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Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Giugno 2021

Al servizio

Post n°3612 pubblicato il 30 Giugno 2021 da namy0000
 

2021, FC n. 26 del 27 giugno

In Eritrea la prima donna segretario dei vescovi.

Suor Tseghereda, al servizio della Chiesa e della pace

Comboniana, laureata in Medicina, ha posto subito fra le sue priorità la fine del conflitto con l’Etiopia e ha assicurato che sosterrà tutti, al di là di etnie, credo ed età.

 

Suore in prima linea sulle frontiere del mondo, che stanno dove gli altri scappano, un esercito silenzioso, per lo più sconosciuto. Su una di queste frontiere ora c’è suor Tseghereda Yohannes, con un incarico mai prima ricoperto da una donna: segretario generale della Conferenza dei vescovi eritrei.

Comboniana, una laurea in Medicina e dottorato in Medicina molecolare, ha insegnato per sedici anni all’università di Asmara. La frontiera sulla quale svolgerà il suo incarico è incandescente a causa del conflitto fra Eritrea ed Etiopia, che ha provocato migliaia di morti, quasi due milioni di sfollati, 4 milioni e mezzo di persone che necessitano di aiuti umanitari, 5 mila minori separati dai genitori, ed esposto ad abusi quasi mille donne e ragazze vittime di violenza.

Suor Yohannes, sguardo profondo, accogliente, ha detto di essere pronta ad affrontare il suo incarico, in compagnia del re Salomone che, divenuto monarca, chiese al Signore «non ricchezza e potere, ma saggezza e discernimento per guidare il popolo di Dio». Nel suo programma di lavoro «attività pastorali, umanitarie e sociali per la costruzione della società secondo i principi evangelici e in favore di tutto il popolo eritreo, indipendentemente da etnia, credo o età di ciascuno».

Una dichiarazione di intenti che rivela quella sensibilità femminile, materna, che pone in primo piano la persona, senza alcuna distinzione, perché siamo tutti Figli di Dio. Ma che denuncia anche il pericolo di quelle insidie, ricchezza e potere che rischiano di non rendere credibile la missione della Chiesa stessa. Possono «corromperne la testimonianza», come avverte papa Francesco.

Anche sul conflitto che insanguina il corno d’Africa, suor Yohannes ha parole chiare e decise: «È un problema che sembra non avere fine. I vescovi eritrei hanno chiaramente condannato la guerra e chiesto ai leader dei due Paesi di risolvere la questione pacificamente. Cercheremo di studiare come riconciliare i popoli delle due nazioni». Quel plurale “cercheremo”, rivela tutta la sua forza e determinazione, la consapevolezza della necessità di una collaborazione fra uomini e donne, non solo più portatrici d’acqua, ma protagoniste che la Conferenza episcopale eritrea ha riconosciuto, assegnandole un ruolo così nuovo e inedito.

Dall’Africa una preziosa apertura in questa direzione da non lasciar cadere. La Chiesa ha bisogno di donne come suor Tseghereda Yohannes.

 
 
 

Lo spirito di un bambino

Post n°3611 pubblicato il 23 Giugno 2021 da namy0000
 

2021, Avvenire 22 giugno

Calcio & solidarietà. Koulibaly, una nave di aiuti per il suo Senegal

Il difensore del Napoli ha fatto partire un cargo da Napoli diretto a Dakar carico di alimenti e materiale sanitario tra cui ambulanze e lettighe. Un campione che non ha mai dimenticato le sue origini

In campo è prima di tutto un difensore. Fuori è un vero bomber nell’aiutare gli altri. Kalidou Koulibaly, il fuoriclasse senegalese del Napoli, ne ha combinata un’altra delle sue. A inizio anno era stato “beccato” nei pressi di alcuni semafori ad Agnano mentre regalava giacconi ad alcuni connazionali per proteggerli dal freddo. Nei giorni scorsi invece in occasione del suo 30° compleanno ha fatto partire una nave dal porto di Napoli diretta in Senegal carica di alimenti e materiale sanitario: due ambulanze, lettighe, camici ospedalieri, mascherine. Nulla di nuovo, i tifosi partenopei conoscono bene la sua generosità: una notte di Capodanno aveva donato 500 euro a un mendicante fuori da un centro commerciale. Chi lo conosce sa bene quanto tenga alle sue origini e in questi giorni in vacanza nel suo paese sta partecipando a diverse iniziative promosse da alcune associazioni in aiuto dei bambini disagiati.

Un legame all’origine anche della sua passione per il calcio, come spiegò a The Players Tribune: «Sono cresciuto in Francia in una città che si chiama Saint-Dié, dove c’erano tanti immigrati. Mia madre racconta spesso della prima volta che tornammo in Senegal. Avevo sei anni e un po’ di paura. Fu la prima volta che vedevo i miei nonni e i miei cugini e fu uno shock vedere come viveva la gente in altre parti del mondo. Tutti i bambini correvano scalzi e ci rimasi male. Supplicavo mia madre ad andare al negozio e comprare delle scarpe per tutti, così potevo giocare a calcio con loro. Ma mia madre mi disse: “Kalidou, togliti le scarpe. Vai a giocare come loro”. Alla fine mi tolsi le scarpe di corsa e andai a giocare a piedi nudi con i miei cugini, ed è qui che iniziò la mia storia con il calcio».

Un paladino nella lotta al razzismo, ha più volte chiesto pubblicamente provvedimenti seri per contrastare gli ululati e cori vergognosi, di cui è stato spesso vittima nel campionato italiano. «Il razzismo? Credo che i bambini capiscano il mondo meglio degli adulti…» ripete spesso il campione senegalese che a tal proposito racconta sempre un aneddoto che vale più di mille discorsi: «La prima volta che ho vissuto il razzismo nel calcio è stato contro la Lazio qualche anno fa. Ogni volta che prendevo palla sentivo i tifosi che facevano dei versi da scimmia. Dopo il fischio finale camminavo verso il tunnel ed ero arrabbiatissimo, ma poi mi sono ricordato una cosa importante. Prima della partita c’era una giovane mascotte con cui sono entrato in campo mano nella mano, mi aveva chiesto la maglia e gli avevo promesso di dargliela dopo la gara. Quindi mi sono girato e sono andato a cercarlo, gli ho dato la mia maglia e indovinate la prima cosa che mi ha detto? “Chiedo scusa per quello che è successo.” Mi ha colpito molto. Questo bambino chiedeva scusa per non so quanti adulti, e la prima cosa a cui pensava era come mi sentivo io. Gli ho detto: “Non fa niente. Ti ringrazio. Ciao”. Questo è lo spirito di un bambino. È questo che manca al mondo in questo momento».

 
 
 

Intelligenza artificiale

Post n°3610 pubblicato il 22 Giugno 2021 da namy0000
 

2021, Scarp de’ tenis, Marzo.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Più reale del reale è il libro di Giovanni Vannini, docente all’Istituto Universitario Salesiano e esperto di social media.

La maggior parte degli studiosi ritiene che la coscienza ci distinguerà sempre da ogni futuribile post umanità. Oggi sono operativi impianti neurali che “leggono” e “scrivono” la mente. Meraviglioso e spaventevole. Meraviglioso: milioni di disabili gravi potranno tornare a parlare. Spaventevole: un marketing cannibale ci condizionerà direttamente a livello neurale. Personalmente credo che la coscienza resterà non replicabile ma cambierà tutto il resto, corpo, sensi, cervello.

Con l’Intelligenza Artificiale ci “leggono”, con gli artificial influencer ci “riscrivono”. Gli artificial influencer fanno manipolazioni attivamente, 24 ore su 24, in modo personalizzato.

Possiamo difenderci con la consapevolezza. Ogni singola volta che usi il cellulare senza la presenza di mente e cuore alimenti il potere degli artificial influencer. Usa le tecnologie con consapevole intenzionalità, usale e non farti usare, sii presente nel qui e ora, definisci tu quando, dove, perché, come e che cosa di digitale entra nella tua giornata.

 
 
 

La nostra vela

2021, FC n. 25 del 20 giugno

La nostra vela salva il mare e l’equipaggio

I ragazzi della comunità e volontari di tutt’Italia imparano a difendere l’ambiente e a fare squadra

Una delle Case di Exodus si chiama “La Mammoletta”. Non poggia soltanto sulla terra delle colline dell’Elba, ma anche sulle acque del mare che circondano l’isola.

La Fondazione Exodus ha in dotazione due magnifiche barche a vela che le sono state donate, il Bamboo e la Maria Teresa, su cui i ragazzi hanno modo di sperimentare la socializzazione, la disciplina, lo studio, il mettersi in gioco e il contatto con la natura. Non solo i ragazzi ospiti della Casa, ma anche gruppi che arrivano da tutta Italia, da scuole, oratori, pure aziende che vogliono vivere un’esperienza forte e affascinante, anche dura e imprevedibile come quella in barca.

Assistiti dallo skipper-educatore, i giovani si mettono alla prova mentre vivono la straordinaria esperienza della navigazione, che ha per loro una forte valenza simbolica, educativa e terapeutica. Il mare è un incredibile maestro di vita e, oltre a donare la pace e la magia dell’infinito, insegna il rispetto e l’attenzione, la pazienza e la prudenza, il coraggio e la collaborazione. Ma ai ragazzi non viene offerta soltanto la possibilità di vivere l’ebbrezza di una traversata: i giovani sono costantemente impegnati anche nei lavori di officina e nelle cure e nella manutenzione di cui una barca e l’attrezzatura hanno continuo bisogno.

Anche quest’anno, insieme a Greenpeace Italia, con il Bamboo partiremo in tour in difesa del mare.

Greenpeace, infatti, in questi giorni si sta preparando a issare le vele: dal prossimo 21 giugno la spedizione di ricerca “Difendiamo il Mare”, promossa dall’associazione ambientalista e da La Mammoletta, attraverserà l’Adriatico. L’obiettivo è monitorare la contaminazione da plastica e microplastica e gli impatti del cambiamento climatico nel tratto di mare tra Ancona e Brindisi.

A bordo della barca a vela della Fondazione Exodus ci saranno anche i ricercatri dell’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ias) di Genova, dell’Università Politecnica delle Marche e del Distav dell’Università di Genova.

Sta crescendo la sensibilità ambientale. Spero che entri a pieno titolo nelle materie scolastiche. Dovrebbero esserci assemblee mensili sul tema. Come è possibile che a fianco di Greenpeace ci sia una comunità di tossicodipendenti e non magari un liceo classico o uno scientifico?

A La Mammoletta, tutti i giorni, gli educatori Marta e Stani cercano di coniugare il mare e la barca con il silenzio, con momenti di deserto e impegno quotidiano a contatto con la terraferma: per imparare a tenere la rotta, a lavorare in squadra e a viaggiare in armonia con se stessi e le forze della natura. Per questa estate alle porte, con responsabilità… buon vento a tutti!

 
 
 

RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI

2021, FC n. 25 del 20 giugno

COME HO CAPITO DAVVERO LA FRASE «RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI»

L’altro giorno, mentre guardo Tv2000, alle mie orecchie arriva questa frase del Padre Nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» e finalmente capisco concretamente queste parole che meccanicamente recito da più di 60 anni.

E ora vi racconto perché. Qualche anno fa, alla morte di mia madre, ho ereditato un appartamento. L’ho subito affittato, completamente ammobiliato, a una giovane coppia dello Sri Lanka alla quale avevo chiesto 500 euro al mese. Il capofamiglia è un ragazzo sui 30 anni che lavora nella ristorazione e non riusciva a trovare una casa perché, oltre ad essere straniero, la sua busta paga era di 700 euro (il resto gli veniva pagato in nero). Mi dice che la famiglia è composta da lui e sua moglie e quando gli chiedo come mai non ci sono bambini, con riluttanza (quasi terrore) mi confessa che la moglie è incinta. Leggo nei suoi occhi molta dignità ma anche l’amarezza, la delusione per i tanti rifiuti e sfruttamenti subiti. Incurante dei “buoni consigli” che mi vengono dati, gli affitto l’appartamento abbassando l’importo a 450 euro, considerando che stavo riscuotendo una rendita per la quale non avevo sudato, che i miei genitori sarebbero stati felici di questo, e per ripagare, in qualche modo, le ingiustizie che questo povero ragazzo stava subendo. Mi aveva raccontato qualche bugia, ma ho capito che non erano dettate da malafede, ma solo da paura, tanta paura. Per due anni non ci sono stati problemi; ogni mese, magari non puntualmente, mi versava l’affitto. Poi è scoppiata la pandemia e la carenza di lavoro. Non è più stato in grado di pagarmi l’affitto per alcuni mesi nel 2020 e per altri nel 2021. Immaginando la sua angoscia, gli ho sempre detto di stare tranquillo e di pensare alla sua famiglia, che nel frattempo era aumentata di una nuova creatura. Ora è molto felice perché ha ripreso in pieno il lavoro e mi ha proposto di sanare gli affitti pregressi un poco al mese.

Ma se tutti i giorni recito «Rimetti a noi i nostri debiti» devo anche continuare con coerenza il resto: «Come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Quando gli ho detto che nulla mi doveva, con moltissima dignità ha detto che non poteva accettare e che un po’ alla volta avrebbe sanato il debito. A quel punto, non rimaneva che dirgli che mi avrebbe ripagato quando io avessi deciso di fare una vacanza in Sri Lanka, dove sarei stata ospite nella casa che lui aveva lì. E così, con un sorriso veramente gioioso, entrambi soddisfatti dell’accordo concluso, ci siamo salutati. Subito dopo, parlando con la mia nipote di tredici anni, le ho raccontato di questo mio inquilino. Ho detto che se lui non poteva lavorare era giusto che io gli sospendessi l’affitto. La sua approvazione è stata totale e grande è stata la mia soddisfazione nel pensare che, magari, avevo messo nel suo cuore un semino di onestà-moralità - Anna

 
 
 

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