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Messaggi di Gennaio 2023

La Candelora

Post n°3827 pubblicato il 30 Gennaio 2023 da namy0000
 

Candelora

La Candelora del 2 febbraio è una festività cristiana dal sapore antico: festa della luce, la “prima creatura di Dio”, in cui le candele sono vere protagoniste. Solennità del Cristo presentato al tempio come luce del mondo.

Si fa in molte nostre chiese una luminosa, breve processione di candele, all’inizio della celebrazione eucaristica. Ma come missionario non posso dimenticare la Candelora che si celebra a Marsiglia per ben 8 giorni.

Ho vissuto per alcuni anni nel centralissimo terzo arrondissement di Marsiglia, “il quartiere più povero d’Europa”, un pezzo d’Africa incastonato in terra francese. Ci si ritrova immersi tra gente d’Algeria, del Marocco, della Tunisia o delle isole Comore… Dappertutto si parla arabo o berbero. La Candelora vi inizia nell’oscurità delle quattro del mattino. Un popolo di fedeli si ritrova al vecchio porto per attendere “la nave”. Questo è il far memoria del Vangelo e della fede cristiana arrivati qui via mare, attraverso scambi e commerci. L’emozione è grande quando, finalmente, nel buio della notte si intravede la sagoma enorme dell’imbarcazione, con sopra, immobili, con la statua di san Pietro i giovani dell’accademia navale. Portano rivolte verso l’alto, tra torce accese, un prezioso evangeliario medievale. Il vescovo da sopra proclama il Vangelo e poi una lunga processione si snoda su, su, fino a mezza collina, all’antichissima abbazia di San Vittore del IV secolo. Si percorre, così, la “rue sainte” (la strada santa), percorsa per secoli da migliaia di pellegrini che si recavano a questo luogo del martirio del Santo. La chiesa abbaziale si staglia superba, circondata come una fortezza da un alto muro merlato. Prima di entrare in chiesa, tutti sostano sul piazzale antistante, che sovrasta la città. Questa appare completamente distesa ai propri piedi, alla luce tenue dell’alba come un interminabile e incantevole sfavillio di piccole luci. Il mare la circonda come in un abbraccio di amanti. Da qui il vescovo con tutto il popolo attorno benedice tutti i suoi abitanti, di cui un terzo musulmani.

È il momento più emozionante. La città, infatti, fondata 2.600 anni fa da marinai greci, è la città più antica e la seconda metropoli di Francia. Da sempre accoglie nella sua storia, vere e proprie ondate migratorie: greci, armeni, senegalesi, italiani, spagnoli, algerini, marocchini, tunisini, comoriani… ma in fondo, tutti marsigliesi! Sì, Marsiglia coltiva la tradizione di un sorprendente “vivere insieme” per la sua popolazione mista culturalmente e religiosamente da molto tempo. Ed è questo che il vescovo benedice a piene mani, come una luce che illumina il futuro di una comunità dalle innumerevoli origini. La “fraternité”, infatti, condita con un sapore provenzale qui si gusta ogni giorno e in ogni relazione. Miracolosamente. Anche se non mancano le sue ombre.

Poi, entrando, la solenne Messa delle 6 del mattino con una basilica stracolma di fedeli. Al termine, nel vicino forno più antico di Marsiglia, c’è l’immancabile benedizione da parte del vescovo, delle tradizionali “navette”, gli squisiti dolci secchi a forma di barchetta con finocchi e spezie orientali. Anche i sapori qui sanno ritrovarsi insieme tra Oriente e Occidente. A migliaia sono in quest’occasione le candele votive color verde-oliva che vengono distribuite e che ognuno porta a casa, che ricorderanno, che la Candelora è l’impegno per ognunoin un mondo dove prepotente emerge il male con le sue tenebredi essere un istante di luce. E questo lo si ritrova a ogni passo, in fatti comuni, ordinari. Come ad esempio nel terzo arrondissement, dove i missionari e le suore scalabriniani hanno fatto nascere da 30 anni l’associazione di volontariato “Enfants d’aujourdhui, monde de demain” (Bambini di oggi, mondo di domani), dove si fa un doposcuola gratuito e quotidiano a quasi 200 ragazzi musulmani del quartiere. E senti, per caso, una donna algerina, rivolta alle suore, esclamare: «Io ringrazio ogni giorno Allah perché ci siete voi. Perché voi preparate il futuro di mio figlio. Io non saprei farlo, non ho mai fatto la scuola!». Sì, anche questa è luce dal sapore mediterraneo di Candelora – padre Renato Zilio (FC n. 5 del 29 gennaio 2023).

 
 
 

Buone notizie

2023, Avvenire 28 gennaio

Buone notizie. Giornalisti al servizio della verità. «Liberi, coraggiosi e creativi»

A quattrocento anni dalla morte e nel primo centenario della proclamazione di san Francesco di Sales a patrono dei giornalisti, a Padova un Convegno sul comunicare oggi

Oggi più di ieri al giornalismo è richiesta una marcia in più. «Dobbiamo saper discernere oltre l’apparenza e il chiacchiericcio, come ci chiede il Papa. Per farlo occorre saper essere liberi, ma la libertà richiede coraggio e creatività». In un tempo dominato dalla solitudine e dalla guerra, il comunicatore ha il compito di costruire un “giornalismo di pace” a partire da se stesso, affermando una comunicazione non ostile, «tutto questo è possibile – ha assicurato Ruffini – senza vanagloria, sapendo che siamo solo strumenti in questa Babele. Allora troveremo un nuovo umanesimo». Carlo Maria Martini, «Babele è il luogo degli appuntamenti mancati, quando la confusione dei messaggi determina un pessimismo sociale sistematico, quando una società è raffigurata solo nelle sue mancanze…». «Ma per fare questo è necessario documentarsi – ha ammonito padre Giulio Albanesegiornalista missionario comboniano –. Le semplificazioni di un giornalismo manicheo, che senza studiare le fonti e le vere cause divide buoni e cattivi, cowboy e indiani, sono la cosa più pericolosa. Per comprendere la complessità degli eventi bisogna raccogliere informazioni, capire, saper leggere i segni del tempo come faceva san Francesco di Sales.» Ad esempio parlare di Africa come di “un Paese”, quando è un continente di 54 nazioni diversissime, è disinformare. Peggio: “L’Africa è povera”, si scrive in automatico, «invece galleggia sul petrolio, se potesse godere delle sue ricchezze anziché esserne derubata sarebbe il Canton Ticino, queste cose vanno raccontate o no?».

E ancora: «È giusto piangere quando muoiono i bambini. Non quando muoiono i bambini cristiani». E nel mondo «il 1% della popolazione detiene le ricchezze del 99%. Lo si scrive?». I bravi colleghi lo fanno, conclude, «ma una cosa è certa, il giornalismo è terra di missione».
Lo hanno testimoniato con le loro esperienze personali gli inviati dei vari media, da Avvenire a Fabio Bolzetta di Tv2000, dalla vaticanista di Rai3 Vania De Luca ai giovani reporter di Cube Radio, emittente dell’Istituto universitario salesiano di Venezia (Iusve), coordinati nel dibattito da Vincenzo Varagona (presidente nazionale Ucsi), Mimmo Vita (presidente Ucsi Veneto) e Michela Possamai (presidente Isre), con il commento storico affidato ai docenti dell’università di Padova Vittorio Berti (Storia del cristianesimo) ed Enzo Pace (Sociologia delle religioni).
Presenti nel folto pubblico anche numerose persone sorde, delle quali san Francesco di Sales è protettore. Un assist raccolto da Ruffini: chi sono i veri sordi del nostro tempo, se non i giornalisti che non sentono con il cuore?

 
 
 

Insieme alle istituzioni e alle forze sociali

Mafia. Il vescovo di Trapani: coscienza civile narcotizzata, ma l'arresto è una svolta

Monsignor Pietro Maria Fragnelli dopo la cattura di Matteo Messina Denaro: per la rinascita dobbiamo essere tutti protagonisti. C'è ancora molto da imparare da don Puglisi e il giudice Livatino

Non si nasconde il vescovo di Trapani, Pietro Maria Fragnelli. Pugliese, da dieci anni in Sicilia, parla di coscienza civile ancora «narcotizzata» e di zone grigie da superare. Ma ritiene l’arresto del boss Messina Denaro «una svolta». Guarda con speranza all’esempio dei giovani, «da sostenere e accompagnare». Ed è pronto, insieme con i confratelli vescovi siciliani e la Chiesa dell’isola, a fare la propria parte, perché l’esempio educativo di figure come Puglisi, Livatino e Biagio Conte diventi sempre più patrimonio di “anticorpi” a protezione della legalità.

Monsignor Fragnelli, la domanda più ricorrente in questi giorni, dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, è: quanto pesa ancora l’omertà in certe zone della Sicilia?
La fine della superlatitanza di Matteo Messina Denaro mette il dito sulla piaga di una coscienza civile narcotizzata, per dirla con Papa Francesco. Più che omertà, almeno per la maggioranza, parlerei di rassegnazione che impedisce un pensiero altro e scoraggia sogni di riscatto. Al mio arrivo in Sicilia ero consapevole della presenza di una “zona grigia” diffusa. Ma confesso che l’impatto è stato incoraggiante, mi ha fatto conoscere i volti e le volontà più motivate. Mi sono opposto al qualunquismo mediatico secondo cui dire Sicilia significa dire mafia. Quello che fa la differenza è camminare insieme, con le Istituzioni e le altre forze sociali, per un nuovo umanesimo della speranza e del coraggio, lontani dalle manie di protagonismi e antagonismi che frenano un vero cambiamento.

Ma rispetto al momento del suo arrivo a Trapani ha notato dei cambiamenti?
L’arresto di colui che vorrei chiamare “innominato” segna una svolta. Anche se attendiamo ancora la verità su tanti punti oscuri, è grande la soddisfazione di quanti hanno pagato prezzi alti nella lotta alla mafia. Il crescente raccordo tra Istituzioni e volontario sta portando alla luce un nuovo modo contrastare la mafiosità. La memoria di tante vittime di mafia oggi è un patrimonio comune. Cito i gemellini Asta con la loro mamma, l’agente Montalto, i giudici Ciaccio Montalto e Giacomelli a noi più vicini. Dobbiamo ringraziare la scuola e una rinnovata pedagogia sociale e spirituale.

I giovani di Castelvetrano, scout e studenti, hanno promosso dei sit-in dopo la cattura. Rondini isolate o c’è la speranza che i giovani seguano altre strade rispetto a quelle delle generazioni che li hanno preceduti?
In generale si può dire che crescono punti luce importanti, che vedono protagonisti i giovani che rimangono sul territorio. Il gesto degli scout, fatto a caldo, è stato un segnale di speranza maturato in un percorso lungo di educazione alla legalità. È necessario continuare ad accompagnarli verso ideali alti e motivazioni forti. Soprattutto servono politiche nuove che creino una nuova passione per la nostra terra. Noi abbiamo scommesso sul futuro sostenendo imprese giovani, start up, progetti innovativi con la Fondazione di Comunità Agrigento-Trapani.

E nella società civile di Trapani, lei che, come Vescovo, vive a contatto con la comunità, quali commenti ha sentito?
A parte coloro che sono rimasti piuttosto scettici, pensando che questo non basta, si registra una spinta a incoraggiare la piena liberazione dell'isola perché sia accogliente con il suo volto migliore. È importante che tutti siamo protagonisti della rinascita. Serve uno Stato che dia segnali non contraddittori, anche se personalmente ho sempre registrato un clima diffuso di grande stima per le forze dell’ordine. Anche il sentimento religioso tradizionale deve essere capace di rinnovamento, per esempio dando sostegno alle imprese confiscate alla mafia. Con una Fondazione che presiedo abbiamo scelto di affidare dei lavori ad una ditta in amministrazione controllata. È solo un segno che mi sento d’incoraggiare.

Il beato padre Puglisi ha sempre rifiutato l’etichetta di prete antimafia. Ma per fermarne l’opera di educazione ai valori evangelici hanno dovuto ucciderlo. La sua lezione quanto è presente oggi nella pastorale di diocesi come quella trapanese a forte presenza – almeno così si dice – di mafiosi?
Molto, ma non abbastanza. Anche se devo dire che in questi ultimi anni c’è stata un’accelerazione e un approfondimento in tutta l’isola. Quest’anno celebriamo 30 anni dalla sua morte ed è più vivo che mai. In cielo abbiamo due operatori di pace e giustizia in nome della fede: don Puglisi e Rosario Livatino. Credo che entrambi abbiano ancora molto da insegnare, non solo alla Chiesa, con quella testimonianza propria del Vangelo che crea relazioni più forti di ogni legame d’ingiustizia e di cupidigia del denaro.

Quali anticorpi può immettere la Chiesa nel corpo sociale per renderlo immune a una così pericolosa “malattia”?
Con i vescovi siciliani, direi la ricerca di un nuovo linguaggio evangelico e popolare capace di far crescere generazioni nuove di credenti. E lavorare con un senso forte del camminare insieme: non ci si salva da soli. L'omertà rivela la piccolezza maleodorante dell'autoreferenzialità. La Chiesa genera quotidianamente spazi di bene nel corpo sociale. È un umanesimo dal basso, che si apre al futuro nella sapienza vissuta tra e con i poveri. Penso a Biagio Conte, molto conosciuto e amato anche nel trapanese. Quando è arrivata la notizia della cattura di Messina Denaro qualcuno ha detto che si trattava del primo miracolo di fratel Biagio, che in quel momento una folla di oltre 10 mila persone, di ogni razza e credo, salutava come si fa con un padre o un fratello. La sua rivoluzione del bene è una forte testimonianza di conversione dalla mafiosità.

2023, Avvenire, 21 gennaio

 
 
 

La paura come una nuova religione

2023, FC n. 3 del 15 gennaio

SCEGLI DIO E SCONFIGGERAI OGNI PAURA

«La Paura sta diventando una nuova religione». Padre Guidalberto Bormolini vede un rischio all’orizzonte per la spiritualità della gente alle prese con la guerra, emergenza ambientale e pandemia: «Se non vigiliamo, l’oggetto della nostra paura diventa un idolo. È ciò da cui ci mette in guardia il Signore stesso nel Vangelo secondo Matteo quando dice “Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena”. Quando invece ci fidiamo, scegliamo Dio che ha cura di noi, e la Paura scompare».

Padre Guidalberto con il giornalista Mario Lancisi ha pubblicato un libro, Questo tempo ci parla, la rivoluzione spirituale e il sogno di una nuova umanità, Edizioni Terra Santa; che è quasi un compendio della sua spiritualità e parte proprio dalla Paura.

Barba lunghissima, eloquio rassicurante, Bormolini è un personaggio eclettico. Lombardo, di Desenzano del Garda, ex liutaio e falegname, in gioventù ha militato in movimenti pacifisti ed ecologisti. Da 30 anni è consacrato e prete nei Ricostruttori nella preghiera, un’associazione ecclesiale su modello monastico fondata dal gesuita padre Gianvittorio Cappelletto per «venire incontro al bisogno di preghiera e ricerca interiore» della gente d’oggi.

Il religioso oggi vive tra Firenze e Prato, dove è animatore di incontri di meditazione, promotore del Festival economia e spiritualità, studioso di vegetarianesimo e di dialogo interreligioso e specialisa in tanatologia, la branca della teologia e dell’antropologia che si occupa della morte. Con l’associazione Tutto è vita Onlus accompagna negli ultimi passi dell’esistenza le persone con diagnosi infausta e per loro sta ricostruendo un villaggio abbandonato sull’Appennino per creare un modello innovativo di “hospice”, dove l’assistenza spirituale, non solo cristiana, e la meditazione siano parte integrante del percorso di cura. Tra i suoi amici c’era Franco Battiato, di cui era confidente nella malattia e del quale ha celebrato i funerali nel suo ritiro alle pendici dell’Etna.

La morte è la paura delle paure, eppure è anche il “grande rimosso” della nostra società. «Il paradosso», sostiene Bormolini, «è che la nostra società ha un’ossessione patologica di respingere la morte che finisce per renderla necrofila. Io la chiamo “sindrome di Samarcanda”: come nel mito mediorientale reso celebre dalla canzone di Roberto Vecchioni, se si fugge continuamente dalla morte si finisce per cascarle tra le braccia. Mentre abbracciare “sorella morte”, come fa sanFrancesco con il lebbroso, permette di vivere con serenità».

Cosa significa abbracciare la morte?

«Vuol dire percepire la morte come un passaggio della vita», sorride serafico il monaco. «In un certo senso, noi moriamo continuamente: il bambino muore e rinasce come adolescente e l’adolescente muore per nascere come adulto. Accogliere la morte vuol dire aprirsi a un oltre». È ciò che la tradizione cristiana ha sempre insegnato: «Cristo è morto e risorto e ci fa morire e risorgere nel battesimo», ricorda padre Guidalberto.

Il monaco dei Ricostruttori nella preghiera sostiene che il passaggio d’epoca e le prove che stiamo vivendo siano il momento propizio per una “rivoluzione spirituale”. «Dobbiamo rimettere lo spirito al centro. E per noi cristiani è lo Spirito santo», spiega. «Ci sono stati momenti storici in cui abbiamo immaginato un mondo migliore instaurato da una rivoluzione. Io stesso da giovane ribelle sognavo un cambiamento radicale. Ma le nostre forze da sole non sono capaci di fare la rivoluzione: solo lo Spirito può. E opera quando lo invochiamo nella preghiera. Quindi, insieme all’impegno sociale (servire chi è povero e sfruttato, pacificare le guerre, difendere il Pianeta) dobbiamo pregare lo Spirito di “fare cieli e terra nuovi”».

Quando dice “preghiera”, padre Bormolini pensa in particolare alla meditazione, che fa tesoro della tradizione cristiana, ma anche delle esperienze di altre fedi. «Ma c’è una specificità cristiana: noi ci facciamo condurre da Cristo, il mediatore, a conoscere il mistero divino».

Come fare?

«Si può partire dal silenzio nel quale ascoltare il respiro e il battito del cuore, il ritmo della vita. Poi usiamo brevi parole ripetute e appoggiamole al respiro e al battito: i buddhisti lo chiamano il “mantra”, i musulmani e gli ebrei “il nome”, noi cristiani “giaculatoria”. Se invece la preghiera è solo mentale diventa sterile. È Gesù che ci dice: “Io sono la vita”».

 
 
 

Una fiammella fioca

Post n°3823 pubblicato il 19 Gennaio 2023 da namy0000
 

2023, Avvenire 18 gennaio

Lettera a Matteo. Uomo e mafioso: nel silenzio della cella, ora ascolta...

Ero a Palermo, lunedì, quando Matteo Messina Denaro è stato arrestato. Finalmente! Anche a me è sfuggito un grido di gioia. Della tua vita di spietato mafioso, caro fratello Matteo, si sa tutto, o quasi. A noi, però – per quanto ti possa sembrare inverosimile – interessi anche tu, il mistero che ti porti dentro, gli anni che avrai da vivere, la tua salute, la tua coscienza. Da tanto tempo ci chiediamo come sia stato possibile che voi mafiosi, nostri fratelli in umanità, battezzati nel nome della santissima Trinità, abbiate potuto fare tanto male a voi stessi, ai vostri cari, alla vostra gente, alla vostra terra.

Oggi siamo contenti, è vero. Siamo contenti di sapere che il caro popolo siciliano, e non solo questo popolo, ha fatto un altro passo avanti nel cammino di liberazione dalla mafia, che, come una mannaia, da anni incombe su di esso. Una lama affilata che ne ha condizionato e mutilato l’economia, il carattere, la fiducia nel prossimo e nelle istituzioni persino la fede in Dio. Una maledizione che ha costretto tanti giovani a emigrare in cerca di una vita normale. Siamo rimasti inorriditi davanti alla crudeltà che ha scandito le vostre vite, fino a portarvi alla diabolica decisione di sequestrare, tenere prigioniero per 779 giorni un bambino, per poi strangolarlo e scioglierlo nell’acido.

Non ti sei mai accorto, Matteo, che l’acido da voi usato per annientare gli altri, lentamente, andava consumando anche la vostra umanità? Abbiamo notato che al momento dell’arresto i carabinieri ti hanno portato via con gentilezza e senza le manette. Vogliamo ringraziarli. Hanno mostrato, a noi e a te, che l’Italia civile non infierisce sul reo. Avrai saputo della morte di fratel Biagio Conte. A ben guardare qualcosa vi accomuna. Ambedue caparbi e intelligenti. Biagio e Matteo, due siciliani che non si sono accontentati del poco che la vita offriva loro. Volevano di più.

Desideravano di più. Incontentabili. Ingordi. Due uomini che, però, hanno imboccato strade diametralmente opposte. Il primo ha spogliato sé stesso per arricchire gli altri, e ha trovato la gioia; il secondo – tu – ha umiliato, ucciso, affamato, strangolato gli altri per ammassare – inutilmente – oro, palazzi e conti in banca, senza poterseli mai godere appieno. Non trovandola mai, la gioia. A tutte le vittime innocenti, ai loro cari, va il nostro più caloroso abbraccio e la nostra preghiera. Non m’incuriosisce sapere a quanto ammonti il “tuo” patrimonio. So solo – e mi fa rabbia – che per sottrarlo ai legittimi proprietari hai sprecato e insozzato la tua unica vita.

Dimmi, fratello Matteo, quale demone ti ha tenuto prigioniero? Quello della quantità? Del potere? Del piacere? Perché ti scrivo? Perché so che la scintilla divina dentro di te, per quanto tu abbia tentato di sopprimerla, non si è mai del tutto spenta. Una fiammella, fioca, ha continuato a bruciare anche quando il freddo gelido del delirio di onnipotenza ti schiacciava. Adesso, nel silenzio della cella, dove ci hai costretto a rinchiuderti, se vuoi puoi ascoltare l’urlo muto della tua coscienza. Fallo. Non è facile, lo so, ma è possibile. La Chiesa – italiana, siciliana – non perde la speranza.

Con te esce di scena l’ultimo mafioso vecchio stile. Uno stile spietato e sanguinario. Quasi tutti i tuoi amici e rivali mafiosi che hanno terrorizzato l’Italia sono stati uccisi o sono finiti al carcere duro. Qualcuno ha collaborato con lo Stato. Spero lo abbia fatto per un vero bisogno interiore. Oso chiederti: vuoi permettere a Gesù di liberare il tuo cuore dai tormenti e dai rimorsi che l’opprimono? Vuoi iniziare ad assaporare la gioia vera che da sempre hai cercato e mai trovato? Vuoi smettere di barare con te stesso, gettare la maschera, liberarti dal personaggio, e chiedere perdono a Dio e al prossimo cui hai fatto tanto male? Vedi, sarebbe facile e comodo per noi, dopo averti rinchiuso, riprendere il cammino e dimenticarci di te. Non sarebbe il meglio, però. Il fuoco non si spegne con il fuoco. All’assetato – chiunque sia – va offerto un bicchiere di acqua.

Matteo, noi ci siamo. Gesù: «Non sono venuto per i giusti ma per i peccatori». Quindi anche per me, anche per te. Non aver paura. Apriti alla speranza. Il vero uomo d’onore non è colui che indurisce il cuore e non rinnega il suo passato, ma quello che sa pentirsi del male fatto, chiede perdono, espia le sue colpe e si impegna per il bene. Che la lunga schiera dei giusti caduti nella lotta alla spietata mafia ti aiuti a ritrovare la giusta via.

 
 
 

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