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La bellezza dell'estate

Post n°3755 pubblicato il 25 Luglio 2022 da namy0000
 

2022, FC n. 30 del 24 luglio

Luci esteriori e interiori, la bellezza dell’estate

Quanto è bella l’estate con tutta la sua luce solare. Che ti avvolge come un abbraccio d’amore, che ti carica di energia, che ti ripaga di un lungo inverno. Non la sciupiamo. Sorseggiamola come un vino forte, con saggezza, pianificando le nostre giornate. Ristorando il corpo, stimolando la mente, armonizzando lo spirito. Qualche volta me lo chiedo. Come possono esistere giorni con un cielo di piombo che ci opprime, ed altri, la cui luminosità festosa, sembra passare dalle cose all’anima?

E quando si parla di luce, in questo periodo estivo, ci vengono in mente le tre icone luminose che meglio esprimono l’infinito. Innanzitutto, l’immenso spazio celeste. Quindi, la sconfinata distesa marina. Infine, la luce, in se stessa. Con la differenza, però, che mare e cielo sono fisici, tangibili, mentre la luce è ai confini tra la materia e lo spirito. La luce del sole, ad esempio, suggerisce un’altra luce, quasi del tutto immateriale, quella del pensiero. Quella, che vediamo, in noi, quando chiudiamo gli occhi. Ma, tra la luce cosmica e la luce mentale esiste affinità, simmetria. Tanto che un giorno senza sole può essere paragonato ad un cuore senza speranza, ad una vita senza senso.

Quanti di noi, nelle notti d’agosto, scrutano il cielo in cerca di stelle cadenti, esprimendo un desiderio che ci sta a cuore. Del resto, è risaputo che il vocabolo “desiderio” deriva dal latino “de-sidera”, composto da “de”, preposizione di moto e “sidera”, cielo. Tale vocabolo si riferisce a qualcosa che viene dall’alto. Allude al fatto che i sogni derivano dalle sfere superiori della mente, dalla parte profonda del nostro Io. Forse, da Dio stesso. Ma c’è un altro etimo attribuito al termine ‘desiderio’, però in negativo. Il “de”, in questo caso, ha un valore privativo, significa “senza”. I “de-sidera”, infatti, erano le notti nuvolose, “senza stelle”, nelle quali gli aruspici, i sacerdoti romani che scrutavano gli astri per prevedere il futuro, non potevano osservare il cielo. Qualcuno ritiene che, in questa accezione negativa, il termine può essere applicato alla nostra epoca. Per molti, la cultura nella quale viviamo sarebbe “senza cielo”, capace di cogliere le cause immediate, quelle scientifiche, ma non le ragioni ultime delle cose.

È così. Come negarlo. Il presupposto di fondo della nostra civiltà è che sia conoscibile solo ciò che proviene dalla percezione. Oltre le cose, oltre i fatti, per la scienza non possiamo andare. Ma, proprio in questo, risiede il grande limite della mentalità “scientista” che riduce la realtà alla sola conoscenza sperimentale.

Dimenticando, però, che i veri problemi, «i problemi propriamente umani», scrive il sociologo Franco Ferrarotti, «sono problemi non scientifici e, quindi, non risolvibili tecnicamente. Sono tensioni permanenti di fronte a situazioni problematiche globali: la giustizia, l’amore, la libertà, la morte… E noi, siamo arrivati al paradosso: siamo tecnicamente progrediti e umanamente privi di significato, umanamente irrilevanti». Nessuna scienza potrà spiegarci che senso ha la vita, l’amore, la sofferenza, la morte. Mi colpisce quanto affermava, nell’ultimo periodo della sua esistenza, il filosofo Norberto Bobbio: «Quando sento di essere arrivato alla fine della vita senza avere trovato una risposta alle domande ultime, la mia intelligenza è umiliata. È umiliata».

Due consigli. Primo. Per il bene della salute mentale, è necessario recuperare, soprattutto in estate, la “spiritualità della creazione”, lo sguardo che ci permette di guardare le cose in trasparenza, cercando, in tutto, i significati armonizzanti. Secondo. Quando, nella vita, incontriamo un problema, dobbiamo abituarci al “gioco del raddoppio”. C’è sempre un’idea più grande dell’emozione negativa. L’uomo supera infinitamente l’uomo. Può sempre cercare una verità più importante – Luciano Verdone

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