Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Giugno 2023

Possediamo solo ciò che doniamo

Post n°3887 pubblicato il 30 Giugno 2023 da namy0000
 

2023, Ermes Ronchi, Avvenire, 30 giugno

Possediamo soltanto ciò che doniamo agli altri

In quel tempo, Gesù̀ disse ai suoi apostoli: «Chi ama padre o madre più̀ di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più̀ di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà̀ tenuto per sè́ la propria vita, la perderà̀, e chi avrà̀ perduto la propria vita per causa mia, la troverà (...)».

Chi ama la propria famiglia più di me, non è degno di me. Ma allora chi è degno di te, Signore, della tua altissima pretesa? Padre madre fratello figlia… sono le persone a me più care, indispensabili per vivere davvero. Sono loro che ogni giorno mi spingono ad essere vero, autentico, a diventare il meglio di ciò che posso diventare. Ma la sua non è una competizione di emozioni, da cui sa che non uscirebbe vincitore se non presso pochi eroi, o santi o profeti dal cuore in fiamme. Eppure lo sappiamo che nessuno coincide con il cerchio della sua famiglia. Anche già per unirsi a colei che ama, l’uomo lascerà il padre e la madre!
Il Vangelo, croce e pasqua, un’eternità di luce, non si spiegano interessandosi solo della famiglia, e neppure una storia di giustizia, un mondo in pace. Bisogna rompere il piccolo perimetro e far entrare volti e nomi nel cerchio del proprio sangue, generare diversamente vita e futuro; staccarsi, perdere, spezzare l’eterna ripetizione di ciò che è già stato. Chi avrà perduto, troverà. Perdere la vita, non significa farsi uccidere: una vita si perde solo come si perde un tesoro, donandola. Noi possediamo, veramente, solo ciò che abbiamo donato ad altri. Come la donna di Sunem della prima lettura, che d’impulso dona al profeta Eliseo piccole porzioni di vita, piccole cose: un letto, un tavolo, una sedia, una lampada, e riceverà in cambio una vita intera, un figlio, insieme al coraggio del futuro. Risento l’eco delle parole di Gesù: Chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà. Gesù parla di una causa per cui vivere, che vale più della stessa vita. E Lui, che l’ha perduta per la causa dell’uomo, l’ha ritrovata. Infatti il vero dramma dei viventi è non avere niente e nessuno per cui valga la pena mettere in gioco e spendere la propria vita. E a noi, spaventati dall’impegno di dare vita e di seguire una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca non perderà il premio.
Croce e acqua, il dare tutto e il dare quasi niente. I due estremi di uno stesso movimento, un gesto vivo, significato da quell’aggettivo così evangelico: fresca! L’acqua, fresca dev’essere! Vale a dire procurata e conservata con cura, l’acqua migliore che hai, acqua affettuosa, bella, con dentro l’eco del cuore. La vita nell’acqua: stupenda pedagogia di Cristo, secondo cui non c’è nulla di troppo piccolo per chi vuol bene. Dove amare non equivale ad emozionarsi o a tremare per una creatura, ma si traduce con l’altro verbo sempre di corsa, semplice e concreto, fattivo, urgente di mani limpide e allegre come acqua fresca: il verbo dare.

 
 
 

Osvaldo giocava

Post n°3886 pubblicato il 29 Giugno 2023 da namy0000
 

2023, Scarp de’ tenis, giugno

Osvaldo giocava e giocava

Osvaldo giocava. E giocava, e giocava… Poco più di 50 anni, un lavoro nel commercio, una famiglia come tante. Ma un tarlo incontenibile e incoffessabile dentro la testa, che tanto ha scavato, da rischiare di far venir giù tutta l’impalcatura della sua vita. All’inizio era il tavolo verde, tornei di poker con gli amici. Poi si è spostato sugli sgabelli delle Vlt: dice che si era innamorato delle video-lottery, ma dalle macchinette era come posseduto. E anche se, avendo studi, laurea e posizione sociale di un certo rango, si rendeva conto del piano inclinato su cui scivolava il suo destino, sperimentava un senso di impotenza. Non trovando la forza di smettere da solo, almeno ha trovato il coraggio di chiedere aiuto. Ascolto, terapia, piano di rientro dai debiti: l’hanno acciuffato per i capelli, salvataggio che non riesce con tutti.

I dati economici dell’azzardo sono in costante aumento. Dei costi sociali si parla molto meno. Dalle fondazioni che si occupano di prevenzione dell’usura si apprende che nell’ultimo biennio l’incidenza di casi di dissesto finanziario dovuti a indebitamento da azzardo è in notevole aumento. Foraggiata soprattutto dal ricorso al gioco online.

 
 
 

Costruire un nuovo sistema

2023, FC n. 26 del 25 giugno

YUNUS: Cambiamo le banche o ci estingueremo

«Qualcuno deve alzare la voce per dire che il mondo sta andando nella direzione sbagliata», ripete l’economista bengalese Muhammad Yunus, Nobel per la pace nel 2006 per aver creato sviluppo economico attraverso il microcredito, il finanziamento di progetti imprenditoriali e agricoli in tutto il mondo (soprattutto ideati e creati da donne). È stato lui, insieme con l’attivista irachena Nadia Murad, sabato 10 giugno, a leggere in Piazza San Pietro, alla presenza del segretario di Stato della Santa Sede Pietro Parolin, la dichiarazione di “impegno alla fratellanza umana” a nome degli oltre trenta premiati con il prestigioso riconoscimento, giunti da tutto il mondo per il primo Meeting internazionale sulla fraternità umana. Abbiamo raggiungo il “banchiere dei poveri” il giorno dopo a Torino, poco prima del suo intervento alla serata conclusiva del festival CinemAmbiente, la più importante manifestazione italiana di cinema ambientale organizzata dal Museo nazionale del cinema di Torino. «Le religioni giocano un ruolo importante nella vita umana», esordisce Yunus. «Tutte dovrebbero lavorare per promuovere la fraternità. Attendiamo con ansia il ruolo guida di papa Francesco in questa direzione».

Qual è il suo rapporto con Francesco?

«Mi ha invitato in Vaticano diverse volte per esporre il mio progetto di microcredito. La Grameen Bank, la banca da me fondata, ormai è presente in tutto il mondo, con 150 milioni di beneficiari, per un totale di 125 milioni di crediti. Avevo conosciuto anche Benedetto XVI, anch’egli molto interessato ai miei progetti. Francesco intende approfondire il mio concetto di “banca sociale”, capace di invertire un sistema finanziario improntato sempre più verso l’alto, che estende le disuguaglianze».

Quali sono secondo lei i motivi di interesse da parte del Pontefice argentino?

«Viaggiamo sulla stessa lunghezza d’onda. Anche a lui ovviamente preme ridurre la povertà del mondo e considera l’attuale capitalismo liberista socialmente ingiusto. Credo che mi inviti in udienza spesso anche per convincere i suoi collaboratori. Ci ha sollecitato a stringere contatti con la Caritas per creare imprese e investimenti all’insegna del microcredito, il finanziamento di piccole realtà agricole e aziendali condotte da persone che le banche tradizionali non hanno mai considerato perché giudicate “non bancabili”, ovvero senza garanzie di rientro. Invece la nostra esperienza dimostra che i crediti non solo rientrano, ma portano sviluppo in tutta l’area in cui agisce la microimpresa».

Può il microcredito contribuire a domare l’inflazione?

«L’aumento dei prezzi è grave soprattutto per chi ha un salario fisso. Ma i beneficiari del microcredito sono imprenditori e dunque sanno come fronteggiarlo, almeno in parte, giocando sui prezzi, razionalizzando i costi, attuando tutte quelle misure che un imprenditore adotta per proteggersi dall’inflazione».

Oggi il quadro è molto cambiato dai tempi in cui è nata la microfinanza? È ancora efficace?

«Oggi più che mai le banche del microcredito possono diventare vere e proprie banche di sviluppo, permettendo alle classi povere di mettersi in gioco e dimostrare la propria capacità imprenditoriale per uscire dalla povertà e continuare a crescere. Ma servono nuove regole. Perché il sistema bancario attuale promuove la concentrazione della ricchezza, aiutando solo quelle infrastrutture che fanno arricchire chi è già ricco».

Da tempo lei parla della costruzione dopo la pandemia di un mondo a tre zeri: zero emissioni, zero concentrazione della ricchezza, zero disoccupazione

«Il quadro economico è drammatico e soprattutto non si preoccupa di quanto soffrono i poveri, incoraggiando a concentrarsi esclusivamente sui grandi profitti. Dopo la pandemia nel mondo sono stati investiti dalle banche centrali 14 trilioni di dollari. Dovrebbero essere usati per costruire un nuovo sistema bancario e concentrarsi sulla transizione ecologica, non per riparare quello vecchio. Altrimenti siamo destinati a estinguerci come i dinosauri».

 
 
 

Come don Milani

2023, FC n. 26 del 25 giugno

La maestra che ha regalato un sogno ai bimbi di Scampia (Napoli)

Elvira non è fuggita di fronte al degrado delle periferie e ha creato una scuola accogliente

Don Lorenzo Milani con i bambini di Scampia. Grazie a Elvira Quagliarella, insegnante all’Istituto comprensivo statale Virgilio IV di Napoli, protagonista di una di quelle storie che danno speranza e che ha cambiato la vita di generazioni di ragazzini.

Aveva 21 anni quand’è arrivata, 40 anni fa, in quello che è diventato un quartiere simbolo di tante periferie italiane. Un margine di mondo sospeso nel nulla, non c’erano forme di vita, solo pecore che pascolavano, «I bambini non avevano nulla. Solo quelle costruzioni orribili, le “Vele”, avvelenate dall’amianto e dal dolore delle persone costrette a viverci dentro, divenute la roccaforte della criminalità organizzata e di quelle attività illecite nei confronti delle quali “Gomorra” non è niente», ha raccontato Elvira in una testimonianza diffusa dalla Fondazione Angelo Affinita.

Un luogo estremo dal quale scappare. Ma c’erano quei bambini che la guardavano con sguardi spenti, spauriti. Un destino segnato, quello di essere reclutati per lo spaccio della droga, travolti dalla violenza delle bande giovanili e da situazioni familiari dissestate. «Nella vita nulla accade per caso, quello era il mio posto. Ho accettato la sfida e giurato a me stessa che avrei cercato di migliorare le loro vite, come aveva fatto don Milani, e ispirandomi alla pedagogia di Dewey e di Célestin Freinet». Così è iniziato il viaggio di questa tenace e coraggiosa insegnante con i bambini di Scampia. Da sola era difficile andare avanti, ha trovato compagni di strada nel Centro territoriale Mammut di Napoli che promuove una didattica alternativa. Con loro ha maturato un’idea ben precisa di scuola, diversa da quella dominante: «La scuola, come oggi è strutturata, troppo spesso è causa dell’insuccesso scolastico e dell’abbandono. Si fanno tante belle parole, ma poi nei fatti continua a selezionare, a evidenziare le differenze sociali e di classe. Noi “mammuttiani” riteniamo che si debba cambiarla, creare una scuola senza voti e senza pagelle, che parte dalla vita quotidiana e dal vissuto dei bambini, che li ascolta e li accoglie, non li esclude. Dobbiamo metterli in grado di buttar fuori emozioni, sentimenti, sensazioni, usando canali che sono sempre un tabù, come quelli degli affetti, del sentimento e altri che appartengono alla comunicazione non verbale».

L’allieva di don Milani non si è fermata a questo sogno, realizzato con successo, che vede i bambini arrivare felici a scuola e non volersene più andare. È riuscita ad avviare un progetto di musicoterapia, allestendo per figli e mamme una “Sala delle emozioni”, dove si scambiano abbracci, sorrisi. Ha promosso, con la dirigente del suo istituto, un progetto d’inclusione, “Affido culturale”, che ha coinvolto 60 famiglie in visite gratuite in città, a musei, cinema, teatri, librerie, all’insegna della bellezza che fa stare bene e alimenta la speranza. Elvira si è fatta carico anche della disabilità e del disagio sociale - «La popolazione della nostra scuola ha il 90% dei bambini con bisogni educativi speciali» - lavora con le Asl e con tutte le agenzie educative presenti sul territorio.

 
 
 

Vite rubate

2023, Avvenire 26 giugno

Cristian e gli altri, le vite dei ragazzi stravolte e salvate dalla droga

Il 18% degli adolescenti fa uso almeno di una sostanza. I percorsi possibili nella voce dei protagonisti e delle comunità

Si celebra oggi, tra incontri dibattiti e iniziative di sensibilizzazione sul tema, la Giornata internazionale di lotta alla droga in uno scenario di drammatica emergenza sul fronte dei consumi: secondo l’ultima Relazione europea sono 3,7 milioni le persone che fanno uso di cocaina, sebbene la cannabis mantenga il suo primato come sostanza illecita più usata nel Vecchio Continente (22,6 milioni di europei la utilizzano). Nella cornice di riflessione proposta dall’Onu, che ha scelto lo slogan #Peoplefirst, si inserisce anche l’appuntamento organizzato oggi pomeriggio a Roma, nell'aula dei Gruppi parlamentari della Camera, a cui parteciperà il mondo intero delle comunità e dei servizi con decine di testimonianze, e tra gli altri il presidente della Camera Lorenzo Fontana, il ministro per lo Sport e i giovani Andrea Abodi, il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Alfredo Mantovano. A chiudere l’incontro sarà la premier, Giorgia Meloni.

A 13 anni sulle strade di Pescara c'è Cristian, col suo zainetto in spalla. È poco più d'un bambino quando gli amici più grandi per gioco gli fanno provare uno spinello. Sono gli unici che gli danno retta in un mondo che ancora non capisce, e la droga nella sua vita la prima volta entra così. Per gioco e per dispetto, per noia e per provare a sembrare più grande. Dimenticate i supercattivi e i supereroi, gli youtuber col conto in banca a 5 zeri e le Lamborghini da clic: la generazione che le dipendenze si stanno inghiottendo, nell'Italia che di dipendenze si ostina a parlar solo quando succede qualcosa di clamoroso e tragico, ha il volto normalissimo di questo ragazzino di provinciaNon fosse la storia di quasi il 18% degli studenti tra gli 11 e i 18 anni, e che nell'ultimo anno ammettono candidamente di aver fatto uso almeno una volta di una sostanza (ma molti di due sostanze, o tre, o più insieme), si potrebbe persino far finta di niente.

Ma i numeri fotografati dall'ultima Relazione al Parlamento del Dipartimento politiche antidroghe, che tra l'altro sono fermi al 2021, sono anche clamorosamente sottostimati. Perché solo a guardare il saldo delle vittime di incidenti stradali, negli ultimi mesi, andrebbero almeno decuplicati. Le dipendenze sono una malattia nel nostro Paese e i sintomi li vediamo esplodere sulla pelle dei più piccoli, travolti dai disturbi alimentari e dalla depressione, dalle violenze e dall'autolesionismo. Stanno male, si ripete, e nulla o quasi si fa per curarli.

La storia di Cristian li condensa tutti. Lui la ripercorre seduto in macchina, alla vigilia della Giornata mondiale contro le droghe, vicino alla sua casa di Alba Adriatica, dov'è tornato a vivere oggi che di anni ne ha 20. Gli avevano chiesto di raccontarla nell'aula dei Gruppi parlamentari, dove per l'occasione domani siederanno ministri, sottosegretari, personaggi famosi del mondo dello sport e dello spettacolo e anche la premier, Giorgia Meloni. «Non me la sono sentita, per rispetto di mio padre che lavora nelle forze dell'ordine. La mia famiglia ha già sofferto troppo». Ed eccolo qui, il ragazzo perduto che rubava i soldi da casa per comprare la cannabis, e poi a 14 anni la cocaina, e a 15 l'eroina da fumare, «una spirale in cui ho perso tutto, ogni riferimento ed ogni priorità. Non contavano più nemmeno le persone, contava solo la droga». La dipendenza diventa presto spaccio, la scuola un ricordo lontano, la vita tutt'uno con la strada. Finché il primo amico, Matteo, muore di overdose. Ciò che - giusto per continuare a dare i numeri - l'anno scorso, sempre nel nostro Paese, è successo quasi a due persone ogni giorno. «È stato in quel momento che ho iniziato ad avere paura». Cristian torna da suo padre Giuseppe, spezzato dalla vicenda del figlio che lo ha ricoperto di vergogna anche nella caserma in cui lavora, e chiede aiuto. Lo trova, nonostante tutto. Decidono di rivolgersi al Serd, il primo punto di approdo per oltre 124mila persone nella stessa situazione di Cristian. Poi agli psicologi, poi - lì dove arrivano soltanto in 14mila ogni anno - a una comunità di recupero. E la vita finalmente ricomincia, il 13 agosto del 2019, al “Ponte” di Civitavecchia, una delle 45 strutture gestite dalla Fict (che si fa carico del 34% degli utenti in comunità da Nord a Sud). «Il percorso è durissimo. Inizia con 6 mesi di accoglienza, poi procede con 24 mesi di comunità vera e propria. Per me è stato tutto quello che non volevo, all'inizio: il ritorno alle regole, il ritorno al me stesso lucido, a quello che ero prima». Anche la famiglia di Cristian, con papà Giuseppe, inizia il suo percorso: «Per la prima volta capivamo cosa gli era successo, fin dove si era spinto col consumo di sostanze, che cosa avevamo sbagliato». Dietro a un ragazzo con una dipendenza c'è sempre una famiglia in frantumi, impotente, spesso lasciata sola. E la droga, come l'alcolismo o l'azzardo, porta con sé effetti collaterali devastanti se non intercettati anche a livello familiare, con percorsi di accompagnamento dedicati. Difficilissimi da cercare e da ottenere.

I confronti e i colloqui si rincorrono, gli anni passano, arriva anche il Covid, il lockdown, la paura di non riuscire a tornare mai, la speranza di poter essere qualcos'altro, «qualcosa di diverso dalla droga». Cristian studia, recupera gli anni di scuola persi, consegue la maturità a giungo 2021 e finalmente a gennaio 2022 esce dalla comunità, col sogno di diventare operatore socio-sanitario prima, infermiere poi. E con una fidanzata con cui progetta un futuro. Oggi papà Giuseppe è orgoglioso di lui, «perché si può cascare ma l'importante è risollevarsi. La sua storia è quella di una nave in tempesta che ha trovato prima la rotta, poi un porto sicuro e che ora è tornata in mare aperto». Per il lieto fine è servito guardare alla persona: #People first non a caso è il motto scelto quest'anno dall'Onu per celebrare la Giornata di lotta alla droga, «perché per troppi anni abbiamo ragionato sulla sostanza con battaglie ideologiche assurde, dimenticando le persone» rimarca il presidente della Fict, Luciano Squillaci. E poi ripartire dalle relazioni, in un cammino che prima d'essere terapeutico deve diventare educativo, «trasmettendo ai nostri ragazzi una rinnovata prospettiva di senso». Senza cui la droga - ma anche il bullismo, le challenge sui social network, le violenze contro un clochard o le aggressioni a un'insegnante - rischiano di averne. Almeno per i più fragili.

 
 
 

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