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Patire conguerra,sofferenza,carestia

Post n°3661 pubblicato il 20 Ottobre 2021 da namy0000
 

19 ottobre 2021

“Una donna mi ha raccontato di esser un medico impegnato a lavorare con una ONG nella regione del Tigray, nel Nord Est dell’Etiopia. Forse sapete già che in quella regione sin dall’inizio di novembre 2020 è in corso una guerra civile che ha già provocato migliaia di morti e più di 350.000 persone sfollate, che soffrono per la fame, per le malattie e per la carenza di medicinali. Per molte settimane questo conflitto è stato una notizia da prima pagina internazionale, fino a quando qualche notizia più meritevole o sensazionale non ha preso il centro della scena.

Nella breve conversazione, questa dottoressa mi ha detto, molto emotivamente, che nessuno ormai parla più del Tigray. Mi ha detto: “Ci sono migliaia di bambini di cui mi sto occupando che stanno soffrendo terribilmente e che moriranno se non ricevono farmaci anticoagulanti e medicine essenziali. Ma non sentiamo dire nulla su di loro”. Sentendomi in qualche modo paralizzato di fronte a questa dichiarazione, le ho detto ciò che pensavo sarebbe stata una risposta. “Come possiamo aiutare?” – ho chiesto – “C’è un qualche modo di mandare del denaro per aiutare?”. A questo punto, la dottoressa è scoppiata in lacrime, senza accettare la mia offerta di un generoso aiuto economico e non è più riuscita a parlare. Colpito dal suo amore e dalla sua preoccupazione per i bambini sofferenti del Tigrai peri quali sentivo che stava piangendo, non riuscivo a trovare parole per parlare, ma ero anch'io soffocato e commosso fino alle lacrime. Lei ha detto semplicemente: "Padre, i miei bambini moriranno perché non possono avere le medicine di base e non ne sentiamo parlare". Con queste parole ci siamo lasciati.

Riflettendo su questo incontro che mi ha toccato così tanto, ho pensato che – ovviamente – per questa donna il denaro non era “IL” problema e non era neppure “LA” risposta. La sua reazione esprimeva un livello molto più profondo di amore, preoccupazione e connessione con “i suoi bambini” e con la gente del remoto Tigray che stanno soffrendo e morendo. E chi sta parlando di loro o si sta ricordando di loro? Così come spesso succede, sono diventati “i dimenticati”, mere vittime e statistiche di guerra e violenza, povertà e ingiustizia, abusi e di situazioni di svantaggio. Sono coloro che non hanno nome, gli sfortunati e lo scarto del nostro mondo. “Non sentiamo dire nulla su di loro”. Di solito, dopo un breve periodo iniziale di attenzione, soprattutto attraverso i notiziari, che possono temporaneamente commuovere i nostri cuori con dolore e tristezza, la loro situazione scompare dai riflettori, e non si sente più molto... e la vita continua. Non ho potuto fare a meno di pensare al mio vantaggio e al mio privilegio di avere la certezza della mia fornitura di medicine ogni mese per mantenermi comodo, sicuro e respirare! La reazione e il contegno di questa donna medico, tuttavia, mi ha parlato di una persona che aveva un CUORE per coloro che soffrono - un cuore di carne pieno di compassione, un cuore che soffre con coloro che soffrono, un cuore che piange per coloro che si sentono abbandonati. E anche se non ha detto perché stava partecipando al Congresso, ho capito innatamente che stava cercando la "saggezza" che viene ed è contenuta nella Croce - il potere dell'amore e della compassione di Dio. Il suo cuore compassionevole (frutto della saggezza della Croce) era in contatto ed era in grado di raggiungere i "suoi figli" nel lontano Tigray, collegandosi in modo spirituale con loro e assicurando loro che non sono solo statistiche o dimenticati, ma esseri umani simili che sono amati e ricordati come persone reali con dignità: bambini, madri, padri, fratelli e sorelle. In questo modo si mantiene viva la memoria della Passione.

Un'ulteriore riflessione su questo incontro mi ha spinto a dare uno sguardo più profondo alla condizione del mio cuore perché, come passionisti, credo che siamo chiamati ad essere uomini e donne che devono coltivare cuori compassionevoli per noi stessi e per la nostra missione: "... è entrando dentro il dolore e la sofferenza di Gesù che siamo rafforzati per entrare nel nostro dolore e sofferenza, e così siamo in grado di stare con gli altri dentro il loro dolore e le loro sofferenze". - Un Cuore passionista.

Naturalmente, l'essenza della compassione è l'AMORE e, come disse San Paolo della Croce: "L'amore è una forza unificante e fa suo il dolore dell'amato". La qualità della compassione deve essere il nostro marchio distintivo, stile, modo di essere, di relazionarci e di agire come passionisti. Tuttavia, la compassione, così come è presentata nei Vangeli, ha un prezzo: ci richiede di "soffrire con" l’altro.

Dopo tutto, il cuore appassionato (che ama e soffre) è un simbolo prominente nella nostra spiritualità e il segno che ci identifica. E, pertanto, noi passionisti abbiamo bisogno di controllare regolarmente i nostri cuori, assicurandoci che non si stiano indurendo, corrodendo o diventando insensibili alle grida, alle gioie e ai dolori delle persone, del creato e del nostro pianeta, cosa che può accadere così facilmente nella nostra epoca sempre molto occupata, distraente e non riflessiva. Nella contemplazione orante siamo chiamati, nella nostra vita, a posizionarci ai piedi della croce, su cui contempliamo il Cuore crocifisso di Gesù che non cerca pietà per se stesso, ma invece si svuota in solidarietà e compassione (cioè nel “patire con”) per tutti i 'crocifissi' dell'universo. Il nostro apparentemente "inutile" stare accanto alla croce richiede forza e resilienza, per essere presenti e lasciare che il nostro cuore si connetta con il Cuore del Crocifisso, traendone il dono della compassione (dono di Dio, non nostro). Questo è ciò che ci abilita e ci spinge a guardare con pietà, ad avvicinarci, abbracciare, includere, perdonare e portare coloro che son perduti, gli abbandonati e i dimenticati di questo mondo. Creiamo spazio per loro nei nostri cuori e sosteniamoli in spirito, preghiera e gentilezza.

Un giornalista che si occupava del tragico conflitto nel centro di Sarajevo ha visto una bambina colpita da un cecchino. Ha gettato il suo blocco e la matita, si è precipitato dall'uomo che teneva la bambina e li ha aiutati a salire in macchina. Mentre il giornalista schiacciava l'acceleratore, correndo verso l'ospedale, l'uomo che teneva la bambina sanguinante disse: "Sbrigati, amico, la mia bambina è ancora viva". Un momento o due dopo disse: "Sbrigati, amico, mia figlia respira ancora". Un momento dopo disse: "Presto, amico, la mia bambina è ancora calda". Infine, gridò: "Presto, oh Dio, la mia bambina si sta raffreddando". Quando arrivarono all'ospedale, la bambina era morta. Più tardi, mentre i due uomini si lavavano il sangue dalle mani e dai vestiti, l'uomo si rivolse al giornalista e disse: "C'è un compito terribile che mi aspetta. Devo andare a dire a suo padre che sua figlia è morta. Gli si spezzerà il cuore". Il giornalista rimase stupito. Guardò l’uomo in lutto e disse: "Pensavo fosse tua figlia". L'uomo si voltò e disse: "Sono tutti nostri figli".

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