Creato da namy0000 il 04/04/2010

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Diciamolo subito

2020, Intervista a Corso Mariano, 53 anni, professore di Leadership e innovazione, responsabile scientifico dell’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano, Alberto Laggia, FC n. 38 del 20 settembre 2020.

‹‹Diciamolo subito: quello che gli italiani hanno dovuto praticare nei mesi del lockdown non è stato smart working vero, bensì una forma di telelavoro forzato, di fronte a un’emergenza. L’alternativa era quella di rimanere inoccupati. Il principio fondante del “lavoro agile”, al contrario, si basa proprio sulla libertà di scelta di tempi e luoghi della propria attività di dipendente››. A distinguere bene lo smart working “coatto” da quello autentico è Mariano Corso, per primo in Italia, ancora nove anni fa, ha iniziato a studiare il “lavoro agile”, ben prima della pandemia Covid, quindi. L’emergenza sanitaria causata dal contagio, in altri termini, ha funzionato da grande acceleratore di un passaggio di filosofia manageriale che in tempi normali avrebbe richiesto ancora lunghi anni. E per molti  adesso non si tornerà più indietro.

‹‹Nell’epoca Pre-Covid››, spiega il professor Corso, ‹‹eravamo arrivati, in Italia, ad avere 600.000 lavoratori “agili”  e una sperimentazione dello smart working in due grandi aziende su tre. Ma c’erano enormi resistenze sia nel settore privato, soprattutto nella piccola impresa, che nell’amministrazione pubblica, scettiche sulla possibilità di realizzare per determinati lavori autonomia e auto-organizzazione dei dipendenti che prescindessero da vincoli d’orario e di luogo di lavoro››.

 

Poi c’è stata la pandemia…

‹‹E con essa la necessità di dover lavorare a distanza. E qui s’è rivelata utilissima la normativa, tra le più innovative in Europa, che era stata varata nel 2017 (legge 81) proprio sul “lavoro agile”, perché il ricorso alla legge è stato il modo più veloce e naturale per sopravvivere. Chi aveva già fatto esperienze di smart working, avendo in precedenza sposato il “lavoro per obiettivi” e si era dotato degli stumenti tecnologici necessari, non hanno avuto difficoltà e non ha perso tempo››.

 

E chi invece non l’aveva mai sperimentato?

‹‹La sorpresa vera è stata che anche aziende e lavoratori che non erano preparati al “lavoro agile”, non solo sono riusciti a organizzarlo, ma hanno soprattutto scoperto che con le novità introdotte dallo smart working, dall’autonomia professionale, all’abbattimento di perdite d’efficienza tipiche del lavoro tradizionale d’ufficio, si può lavorare meglio e con più efficienza, migliorando la qualità di vita dei dipendenti››.

 

Un gradimento dei dipendenti misurabile in cifre?

‹‹I lavoratori da noi interpellati nella stragrande maggioranza (93%) hanno detto che non intendono tornare al modo tradizionale di lavoro. Due lavoratori su tre preferirebbero un mix intelligente tra le modalità “da remoto” e in ufficio, che è proprio quanto propone lo smart working››.

 

Quali i vantaggi per le aziende?

‹‹S’è calcolato un aumento di produttività del 15%, con risparmi economici importantissimi che si aggirano tra il 30 e il 50%. Ma in alcuni casi anche molto di più. Pensi, per fare solo un esempio, che Microsoft Italia ha potuto ridurre gli spazi lavorativi da 30.000 metri quadri ai 7.500 della nuova sede››.

 

Quanti lavoreranno in modo “agile” da oggi in poi in Italia?

‹‹Le nostre stime, che concordano con gli altri studi, ci dicono che in fase lockdown 6 dei 23 milioni di lavoratori italiani hanno lavorato a distanza. Nel pubblico addirittura il 50%. Altra novità: la gran parte dei nuovi smartworker sono impiegati nella piccola impresa o sono liberi professionisti. Riteniamo che a regime saranno tre-quattro milioni i lavoratori che stabilmente si affideranno allo smart working, che significa cinque volte tanto rispetto all’era Pre-Covid. Un bel cambio di passo››.

 

Ci sono differenze tra aree geografiche?

‹‹Di certo il Covid ha livellato le differenze tra grandi città e territori, dando nuove possibilità a realtà locali, borghi e provincia di ripartire. Molti lavoratori sono tornati al Sud››.

 

Questione “regole”: c’è chi paventa la possibile lesione di diritti come quello alla disconnessione. Meglio normare tutto o lasciare spazio per accordi aziendali?

‹‹Credo che si debbano tutelare i diritti fondamentali, in primis di chi è più debole, e poi lavorare su una regolamentazione dello smart working lasciando massima flessibilità e possibilità d’accordo tra azienda e singolo dipendente, come peraltro stabilisce la legge del 2017, che ha già previsto il diritto alla disconnessione e non impone una regolamentazione inutilmente asfissiante››.

 

Lo smart working potrebbe causare una diminuzione di nuovi contratti di lavoro per un aumento invece di rapporti più precari?

‹‹Accadrà esattamente il contrario: renderà più efficace, sostenibile e soddisfacente per tutti un rapporto di lavoro dipendente stabile. Si riattiveranno economie locali dei territori più marginalizzati. Diminuiranno gli spostamenti e il traffico. Crescerà la presenza in famiglia e il tempo libero. Insomma migliorerà la qualità della nostra vita››.

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