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Messaggi del 12/01/2021

In cerca di fortuna

Post n°3504 pubblicato il 12 Gennaio 2021 da namy0000
 

Reportage dal Messico: In viaggio con i migranti in cerca di fortuna, a bordo del convoglio che percorre tutto il Paese fino al confine con gli Stati Uniti

Una moltitudine di clandestini insegue il sogno di una vita migliore in Nord America, aggrappandosi per giorni agli agganci dei vagoni o sui tetti delle carrozze. Ultima fermata: il muro di Trump

Tagli agli arti inferiori, piedi e gambe amputate, forti traumi da caduta alla colonna vertebrale: un calvario che non si ferma nemmeno ai tempi del coronavirus. Sono i danni ai passeggeri della “Bestia”, il treno merci che taglia in due il Messico, sogno e dannazione per migliaia di uomini e donne. Più di 400 migranti mutilati negli ultimi 8 anni, per non parlare delle numerose vittime nei deragliamenti, sono stati curati dalla Croce Rossa e da un crescente gruppo di donne dette Las patronas, le madri coraggio che alle fermate assistono i viaggiatori. Queste pie donne, ogni volta che vedono passare quel treno in corsa di fronte ai loro campi, lanciano agli emigranti sacchi di plastica con viveri (riso, succhi di frutta, pane, qualche dolcetto) e bottiglie d’acqua per permettergli di arrivare sani e salvi a destinazione.

 

Questo treno scorre tra due mondi, toccando la frontiera dal Sud al Nord del Paese, verso gli Stati Uniti, un viaggio lungo e terribile di 4.000 chilometri. Si passa dalle foreste del Chiapas, a Sud, ai confini con il Guatemala, alle terre calde e umide del Centroamerica, sino ai deserti sconfinati del Nord del Messico, dove spianate aride si estendono all’infinito, territorio di condor, coyote e trafficanti dei cartelli della droga. È un treno merci, l’occasione da non perdere per chi, disperato, si gioca tutto per cambiare vita. Odore di mais, riso e sementi varie riempiono i vagoni di questo cavallo ferroso; sopra, sui tetti, esposte a sole o pioggia, afferrate alle travi di acciaio, viaggiano le persone. Alcuni si legano con cinghie e corde per non cadere, i ragazzini si avvinghiano alle mamme. Spesso questi tentativi sono inutili, perché dopo giorni e giorni di viaggio, una distrazione può essere fatale e si cade dal treno in corsa, perdendo la vita. Ogni anno sono migliaia i migranti centroamericani – principalmente dall’Honduras, El Salvador e Guatemala – a usare “La Bestia” per raggiungere gli Stati Uniti. «Abbiamo percorso quattro giorni a piedi, dormendo dove sembrava più sicuro. Poi, arrivati a Città del Messico, abbiamo aspettato che fosse buio per salire e partire», raccontano due ventenni, Juana e Omar, migranti del Guatemala.

 

Sulla “Bestia” non ci si riposa mai. «Per chi è lì da troppo tempo c’è un pericolo in agguato: la morte». Lo spiega padre Rafael, prete e giornalista, attento a raccontare la vita della sua terra. «Il sonno e la posizione instabile degli indocumentados sono i rischi per cui è facile cadere e morire, se non ci si lega bene». C’è chi sale e riprende un viaggio lungo, sino alla frontiera, a Ciudad Juarez, dove l’ex presidente degli Stati Uniti Trump voleva  terminare il muro. Non hanno altra scelta per raggiungere La Lìnea, i 3.200 chilometri di frontiera che separano le due Americhe. Sui bus corrono il pericolo di essere intercettati dalla polizia. Sul treno dei migranti invece macchinisti e autorità chiudono un occhio, spesso in cambio di mazzette.

 

Il percorso inizia nelle città di Tenosique, nello Stato di Tabasco, o a Tapachula, attraversando le città di Cordova, Ciudad Ixpetec, Arriaga e Orizaba, Città del Messico. Poi si sale verso San Luis Potosì e Saltillo, scali merci del Nord. Adesso, oltre ai pericoli noti, c’è un confine quasi invalicabile per le restrittive misure intraprese in Messico dal presidente Lopez Obrador con la Guardia Nacional e dall’esercito dei “gringos”, come i messicani chiamano i nordamericani. Ma le restrizioni di Stati Uniti e Messico non scoraggiano i ragazzi che perseguono il sogno di una vita più sicura e dignitosa. Le varie locomotive si alternano sulla ragnatela dei binari in tragitti di 10/12 ore, inframmezzati da pause di due, tre, anche sette giorni, in cui i migranti diventano bottino dei gruppi criminali che controllano il territorio. A Saltillo incontriamo Adrian, 32 anni. Viene dall’Honduras e riprende il viaggio da qui. «Dove vorrei andare? In Texas, sarebbe il mio sogno. Chi lascio? Una moglie e un figlio. Sanno che cerco un futuro anche per loro».

 

Ci saluta con un sorriso timido che illumina il viso meticcio, ributtandosi lungo la strada polverosa con le sue povere cose sulle spalle. In tanti scendono dal treno e fanno una sosta nelle città del Nord come Saltillo, Torreòn o Monterrey, per riprendere fiato. «Cercano un lavoro o qualche spicciolo, facendo i giocolieri quando il rosso dei semafori gli concede 3-4 minuti per un’esibizione», racconta Lupita P. volontaria della Caritas di Monclova che assiste periodicamente i giovani viaggiatori. «Poi alcuni migranti riprendono il treno prima che inizia il viaggio, altri salgono mentre è in movimento».

 

Il rischio aumenta con la presenza dei cartelli della droga che controllano le aree in cui passa il convoglio. I furti sono frequenti. I criminali uccidono per scarpe o cibo gettando i corpi in fosse comuni. Ogni tanto ne scoprono qualcuna e inizia la via crucis dei familiari per cercare un figlio o un fratello. Ma non manca la solidarietà. C’è un grande centro di accoglienza ad Arriaga. Pure a Turreòn, dalle 9 alle 16, questo popolo di disperati può mangiare anche in tempo di pandemia.

 

Grazie al cuore di Jesùs T., morto pochi anni fa, c’è un posto anche per loro. «Jesùs era speciale», racconta Lilia, viso tondo e dolce, responsabile del centro dove i volontari della Comunità di base danno una mano.

 

«Andava per strada a portare da mangiare ai ragazzi. Si offrono tortillas, fagioli, caffè e una doccia. Norma R. V., volto simbolo de Las patronas, le donne che offrono borse di cibo per sfamare i viaggiatori, è candidata al Premio del Senato messicano “Belisario Dominguez”. È uno stimolo per continuare a lavorare», commenta serena Norma, mentre i migranti riprendono il cammino, cercando di evitare i narcos e i colpi di sonno per giungere vivi alle frontiere del sogno. Il sogno di una vita. (FC n. 2 del 10 gennaio 2021).

 
 
 

Una seconda nascita

2021, Antonio Mazzi, FC n. 2 del 10 gennaio.

L’adolescenza è una seconda nascita che noi adulti fatichiamo ad accudire. Le punizioni non bastano.

Più volte andiamo parlando delle bravate dei nostri adolescenti. Ci sono due aspetti che vanno sottolineati, oltre al voltastomaco che certi vandalismi provocano. La prima riflessione deve partire da noi adulti. Forse la parola riflessione non sottolinea con sufficienza quello che la società dovrebbe fare. Riflettere, parlare, denunciare, indignarsi, lo facciamo da troppo tempo. Poi, rimaniamo, come è successo in piazza Plebiscito, allibiti e sconvolti. Ai nostri ragazzi dobbiamo proporre testimonianze ed esperienze che compensino i troppi vuoti di senso nei quali li lasciamo. L’energia, la vitalità, lo sviluppo velocissimo del corpo, fatto di braccia, gambe, voglia di prevalere e di esibirsi, soprattutto se in gruppo, privati della sensibilità, della capacità di interpretare storie, fatti, situazioni particolari, esigono interiorità e quel minimo di crescita, collegata alla visione globale della società sbilanciata e più attenta allo spettacolo che alle sofferenze e ai richiami di solitudini, di incapacità di ascolto, di accoglienza e di trasformazione delle relazioni in autentiche convivenze e in sagge compartecipazioni.

 

Questa scultura del bimbo di Jago, presa a calci dal solito gruppo di vandali, orfani di esempi, di esperienze positive, e di occasioni forti, provocatorie, solidali, seguita da adulti con la pazienza e la capacità di interpretare metodi e tempi, rappresenta purtroppo non un caso sporadico. Questo bambino rannicchiato dal viso sofferente e legato a terra da una catena che sostituisce metaforicamente il cordone ombelicale, rappresenta anche la storia di molti dei nostri ragazzi e forse anche l’infanzia di qualcuno dei cinque vandali. Ed è questa la seconda dolorosa riflessione che torno a ripetere da qualche tempo. Le nostre famiglie vanno aiutate in tutta Italia. Smettiamo di parlare di alcune località rispetto ad altre. Il periodo dell’adolescenza non va solo discusso e dibattuto in televisione o nelle terze pagine dei giornali. È terribile quello che fa intuire la catena che sostituisce il cordone ombelicale. Non è sufficiente mettere al mondo i nostri figli. C’è un secondo cordone ombelicale che non si ferma ai primi tempi o ai primi giorni. Troviamo un nome diverso, ma l’adolescenza esige “cordoni” adatti a una seconda nascita. L’adolescenza è una stagione che deve aiutare i nostri ragazzi a capire che cosa sta nascendo dentro di loro, come ordinarlo, come esternarlo e come viverlo. Dobbiamo tutti fare un passo più convinto e deciso, perché i segnali che ci arrivano non possono aspettare e tantomeno possono essere risolti con le punizioni. Deve tornare in campo il primato dell’educazione.

 
 
 

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