivo ad Ada, dove il Volta sbocca nell’oceano, Yvette ha dichiarato: «Ho sentito sulla mia pelle come i corsi d’acqua della regione sono rigonfi di microfibre accumulate negli anni». Poi è tornata alla sua azienda, che in cinque anni è passata da 3 a 18 dipendenti (14 sono donne), al di sotto dei 35 anni. Un’azienda che lavora i prodotti di un centinaio di agricoltori locali, col progetto di portarli fuori dalla povertà. Con la sua ostinazione, Yvette conta di farcela. Purché il Nord del mondo smetta di avvelenare il Pianeta.