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Messaggi del 27/12/2017

Il potere, la sicurezza

Post n°2475 pubblicato il 27 Dicembre 2017 da namy0000
 

“Se il potere fosse un farmaco, la sua confezione dovrebbe contenere una lunga lista di effetti collaterali. Può intossicare, può corrompere, può perfino spingere Henry Kissinger a credere di essere un grande seduttore. Ma può anche danneggiare il cervello? (…) Lo storico Henry Adams ha descritto il potere come ‹‹una sorta di tumore che finisce per uccidere la sensibilità della vittima››, parlava in senso metaforico non medico. Dagli studi di Dacher Keltner, psicologo dell’università della California a Berkeley, è emerso che le persone sotto l’influsso del potere (o che si sentono importanti) si comportano come se avessero subìto un trauma cerebrale: diventano più impulsive, meno consapevoli dei rischi e, soprattutto, meno capaci di vedere le cose dal punto di vista degli altri.

Di recente, anche il neuroscienziato Sukhvinder Obhi della McMaster university, in Canada, ha descritto qualcosa di simile. A differenza di Keltner, che studia i comportamenti, Obhi si occupa di cervelli. E quando ha esaminato quelli di personaggi più o meno potenti con un apparecchio per la stimolazione magnetica transcranica, ha scoperto che in effetti il potere pregiudica uno specifico processo neuronale, il mirroring, o rispecchiamento, probabilmente uno dei fondamenti dell’empatia. In questo modo, ha fornito una base neurologica a quello che Keltner chiama il ‹‹paradosso del potere››; una volta che lo abbiamo, perdiamo alcune delle capacità che servono per conquistarlo. (…) Ma la cosa più importante, dice Keltner, è che i potenti stessi smettono di imitare gli altri… I potenti ‹‹smettono di simulare le esperienze altrui›› e questo determina un ‹‹deficit di empatia››. Il mirroring è un tipo d’imitazione più sottile che avviene esclusivamente nella nostra testa e di cui non siamo consapevoli. (…) Se l’effetto fosse durato più a lungo, per esempio se gli analisti di Wall Street si fossero sentiti ripetere quant’erano bravi trimestre dopo trimestre, se gli avessero offerto continui aumenti di stipendio, e la rivista Forbes li avesse elogiati perché ‹‹guadagnavano bene e facevano guadagnare gli altri››, nel loro cervello sarebbe potuto avvenire quello che la medicina chiama un ‹‹cambiamento funzionale››. (…)

Si presume che il sapere sia potere. Ma a cosa serve sapere che il potere ci priva della comprensione? Il potere, dicono i ricercatori, spinge il nostro cervello a ignorare le informazioni marginali. Nella maggior parte delle situazioni, questo contribuisce a renderci più efficienti. Nelle relazioni sociali, però, ha l’effetto collaterale di renderci più ottusi. (…)

Si può fare qualcosa? Sì e no. È difficile arginare l’influenza che il potere ha sul nostro cervello. È più facile, almeno ogni tanto, smettere di sentirsi potenti. Nella misura in cui influisce sul nostro modo di pensare, mi ha ricordato Keltner, il potere non è tanto legato alla posizione che occupiamo, quanto a uno stato mentale. I suoi esperimenti fanno pensare che sia sufficiente raccontare una situazione in cui non ci si è sentiti potenti, (importanti, sicuri) per riportare il cervello a contatto con la realtà. (…)

Indra Nooyi, amministratrice delegata e presidente della Pepsi, racconta spesso di quando, nel 2001, le annunciarono che era entrata a far parte del consiglio d’amministrazione dell’azienda. Quel giorno tornò a casa crogiolandosi nel suo senso di importanza e nel suo dinamismo, ma sua madre le chiese se, prima di darle la ‹‹grande notizia››, poteva fare un salto a comprare il latte. Furiosa per la richiesta, Nooyi andò a comprarlo. ‹‹Lascia quella dannata corona in garage››, le disse la madre al ritorno. La cosa più importante di questa storia è che Nooyi la racconta. Serve a ricordarci che abbiamo degli obblighi quotidiani e dobbiamo restare ancorati alla realtà. L’atteggiamento della madre di Nooyi servì a riportarla ‹‹con i piedi per terra››…” Internazionale n. 1235 del 15 dic. 2017). 

 
 
 

Low cost

“I voli low cost e i servizi come Airbnb permettono ormai a milioni di persone di girare il mondo. Ma nell’era del turismo di massa ha ancora senso viaggiare? (…)

Un volo di ritorno con la Ryanair, la compagnia low cost che fa credere ai passeggeri che la carta d’imbarco è valida solo se stampata. Così facciamo infiniti tentativi con uno smart-phone e la rete wifi inaffidabile di un Airbnb spagnolo. Una mattinata persa, quella del mitico ultimo giorno. Alla fine tentiamo la fortuna, dato che di stampanti nei paraggi non ce ne sono, e ai controlli all’aeroporto mostriamo l’immagine della carta d’imbarco al telefono. Ci hanno spaventati minacciando multe, ma il personale non sa neanche di cosa stiamo parlando. Evidentemente la differenza tra una schermata e la materialità di un foglio di carta è importante solo per me e mio marito.

Seguono l’attesa e l’imbarco precipitoso, che con la Ryanair sembra avvenire clandestinamente, sempre a un gate isolato dove a un certo punto, senza nessun annuncio, la fila di persone in attesa si mette in movimento: segui quella fila, è la tua. Ecco, volendo essere un po’ melodrammatici, tutto questo si potrebbe definire una sofferenza. L’aereo strapieno, il personale di bordo esausto che sembra quello di un qualsiasi centro commerciale europeo, la lotta per lo spazio nelle cappelliere, i sedili che sono a prova di vandali e si sente.

Il volo costa pochissimo, ma la domanda è: quanto poco costiamo ormai noi passeggeri? Dopo il decollo vado in bagno, è talmente sporco che neanche un maschio sa ache santo votarsi. Avviso la hostess: tra un’incombenza e l’altra, sta addentando un panino che, come scoprirò più tardi, deve pagarsi da sola. Alza le braccia al cielo, in segno di assoluta impotenza, e per poco non decolla anche il panino.

Sul viso di quella hostess sovraccarica di lavoro e mal pagata, che dopotutto rappresenta la sua compagnia aerea e che rende possibili tutti quei viaggi piacevoli ed economici nelle capitali europee – e ne fa vari al giorno, con venticinque minuti esatti di pausa tra un volo e l’altro – su quel viso intravedo la mancanza di senso di tutto ciò. Si è già tolta da un pezzo la sua maschera sorridente. Il mio io turistico mi disgusta. E mi vergogno. (…) Già nel 1958 Hans Magnus Enzensberger aveva scritto Una teoria del turismo, un saggio che non cade nello snobismo del viaggiatore e guarda freddamente a un fenomeno che stava assumendo dimensioni sempre più di massa… Enzensberger si chiede senza sentimentalismi: “Abbiamo creato il turismo o è stato il turismo a dare forma a noi?”… Perché, osserva Enzensberger, “il turismo non si può comprendere dal punto di vista storico, e ogni critica al turismo è cieca”. In altre parole: quando la raggiungi, la tua destinazione è già stata devastata… Fino al settecento Enzensberger vede “un esercito di soldati e messaggeri, pellegrini, studenti, uomini di stato, vagabondi e fuggiaschi” percorrere strade sconosciute… Internet ci permette di essere gli agenti di viaggio di noi stessi e ha reso possibile la nascita e lo sviluppo di Airbnb… Un ampio appartamento di Airbnb nel centro storico della città. Arriviamo nel pomeriggio e stando ai messaggi saremo accolti da un tal Ignatio. Ma come succede negli Airbnb di Cordoba e Granada, questo nome che continua a mandare messaggi amichevoli non è altro che il marchio di un prodotto. Dietro si nasconde un’impersonale azienda che si occupa di consegnare le chiavi e gestisce un intero palazzo di appartamenti. Mi aspettavo di essere accolto da un uomo o da una donna che ci avrebbe raccomandato un buon ristorante nei paraggi e il miglior posto dove fare colazione. Ma a riceverci non c’è nessuno, solo qualche messaggio su WhatsApp con i codici per accedere a un corridoio dove c’è un armadietto con dentro le chiavi, da aprire con un altro codice. Tre strade più avanti c’è la tua destinazione, tanti saluti da Ignatio… Naturalmente esistono gli Airbnb dove il proprietario esiste davvero e ti fa anche trovare un mazzo di fiori, ma la gran parte dei profitti finisce nelle tasche di aziende anonime con maschere umane…

Il diritto umano di ritirarsi per un po’ dalla vita quotidiana, anche sei o otto volte all’anno (nel fine settimana o durante la settimana): cos’è che rende la nostra vita così insopportabile da dover continuamente scappare? … Non dovremmo piuttosto organizzare la nostra esistenza in modo da non dover continuamente scappare? …

Anche noi occidentali benestanti siamo cercatori di felicità, e a un certo punto ti ritrovi nel bel mezzo dell’interminabile fila per gli Uffizi, con i biglietti prenotati su internet dieci giorni prima su cui è indicata una “finestra di tempo”: il tuo gregge sarà fatto entrare alle 9,30 in punto. Di quadri non ne vedi. Vedi soprattutto telefoni sollevati in aria, qualcuno che vuole fare una foto migliore ti spinge… Nel volto stressato dell’Altro devi riconoscere il tuo: quello del turista invasore. La conseguenza è il disgusto e un sentimento di odio verso sé stessi. Tutte quelle persone che si muovono per la città come bestie cieche, con i nervi a fior di pelle per il disorientamento, inebetiti perché concentrati solo sul proprio telefono, febbrili, spaesati e smarriti…

 

Noi, cosmopoliti di buonsenso, viaggiatori, cittadini del mondo: fermiamoci… Tutti questi spostamenti inutili dimostrano solo che non siamo contenti della nostra vita di tutti i giorni. ‹‹Devi cambiare la tua vita››, ha scritto il filosofo tedesco Peter Sloterdijk. Non si riferiva all’ambiente in cui vive qualcun altro. Basta con il turismo. A cominciare dal nostro” (Stephan Sanders, giornalista e scrittore olandese, Internazionale n. 1235 del 15 dic. 2017). 

 
 
 

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