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Contro ogni guerra

Roberto Zichittella, FC n. 34 del 22 agosto 2021

QUEL MEDICO SEMPRE AL FRONTE  CONTRO OGNI GUERRA

Gino Strada aveva il volto scavato, il ciuffo ribelle e una voce roca, ma sempre calda di passione.  Era una voce che faceva sempre bene ascoltare quando c’era da denunciare una guerra, la sofferenza di un popolo, le violazioni dei diritti umani, un’ingiustizia.

Gino Strada è morto a 73 anni in un giorno torrido di agosto, proprio mentre si consuma un nuovo dramma in Afghanistan, il Paese al quale aveva dedicato tante delle sue attività, con il personale di Emergency ancora una volta impegnato in prima linea per curare i feriti dei combattimenti fra i talebani e l’esercito afghano.

Si era laureato in Medicina alla Statale di Milano, si era specializzato come chirurgo in importanti centri medici negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Sudafrica. Il lavoro per il Comitato internazionale della Croce Rossa lo aveva portato, nei primi anni Novanta, a operare in varie zone di conflitto. «Io sono un chirurgo, ho visto i feriti e i morti di vari conflitti in Asia, Africa, Medio Oriente, America latina, Europa. Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili», raccontò nel 2015, quando a Stoccolma gli fu consegnato il Premio Right Livelihood, considerato un Premio Nobel alternativo per «onorare e sostenere coloro che offrono risposte pratiche ed esemplari alle maggiori sfide del nostro tempo». In quel discorso Gino Strada volle ricordare i bambini vittime delle mine antiuomo di Quetta, la città pakistana vicino al confine afghano. Erano bambini rimasti ciechi, mutilati, con il corpo martoriato da ustioni terribili. Parlando di quelle mine assassine, le definì «armi progettate non per uccidere, ma per infliggere orribili sofferenze a bambini innocenti, ponendo a carico delle famiglie e della società un terribile peso. Ancora oggi quei bambini sono per me il simbolo delle guerre contemporanee, una costante forma di terrorismo nei confronti dei civili».

«Aver visto tali atrocità mi ha cambiato la vita», confidò Strada. Cambiare vita significa per lui, un giorno del 1994, decidere insieme alla moglie Teresa Sarti e a un gruppo di amici e colleghi, la fondazione di Emergency. L’associazione umanitaria, prima Onlus, poi Ong, dal 2006 partner delle Nazioni Unite, comincia le sue attività in Ruanda, durante la tragedia dei genocidio dei tutsi. Il progetto successivo lo porta in Cambogia, poi nel 1998 in Afghanistan, dove Gino e i suoi assistenti restano sette anni operando migliaia di vittime della guerra e delle mine antiuomo, aprendo ospedali, reparti di maternità e di pronto soccorso. Dalla sua fondazione Emergency è intervenuta in 19 Paesi, curando 11 milioni di persone. Quando Gino Strada non era sul campo o in sala operatoria tornava in Italia per far sentire la sua voce in appelli, manifestazioni, interviste. Una voce più sola dal 2009, quando morì sua moglie Teresa, sempre accanto a lui nelle battaglie di Emergency (poi la guida dell’associazione passò alla figlia Cecilia, che il 13 agosto, nel giorno della morte di Gino, si trovava a salvare vite in mare sulla nave ResQ-People). In questi ultimi anni si era battuto per una sanità pubblica, universale e gratuita, ma le sue parole più dure erano sempre contro la guerra. «La guerra», diceva, «è un atto di terrorismo e il terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune, l’uso della violenza. Molti potrebbero eccepire che le guerre sono sempre esistite. È vero, ma ciò non dimostra che il ricorso alla guerra sia inevitabile, né possiamo presumere che un mondo senza guerra sia un traguardo impossibile da raggiungere. Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare».

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