Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Agosto 2022

Male e Bene nella comunicazione

Post n°3765 pubblicato il 31 Agosto 2022 da namy0000
 

2022, Antonio Mazzi, FC n. 35 del 28 agosto

Il Male fa notizia ma il Bene conta di più

In questi giorni migliaia di ragazzi sono andati a Medjugorje, a Compostela  e in altre località artistiche, alpine, sportive e religiose, ma per l’opinione pubblica hanno fatto molto (e troppo) chiasso soprattutto le violenze dei trapper.

Con questo non voglio banalizzare niente, anzi, ma chiedo da tempo alla stampa e alla televisione che certi spettacoli bestiali vengano messi meno in risalto, anche perché dare informazioni su tanti particolari violenti, senza che poi si agisca per prevenire, non credo sia cosa seria.

Le scene dei due trapper di Milano, i coltelli, le frasi a sfondo razziale, la bicicletta con lo zaino buttati tra i binari, dopo aver aggredito e tagliato copertoni, si sono viste infinite volte, credo sia antieducativo e anche poco sociale questo infinito ripetere. Diamoci qualche limite anche nelle cronache.

Se aggiungiamo poi i fatti di Santa Marinella e delle periferie di Milano non basta che ci spaventiamo, ma occorre che ci muoviamo: dobbiamo, come ho già detto altre volte, lavorare intensamente, in sinergia tra pubblico e privato, sulla prevenzione.

Queste ultime violenze hanno poi assunto aspetti molto diversi da altre. In questo caso esistono faide che si contendono le piazze e che non hanno più limiti. Ammazzare e maneggiare coltelli e pistole è diventata cosa normale e le azioni sono sempre più cruente e “spettacolari”, chi le compie cerca così di acquistare gradimento alla propria musica. Mai avrei pensato che il genere musicale nato dall’hip hop venisse abbinato a scene così assurde e selvagge di violenza compiuta. Per accaparrarsi contratti con le case discografiche si passa dalle parole agli scontri fisici e alle sparatorie. Purtroppo ancora una volta soffro perché mi devo accontentare di raccontare senza fare qualcosa di veramente utile e positivo.

Però il fenomeno si è talmente espanso che tutti dobbiamo non solo farci le solite domande, ma chiederci quali mezzi, quali attività preventive urga mettere in piedi. La galera, la Polizia di Stato e qualche unità mobile non possono essere la sola risposta, perché i fatti ci travolgono ed esigono azioni molteplici e plurilaterali.

Però, non prendiamo le criminalità e le azioni sempre più cruente soltanto con preoccupazione e paura, perché quello che leggiamo o quello che emerge è ben lontano dal rappresentare tutta la realtà, fatta di male certo, ma per fortuna pure di bene, che si vede di meno ma certamente è più numeroso.

 
 
 

La famiglia dei pastori felici

Post n°3764 pubblicato il 30 Agosto 2022 da namy0000
 

2022, Avvenire 28 agosto

 

La famiglia dei pastori felici. «I pascoli? La nostra casa»

Tommaso e Valentina, sposi trentenni, accompagnano il loro gregge sui monti sopra Como. Portandosi dietro le figlie di 4 e 6 anni, che giocano con gli animali. «Ci riposiamo solo il giorno di Natale»

Una coppia di trentenni con due figlie piccole: sono pastori erranti. All’anagrafe risultano residenti a Binago (Como) ma la loro vera “casa” è la natura perché la vita della famiglia si svolge tutto l’anno all’aperto, in un continuo spostamento attraverso prati e boschi dalla zona di Tradate-Appiano Gentile, fino al lago di Como.

Dall’inizio di agosto marito e moglie e le due bambine sono arrivati in alpeggio a Musso, in una baita con pochi confort; qui resteranno con i loro animali fino alla fine del mese. Con un gregge di mille pecore, mischiate a un folto gruppo di asini e decine di cani, hanno scelto una “professione” alquanto insolita per dei giovani sposi: con al seguito le due figlie, di 4 e 6 anni, continuano una tradizione iniziata dal nonno di Valentina, con l’Azienda Agricola Del Vecchio, tuttora attiva. «Durante l’anno scolastico – racconta la giovane – la sera io rientro in cascina a Binago, così le bambine la mattina possono andare a scuola. Poi al pomeriggio veniamo al pascolo dal papà, e le piccole giocano con le pecore.

Alcune per loro sono amiche “speciali” e le chiamano per nome; le cavalcano, le inseguono, insomma sono il loro “giocattolo” preferito». E a vederle nel prato, in mezzo agli animali, si capisce subito che le piccole sono veramente felici. La loro vita è tutta immersa nella natura. «Mio marito invece – continua Valentina Del Vecchio – passa sempre le notti a curare il gregge, dormendo in roulotte anche d’inverno. A volte viene mio padre a dargli il cambio, così può tornare in cascina, dove si occupa anche dell’allevamento e dell’addestramento dei cani da pastore. Per la vita che abbiamo scelto non c’è festa che tenga, il gregge ha sempre bisogno di essere accudito e custodito.

L’unico vero giorno di vacanza per noi è Natale». Prato dopo prato, ogni settimana il gregge si sposta e così a giugno si arriva in alpeggio. «Durante l’anno – spiega Tommaso Boaglio, originario del Piemonte – prendiamo accordi con i proprietari che lasciano crescere l’erba per il foraggio; per alcuni giorni restiamo nello stesso posto, poi cambiamo località. Ci spostiamo soprattutto attraverso campi e boschi, per non intralciare il traffico con le nostre mille pecore. Il gregge non viene mai ricoverato: vive tutto l’anno all’aperto, prima in pianura, fino all’inizio dell’estate; poi in alpeggio sopra Como, come ora. Riscendiamo ad agosto e riprendiamo a vagare».

D’estate invece la famiglia si riunisce: in alpeggio vivono tutti insieme in una baita in mezzo al nulla, dove si arriva solo a piedi; così vengono utili gli asini, che trasportano viveri e valigie: «Nella baita sopra Como non abbiamo corrente elettrica né acqua corrente; prima o poi – sospira Valentina – dovremo cercare una casa più accogliente per le bambine». Gli altri “componenti” fondamentali della squadra estiva sono otto fedelissimi maremmani, addestrati a tenere lontani i lupi e proteggere il gregge. Gli altri cani, sempre sotto la guida del giovane pastore, sono a servizio del gregge: lo radunano, lo spronano, inseguono le pecore più lente e indisciplinate per metterle in riga.

Una vita e un lavoro decisamente fuori dall’ordinario: «Ci sono altri giovani pastori vaganti come noi – spiega – e ci conosciamo tutti: hanno le loro greggi a Tradate, Morazzone, Appiano Gentile e Bulgarograsso. Per il nostro lavoro le difficoltà maggiori sono legate al mercato: attualmente nessuno vuole più la lana delle nostre pecore, ne abbiamo montagne in cascina e non sappiamo che farcene. Si preferisce rifornirsi dai grossi produttori che vendono il prodotto già lavorato. Le nostre pecore sono solo destinate alla carne: una volta all’anno viene il grossista e seleziona i capi più maturi, di almeno sei mesi, noi teniamo le femmine per la riproduzione».

 
 
 

Il fantasma dell'astensionismo

2022, Avvenire 29 agosto

Elezioni. Giovani, il fantasma dell'astensione: «Questa politica non ci rappresenta»

Il 20% è sicuro di non andare alle urne, ma l’insoddisfazione per l’offerta elettorale sfiora il 50%. Gli esperti: pochi i ragazzi impegnati, per ora prevale l’incertezza

 

La grande paura è la diserzione di massa. Se il primo partito il prossimo 25 settembre sarà l’astensione, come dicono oggi tutti gli istituti di ricerca, è la generazione Z, i nati dopo il 1997, a preoccupare. Perché le urne vuote per chi ha appena compiuto 18 anni sarebbero un segnale chiaro di disaffezione verso il Paese, un messaggio lanciato alla classe dirigente tutta: non ci rappresentate. Nonostante l’invasione di massa dell’ultim’ora dei leader politici negli spazi virtuali frequentati dai giovanissimi, la tentazione di tirarsi fuori è alta. È proprio la mancanza di credibilità e di autenticità del teatrino messo su in questo mese di campagna elettorale, a essere finita all’indice. Attenzione: questo non vuol dire che non esista una minoranza di giovani e adolescenti impegnati, che ci crede. A loro, in particolare, si rivolgeranno le sirene delle formazioni politiche nelle prossime, decisive quattro settimane. Però la semina di idee, messaggi e proposte sarà tutt’altro che facile e bisognerà evitare l’effetto boomerang. D’altra parte, è da tempo che i più giovani manifestano segnali di lontananza dalle istituzioni: secondo gli ultimi rapporti dell’Istituto Toniolo (Università Cattolica) due under 30 su tre pensano che la situazione in Italia sia peggiore rispetto al resto d’Europa. «La quota di giovani distaccata dalla politica può essere stimata vicino al 20% – afferma il 'Rapporto Giovani' dell’Istituto Toniolo – ed è legata al disagio socioculturale e alla scarsa fiducia nelle istituzioni». La rilevazione di Swg di inizio agosto quantificava in un 42% le persone astenute o non sicure di andare a votare. Mettendo in fila le motivazioni di questa scarsa propensione a recarsi alle urne, spiccava al secondo posto il fatto che «votare non serve a nulla», pensiero assai condiviso dalla generazione Z. Proprio il target 18-34 anni raggiunge il 48% tra le categorie con minor 'disponibilità' ad andare ai seggi, esattamente all’opposto di over 54 e pensionati.

Strade, panchine e social
Su una panchina di un paese della provincia di Milano, Federico e Yuri stanno ascoltando un brano di musica trap. Si parla di vacanze, delle ultime serate, si accenna a quel che si farà dopo la Maturità appena presa. Il voto del 25 settembre non è tra gli appuntamenti contemplati. Si fanno al massimo battute su Salvini, Meloni, Letta. Nulla di serio, però. Il politico è valutato alla stregua di un influencer, più o meno (molto spesso, meno) efficace. «Quanto è credibile un politico che si crea adesso un profilo sui social, per catturare la mia attenzione?» si chiede ad esempio Francesco, che nell’ultima settimana ha visto scendere nell’arena virtuale candidati di cui non conosceva neppure il nome.

Circola un video su Tik Tok, tra i più giovani, girato meno di un mese fa. Si vedono i volti in carrellata di 25-30enni, intercettati per strada in una periferia di Roma. Quel che colpisce è il grado di rassegnazione. Davanti alla telecamera si alternano studenti e lavoratori. «Il problema principale è l’Italia» dice il primo, che fa intendere una sfiducia totale nel futuro del Paese. «Votare? Semplicemente non mi interessa». «Tutti dicono la stessa cosa, poi non fanno nulla. Quindi non voto e faccio prima».

A queste latitudini, la campagna elettorale è come se fosse non pervenuta. Non interessa, semplicemente, anche se ci sarebbe ancora tempo per informarsi, farsi un’idea, discutere. E poi decidere. Si oscilla tra la voglia dispersa da qualche parte di provare a contare ancora e chi ha già deciso: i seggi non mi avranno. «Scelgono loro... io no» dice un altro, finché non si presenta un ragazzo dall’aspetto impegnato. «Sceglierò il meno peggio, non votare non è la soluzione» spiega. Insomma, c’è chi tenterà di restare sul pezzo, seguendo la giostra impazzita del voto, e chi ha già disattivato le antenne. «Auguro a tutti di cambiare Paese» spiega un altro intervistato, che poi accenna a una spiegazione. «I partiti nutrono un sacco di false speranze». Il dibattito sui social non manca e più di uno fa notare che «è inutile che ci fanno votare, se poi ogni volta mettono un governo tecnico...».

Il grande disincanto
Come leggere questa grande disillusione? Come giustificare l’avvio anticipato dell’autunno dello scontento (giovanile)? «Ce stanno a fa’ morire di fame » sintetizza l’ultima voce. Secondo Lorenzo Pregliasco, esperto di comunicazione politica e cofondatore di Quorum/YouTrend, «la politica fa molta fatica a connettersi coi giovani, non da oggi. Con l’affluenza attesa a livelli più bassi della precedente tornata, è praticamente certo che l’astensione sarà il primo partito: un conto è calcolare in valore assoluto il 30% sugli aventi diritto, un altro è farlo, sia pur con lo stesso 30%, sul totale dei voti validi, che è più basso». Secondo l’esperto, il nodochiave da sciogliere è quello che gli addetti ai lavori chiamano «l’ecosistema informativo fluido. I nostri giovani non hanno, per la maggioranza, convinzioni forti e vivono dentro un palinsesto in cui tutto finisce per intrecciarsi: la foto su Instagram il meme su Salvini, il post di Chiara Ferragni e le cinque cose da sapere su Fratelli d’Italia...».

Poi c’è l’elemento familiare, che pesa in modo diverso rispetto al passato, perché c’è chi guarda alla politica attraverso le lenti dei giovani: a volte sono madri e padri a seguire i figli influencer. «Per la generazione Z, la partecipazione politica è legata a singole issue, a singoli temi, un po’ come avviene come nei consumi culturali. Siamo alla politica on demand, con un 10% di elettori, anche tra i più giovani, che deciderà cosa fare all’ultimo momento» osserva Pregliasco. Voto last minute e grande volatilità, con giravolte possibili sulle scelte dei partiti, saranno dunque l’altro aspetto determinante. «Sul voto di settembre c’è grande indecisione da parte dei ragazzi» ha dichiarato nei giorni scorsi Michele Sorice, professore di sociologia alla Luiss. «I giovani costituiscono circa un terzo di coloro che sono incerti su chi votare. D’altra parte la campagna elettorale non è ancora entrata nei temi a loro cari, come il lavoro, il caro energia, l’università, l’Erasmus. Ho comunque la sensazione e il timore che l’astensione giovanile sarà maggiore di quella degli adulti. Sono molto pochi i ragazzi interessati alla politica fatta dai partiti, eppure sono tanti coloro che fanno volontariato e svolgono attività di impegno civico. La politica non riesce più a parlare ai giovani e infatti solo l’1% di loro è iscritto a un partito».

 
 
 

Incontro di umanità

Post n°3762 pubblicato il 26 Agosto 2022 da namy0000
 

2021, Scarp de’ tenis, Dicembre

Chicca: «In carcere un incontro di umanità»

Da dieci anni, quasi ogni giorno, Chicca entra nel carcere di San Vittore per incontrare ed ascoltare le storie di chi, lì dentro, vive, lavora e sconta una pena

Da dieci anni, per tre, quattro, a volte anche cinque giorni alla settimana, Chicca cammina per chilometri per raggiungere il carcere di San Vittore. Poi, quando esce, riprende a camminare e camminare.

«Ho consumato un sacco di scarpe in questi anni. Ogni volta, prima di entrare, ho bisogno di camminare per prepararmi. Non entro mai volentieri a San Vittore, perché l’impressione è sempre quella di immergersi nella sofferenza. Ma poi, varcate le porte del carcere, questo peso scompare: ci sono persone che sono lì ad aspettarmi, che mi fanno sentire accolta, che vogliono parlare, consegnarmi le loro sofferenze ma anche le cose belle che vedono e che sono germogli di speranza. E all’uscita cammino di nuovo, penso alle persone che ho incontrato e le affido al Signore».

Chicca, 56 anni, monzese di origine, è un’ausiliaria diocesana: in pratica, una suora il cui incarico principale è stare all’interno delle parrocchie e accompagnare la vita pastorale dei ragazzi negli oratori, delle giovani coppie, delle famiglie. Anche dei bambini: Chicca insegna in una scuola dell’infanzia. Quando finisce l’orario di lezione, percorre a piedi i quattro chilometri fino a piazza Filangieri. Il carcere sembra c’entrare poco con questa missione e con la vita quotidiana delle parrocchie.

«In realtà c’entra tantissimo. La nostra presenza in carcere, mia e degli altri religiosi della Cappellania, racconta la cura che la Chiesa di Milano ha per le persone che sono recluse, dice che anche loro fanno parte della nostra comunità. Noi entriamo per accompagnare i cammini di fede. ma la mia esperienza di questi dieci anni dice che soprattutto è un incontro di umanità. Io ascolto: le loro storie, le loro domande che a volte sono di fede ma non sempre. Faccio anch’io delle domande, riflettiamo su quello che è successo loro. E in questa relazione umana a volte qualcuno chiede un accompagnamento spirituale, o di riprendere la preparazione ai sacramenti, o semplicemente di conoscere un po’ di più la Bibbia».

Chicca incontra soprattutto le donne della sezione femminile, che al San Vittore sono un’ottantina, ma non soltanto. Parla anche con gli uomini, con gli agenti e con gli altri operatori. Lei è lì per tutti. Ci sono cattolici che aspettano i colloqui, ma anche cristiani di altre chiese protestanti e musulmani. Alcuni si definiscono atei ma chiedono di partecipare ai gruppi. Gli stranieri si illuminano quando consegna loro il Vangelo scritto nella loro lingua, è come essere un po’ a casa. «Sono davvero pochissime le persone che rifiutano un contatto con noi».

E pensare che Chicca non ha scelto di fare servizio qui, non ci aveva mai pensato. Lei, prima di prendere i voti a trent’anni, ha insegnato come maestra d’asilo, ignorando a lungo la domanda dentro di sé sulla propria vocazione religiosa.

«Ho perso il papà molto giovane e in quegli anni il mio stipendio era importante per la famiglia, quindi mentre decidevo sul mio futuro facevo anche due conti molto concreti. Poi le cose si sono sistemate e non ho più avuto scuse», sorride. Ma la scelta andava verso quello che conosceva bene: il mondo delle parrocchie.

A dirla tutta, non ha nemmeno accettato esplicitamente di andarci in carcere, quando i suoi superiori gliel’hanno proposto. Ha semplicemente detto “Ci provo”, ed è ancora qui, dieci anni dopo, a provarci quotidianamente.

«È per me una scuola di umanità e di fede. Leggere il Vangelo con gli occhi di persone che hanno una storia segnata pesantemente, mette in luce cose che non avevo mai visto. Ricordo Giulia, che ho conosciuto, era una donna giovane ma molto in crisi. Suo marito fuori si stava rifacendo una vita e lei ha passato un lungo periodo lasciandosi andare, anche nell’aspetto fisico. Poi, un giorno di una Settimana Santa, sono entrata e l’ho trovata che stava facendo il suo lavoro, curata, truccata e ben vestita. Davanti al mio stupore, mi ha spiegato: è il tempo della Resurrezione, e voglio risorgere anche io». Giulia oggi è fuori, ha finito un percorso di studio e ha un lavoro. «Quel giorno ho visto un germoglio di speranza. È difficile trovarla in carcere, la speranza, ma c’è: i semi sono nelle persone, bisogna curare ognuno di questi germogli. Non la si possiede mai in modo definitivo, ci sono momenti in cui sembra essere scomparsa e va rivitalizzata. La vedo quando incontro persone che, nonostante siano recluse, non si lasciano andare, non stanno sulla branda tutto il giorno, ma cercano di vivere la giornata al meglio, si danno una mano e incoraggiano gli altri a tenere alto lo sguardo, a credere in un futuro buono che, da qualche parte, c’è per tutti».

 
 
 

La fede sposta le montagne

Post n°3761 pubblicato il 23 Agosto 2022 da namy0000
 

Caterina e quella sua bontà, riflesso della luce di Dio

Caterina è stata una ragazza dolce, con un grande cuore e un sorriso disarmante, che ha testimoniato con la propria vita che si po’ amare fino alla fine, anche di fronte a una malattia terribile che ti porta via. La sua vita, durata solo 49 anni, è stata vissuta come una grande luce riflessa di Dio. Non era una religiosa, non era sposata, non era una consacrata laica. Era una ragazza normale, che semplicemente metteva Gesù al primo posto nella sua vita come battezzata. Vivendo, ma anche morendo, ha sempre donato quell’Amore gratuito ricevuto dall’unica fonte preziosa del vero Amore, che per lei è sempre stato Gesù.

Caterina era una ragazza calabrese che ha lavorato come insegnante a Roma, insegnante per scelta. Una ragazza generosa, sempre pronta ad aiutare il prossimo, riservata, mai una parola fuori posto, sempre gentile con tutti, umile.

Una ragazza di cultura, molto studiosa, dotata di grande intelligenza, laureata in Economia e Commercio che sentiva di appartenere profondamente alla Chiesa. Una praticante assidua, la parrocchia come sua seconda casa; una catechista fervente per il sacramento della Cresima, dotata di tantissimi talenti, come per esempio il disegno (talento ereditato anche dallo zio paterno Filippo, che è un artista di quadri, sculture e poesie che fin da bambina ha sempre visto dipingere): era lei che preparava i cartelloni per il catechismo e per i ritiri o le feste parrocchiali. Una ragazza con una fede smisurata, che ogni giorno alimentava pregando e partecipando assiduamente alla celebrazione eucaristica. Sempre impegnata nell’adorazione perpetua come adoratrice in una Basilica romana, per lei l’Eucaristia è sempre stata il centro della sua vita. Queste le sue parole sull’adorazione: «Se sei triste vai davanti a Gesù! Se sei felice vai davanti a Gesù! Se hai un dubbio vai davanti a Gesù! Se hai una preoccupazione vai davanti a Gesù, lui il Signore è l’unico che parla al cuore, che consola, che guarisce, che illumina, senza di lui non si può vivere, è il grande dono che Dio ci ha fatto. Gesù pensaci tu! Vai avanti tu! Aspetto che tu, Gesù, vada avanti in tutte le situazioni problematiche e non della nostra vita».

Caterina è stata anche un’insegnante per missione. Amava il suo lavoro e vi portava onestà, generosità, fede, rettitudine, senso civico, impegno e perseveranza nel fare il bene dei bambini. Ha sempre avuto una grande pazienza con tutti. Le classi con gli alunni problematici venivano sempre affidate a lei perché con il suo impegno, la sua pazienza, la sua capacità, il suo amore di insegnante riusciva a condurre quei bambini a migliorarsi, tanto da portarli alla pari dei compagni. Neanche il dolore, la malattia, il cancro fulminante e incurabile hanno cambiato la sua fede. È sempre rimasta salda e aggrappata a Gesù, percorrendo la strada che Dio aveva stabilito per lei. La sua grande fede è stata la corazza anche nei momenti più difficili. La prova più grande, infatti, è arrivata nel 2021, quando ha iniziato ad avere problemi di salute. Le è stato diagnosticato un terribile cancro, piccolissimo, invisibile agli strumenti medici, ma molto aggressivo e che si è diffuso velocemente. Un tumore fulminante e incurabile in fase terminale. Ma anche di fronte a questa prova è stata salda nella fede e nella fiducia in Dio. Ha affrontato tutto con grande coraggio, ma soprattutto con il sorriso e con serenità. Gli stessi medici sono rimasti spiazzati dalla sua fede, dalla sua dolcezza, dalla sua serenità. Ha vissuto pochi mesi dalla diagnosi infausta e durante quel tempo Caterina non ha pensato mai a se stessa, ma ha avuto sempre un occhio di riguardo per tutti gli amati alunni, i colleghi, gli amici, i genitori e i familiari, i ragazzi del catechismo e tutte le persone che quotidianamente incontrava in chiesa. Per tutti ha avuto una parola di consolazione, di conforto, di benevolenza, incoraggiando tutti che Gesù è più forte di qualunque malattia.

Alcuni amici della parrocchia, visitando Caterina nella camera ardente, hanno detto: «Così muoiono i santi, abbiamo visto una santa vivere e morire». Caterina ha vissuto senza trattenere niente per sé, ha amato fino alla fine e si è addormentata dolcemente il 2 giugno 2021 all’età di 49 anni, dimostrando che l’Amore di Gesù non abbandona mai, che la fede sposta realmente le montagne, che si può continuare a sorridere anche morendo, perché la morte non avrà mai l’ultima parola: Gesù ha vinto la morte – Giuseppina Natale, sorella di Caterina (2022 FC n. 34 del 21 agosto).

 
 
 

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