Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Agosto 2018

Ovvero la parte più vicina

Post n°2771 pubblicato il 31 Agosto 2018 da namy0000
 

Il Qalamun meridionale, ovvero la parte più vicina a Damasco, in Siria, (una sessantina di chilometri verso nord) della catena montuosa che separa la Siria dal Libano. Tra queste rocce si annidano i pochi villaggi in cui la presenza cristiana è salda da millenni, dove ancora si parla il neo-aramaico occidentale, l’unica forma sopravvissuta della lingua usata da Gesù. inevitabile, quindi, che l’islamismo armato colpisse qui con particolare ferocia, per cancellare la minoranza cristiana come richiedeva il più ampio progetto di smantellamento della Siria e del suo pluralismo etnico-religioso.

Così, in questi villaggi, il passato remoto e il presente estremo della Siria si sono incrociati e sovrapposti in modo affascinante e pericoloso. Sarkis viveva a Maaloula, un piccolo centro a 1.500 metri d’altezza, quasi affogato tra le rocce che lo circondano. Poche migliaia di abitanti, greco-cattolici e ortodossi, e un’economia abbarbicata alle pietre come le persone. Ci sono le caverne in cui i cristiani dei primi secoli correvano a nascondersi quando incombevano le persecuzioni dei romani, in particolare quelle ordinate dall’imperatore Diocleziano.

Tra queste montagne s cominciò a sparare nel settembre del 2013 e un mese dopo i jihadisti erano padroni del campo. Molti abitanti di Maaloula erano riusciti a fuggire. Per gli altri cominciarono le persecuzioni, gli assassini (almeno 300 civili uccisi) e i rapimenti. Innumerevoli furono gli atti vandalici contro la meravigliosa eredità che il cristianesimo ha depositato in questi luoghi così appartati.

Verso ovest ci sono le città a maggioranza sunnita del Libano, specialmente Arsal, da dove arrivavano rifornimenti di uomini, armi e mezzi. Al di qua l’autostrada M5, la spina dorsale del Paese, la direttrice che collega Damasco ad Aleppo.

Interromperla, per i ribelli, significava mettere in grande difficoltà Bashar al-Assad e i suoi generali. Per questo a Maaloula gli uomini di Al Nusra resistettero con tanta tenacia…

Ma per capire che cos’è davvero successo in questa parte della Siria, bisogna risalire di una ventina di chilometri verso nord fino a Seidnaya, un altro dei grandi centri religiosi del Paese…

Anche in quest’area, nel 2013, arrivarono le truppe jihadiste con il loro carico di violenza e con le ambizioni strategiche dettate dai comandi. Ma gli eventi presero qui un’altra piega. La comunità cristiana ortodossa si autotassò per comprare armi. Nei passaggi cruciali furono piazzate recinzioni e persino telecamere. Fu organizzata una milizia popolare e distribuite pattuglie. Ci furono scontri e la gente di Seidnaya ebbe i suoi morti. Ma i ribelli non riuscirono a installarsi davvero. Rimasero in zona ma preferirono attestarsi da altre parti.

A guerra quasi finita le conseguenze si notano. La comunità cristiana di Maaloula è più dispersa, perché tanti sono fuggiti anche dopo la fine del dominio jihadista, e divisa, perché molti imputano alle autorità religiose presenti nel 2013 di aver sperato di poter trattare con gli invasori…

A Seidnaya si arriva facilmente, in pratica senza controlli. L’atmosfera è distesa, le visite al monastero numerose e continue. Nessuna traccia, qui, delle devastazioni inferte a Maaloula, dove invece i lavori di ripristino, a distanza di quattro anni, non sono ancora conclusi.

Il monastero ortodosso di Mar Taqla, a Maaloula, è dedicato a santa Tecla, una delle figure più affascinanti del cristianesimo dei primi secoli. Figlia di un nobile di Konya (oggi Turchia), fu convertita dalla predicazione di san Paolo. Decise così di seguirlo… Perseguitata dalla famiglia e dalle autorità romane, fu salvata per miracolo da due tentativi di metterla a morte. Durante i secondo, quando le belve femmine, invece di attaccarla, la circondarono proteggendola dai maschi che volevano sbranarla, ricevette il Battesimo. La fase finale della sua vita viene raccontata in diversi modi che hanno, però, un tratto in comune. Secondo una versione, i soldati, mandati dal padre per ucciderla a causa della conversione, stavano per raggiungerla quando le sue preghiere spinsero il Signore a squarciare la montagna e aprire per lei uno strettissimo passaggio tra le rocce, impraticabile ai soldati. Secondo un altro racconto, Tecla aveva vissuto per molti anni in una grotta tra queste montagne, ottenendo una vasta fama di santa e di guaritrice. Convinti che tutto ciò dipendesse dalla sua verginità, i soldati cominciarono a darle la caccia. E di nuovo, con la preghiera, Tecla indusse la montagna ad aprirsi e a lasciarla passare. Il “passaggio di Tecla” può essere percorso ancora oggi. Un’esperienza toccante perché in effetti, da largo e comodo che è nei pressi del monastero di Mar Taqla, si restringe pian piano fino a diventare poco più di una fessura un chilometro più avanti. Il monastero conserva alcune reliquie della santa che, secondo la tradizione, è invece sepolta su uno dei contrafforti rocciosi che circondano Maaloula.

La chiesa ortodossa intitolata ai santi Sergio e Bacco (Mar Sarkis) sorge sulla vetta più alta di Maaloula ed è un gioiello del cristianesimo dei primi secoli. Fu costruita poco tempo dopo la loro morte, tra il 313 e il 325, risultando così una delle più antiche chiese del mondo. Sergio (Sarkis in aramaico) e Bacco erano due stimati ufficiali siriani dell’esercito romano. Convertiti al cristianesimo, subirono la delazione di commilitoni invidiosi e furono martirizzati nel 303 d.C. a Resafa (Siria), quando rifiutarono di sacrificare a Giove come prova di fedeltà a Roma. Prima di ucciderli, in segno di scherno i carnefici li fecero sfilare vestiti da donna intorno al campo militare.

Le milizie di Al Nusra, nel settembre 2013, trasformarono il vicino albergo per i pellegrini nel loro centro di comando e la chiesa in una trincea. Nella parte dietro l’altare c’è una finestrella d dove si domina la valle di Maaloula e proprio lì si appostarono i cecchini. Le 26 antichissime icone furono razziate, le pareti imbrattate, alcuni ambienti incendiati. Ora Mar Sarkis prova a rinascere.

Annidato anch’esso a 1.500 metri d’altitudine, il monastero di Seidnaya fu costruito nel 547 per ordine dell’imperatore bizantino Giustiniano I…

La presenza di tanti luoghi di culto e di preghiera su queste montagne si spiega con il fatto che questi erano i valichi anticamente usati per i pellegrinaggi da Costantinopoli a Gerusalemme. (FC n. 34 del 26 agosto 2018).

 
 
 

Avvocato dei poveri

Post n°2770 pubblicato il 31 Agosto 2018 da namy0000
 

Annalisa C., a Forlì, è conosciuta come l’avvocato dei poveri. Chiunque bussi al suo studio è sicuro di ricevere assistenza, anche e soprattutto se non può permettersi di pagare. ‹‹L’80 per cento dei miei clienti sono rappresentati gratuitamente o con il gratuito patrocinio. Se devo scegliere tra un cliente pagante e uno povero, scelgo il secondo. E non me ne sono ami pentita››. Oggi Annalisa, che è originaria di Ancona, ha 46 anni e 8 figli, di cui 2 in affidamento, Sandro e Vittorio, disabili psichiatrici di 30 e 40 anni. 2 sono adottati, ‹‹ma non dico mai quali perché ci rimangono male››. Suo marito Daniele S. è responsabile della Papa Giovanni XXIII di Forlì e Cesena. Una vita familiare “sempre di corsa”, aperta all’accoglienza. ‹‹Ero studentessa fuori sede, a Bologna, quando ho deciso di fare la tesi sull’affidamento››, racconta Annalisa. Una sua amica, durante un incontro al bar, le passa un foglietto con l’indirizzo di una casa-famiglia bolognese, legata alla Papa Giovanni. ‹‹Ho chiesto di fare un anno di volontariato presso di loro: era il 1992, il mio ultimo anno di università››. Le viene affidato il compito di seguire un bambino siriano di 7 anni, Scirac, che ha il corpo bruciato dall’esplosione di una bomba. ‹‹Dovevo stare con lui all’ospedale, a Vicenza, così studiavo di notte, ma è stata l’esperienza che ha cambiato la mia vita››. A Canazei, nell’albergo della comunità, conosce il marito e don Oreste Benzi. Dopo il matrimonio, il “don” le affida piccoli incarichi, poi la manda in prima linea. ‹‹Ho cominciato con l’assistere le ragazze tolte dalla strada, come parte civile››. Civile, penale, diritto di famiglia, ‹‹di volta in volta, sono diventata l’avvocato che i poveri hanno voluto. Sono persone disperate che non hanno niente››. Spesso si occupa di cause che la portano fuori città. ‹‹In questi casi parto di notte, guido in tuta e mi cambio e mi trucco in macchina, per risparmiare››. Ci tiene molto a presentarsi in modo impeccabile, perché ‹‹quando si lavora per i poveri bisogna essere inattaccabili, da tutti i punti di vista››. Tutti i casi che ha seguito per lei sono importanti, ma uno in particolare lo porta sempre nel cuore. ‹‹Seguivo un processo in Corte d’assise, all’Aquila, a carico di un uomo e una donna accusati di riduzione in schiavitù›› racconta, ‹‹rappresentavo una giovane albanese, una delle tante che vengono violentate già sui gommoni e poi costrette in strada con sevizie e abusi di ogni tipo››. Una delle tappe più dolorose del processo è l’incidente probatorio, in cui la vittima viene interrogata dagli avvocati della difesa, che cercano in ogni modo di farla cedere. ‹‹Abbiamo superato un interrogatorio di 4 ore. Poi c’è stato il terremoto, che ha colpito anche il Palazzo di Giustizia. Abbiamo rischiato di perdere tutto il lavoro fatto: avremmo dovuto ripartire da capo e i 2 aguzzini sarebbero fuggiti facendola franca. Quando sono arrivata nella città devastata dal sisma, la mattina della nuova udienza, ho visto i giudici che avevano caricato i faldoni recuperati dalle macerie nel bagagliaio delle auto, poi mi è venuto incontro il procuratore, con il Cd dell’incidente probatorio in mano. Il processo era salvo e oggi i 2 sfruttatori sono stati condannati in via definitiva›› (Simonetta Pagnotti, giornalista, da L’avvocato delle cause povere, FC n. 15, aprile 2015).

 
 
 

Una grande opportunità

“La tragedia di Genova rappresenta una grande opportunità per tutti noi, un’occasione formidabile per decidere di cambiare, per ricostruire quel ponte che collega tutti gli abitanti di questa terra. Smettiamo di affidare il nostro futuro a chi ci illude con rendite sicure a responsabilità zero. Il crollo del ponte è la metafora di un sistema che crolla, perché non può funzionare; né per noi né, tanto meno, per i nostri figli. È finito il tempo di credere che il nostro valore consista nella nostra capacità di fare impresa o investimenti per conseguire utili a tutti i costi. È finito anche il tempo di credere che ci meritiamo il nostro orticello perché siamo stati più bravi degli altri, vivendo di rendita senza doverci preoccupare di quello che ci circonda. Dipende sempre tutto da noi, solo da noi. Dare la colpa di quello che succede nelle nostre vite agli “altri” è l’alibi del perdente, di chi non ha voluto vedere e neanche sentire. I tempi nuovi ci impongono soprattutto di cercare il bene per gli altri. Il bene per gli altri è il nostro bene, la priorità per chi vuole sopravvivere a quel sistema che ha fatto il suo tempo, autoalimentandosi da troppo tempo ormai con una comunicazione ansiogena che ci impedisce di essere umani, creando profitto per pochi e confusione per tutti gli altri.

Fermiamoci, ascoltiamo chi ci sta attorno e ascoltiamo il nostro cuore. il desiderio sarà il propulsore più potente per realizzare quel mondo ideale che ci siamo immaginati – Angelo P.” (Lettera pubblicata su FC n. 34 del 26 agosto 2018).

 
 
 

Nelly

Post n°2768 pubblicato il 28 Agosto 2018 da namy0000
 

“NELLY, UNA DONNA AFFAMATA DI VITA. A 23 anni finge di essere pazza per farsi ricoverare nel manicomio femminile di Blackwell’s Island, e scrivere, senza filtri, la prima inchiesta su quell’inferno. A 25 compie, da sola, il giro del mondo in 72 giorni. È Nellie Bly, pseudonimo di Elizabeth Jane Cocharan, nata in Pennsylvania nel 1864, la prima donna reporter della storia. Nicola Attadio ne ha ripercorso l’avventurosa esistenza in un’affascinante biografia, da non perdere, che grazie a un’intensa complicità di anime fra autore e protagonista svela, di quest’ultima, le emozioni, le paure e la forza vitale, con “corsivi” che scavano nell’intimità più segreta. La donna e la giornalista in Nelly Bly si integrano. L’intraprendente ventenne che si traveste da operaia, migrante, prostituta pentita, per smascherare i protagonisti delle sue inchieste, pubblicate sul New York World di Pulitzer, che raccontano un’America scossa da forti cambiamenti, vivendoli “in diretta”, è una donna che lotta contro le discriminazioni, rivendica per “le ragazze senza” istruzione, bellezza e denaro, la libertà di prendere in mano il proprio destino con lavori fino ad allora negati.  Inquieta e sempre affamata di qualcosa che la faccia sentire viva, è la pioniera di ‹‹una stampa che può avere un senso se contribuisce a migliorare la vita delle persone››. Paladina dei deboli e dei poveri, racconta i fatti attraverso lo sguardo dei lettori, creando un rapporto di fiducia che conquista. Fra successi e cadute, la sua vita è una stupefacente testimonianza del “genio femminile” che sa vedere quanto l’uomo non vede. Inviata sul fronte orientale del primo conflitto mondiale, scrive reportage indimenticabili di drammatica attualità, che stigmatizzano la disumanizzazione della guerra” (Mariapia Bonanate, FC n. 33 del 19 agosto 2018).

 
 
 

Due donne

Post n°2767 pubblicato il 27 Agosto 2018 da namy0000
 

“Due donne nel fare la spesa si incontrano, parlano dei casi loro; e il tempo passa; magari a casa c’è da avviare il pranzo, magari ci sono ancora tanti piccoli impegni da espletare e… si sta lì  “raccontarsi e ascoltare”.

Non si tratta di chiacchiere, ma di “incontro”, fatte salve le urgenze domestiche, naturalmente. Due donne si scambiano notizie, fatti, aggiornamenti su come va la vita. A una mentalità efficientistica ciò appare tempo sprecato, inutile, inefficiente. Ma dalla parte del cuore le cose paiono diverse e ci significano la bellezza dell’incontro. ‹‹Credo sia cosa buona›› ci aiuta a decifrare il segreto dell’incontro, perfino quando appare perdita di tempo. L’incontro è uno spazio di distensione, è una piccola pace. È a dire, ciascuna ha raccontato “i fatti propri” e ha trovato ascolto: l’altra sa di lei qualcosa, qualche paletto di solitudine è stato abbattuto. E dunque l’incontro è anche riposo, poi magari uno guarda l’orologio e si accorge che le faccende della vita aspettano, e allora si affretta, guadagna tempo: ma per un poco non si è sentita sola! Solo l’affanno, il calcolo, l’efficienza non permettono l’incontro. L’incontro infatti è un guardarsi, disinteressatamente, che nulla ha a che fare con il pettegolezzo, con il parlar male degli altri, con l’esibizionismo. L’incontro ha a che fare con la vita, accade come briciola di un dono gratuito” (Mariateresa Zattoni, FC n. 33 del 19 agosto 2018).

 
 
 

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