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Messaggi del 11/07/2018

Quel paese non ha i numeri

Post n°2710 pubblicato il 11 Luglio 2018 da namy0000
 

“Quel paese non ha i numeri. Immaginate di portare il vostro bambino di due anni all’ospedale. Siete preoccupati. Piange in modo inconsolabile da ore e ha la febbre alta. Arrivano tre medici per visitarlo. Il primo dice: “Non so spiegarmi perché suo figlio ha la febbre”. Il secondo dice: “La temperatura dovrebbe essere tra i 37,8 e i 41 gradi”. Il terzo dice: “I gradi sono 40. Suo figlio ha la febbre alta”. A quale dei tre dareste in cura vostro figlio? La situazione è abbastanza chiara: il primo medico è totalmente incompetente, mentre il secondo usa un discutibile metodo di valutazione con un margine d’errore troppo alto. Molto probabilmente scegliereste il terzo. Ma cosa fate se nel vostro paese i termometri sono imprecisi o addirittura non esistono? Date in cura il bambino a un medico che fa affermazioni perentorie basate su informazioni che non potete verificare? Oppure vi affidate a qualcuno disposto ad ammettere che non ha capito esattamente (o non ha capito per niente) qual è il problema? Il mondo è in buona salute. Negli ultimi 25 anni, la percentuale delle persone povere e denutrite nel mondo si è dimezzata. L’Africa – un tempo definita “il continente senza speranza” – va a gonfie vele: vanta 5 delle 10 economie che crescono di più al mondo. Spesso si sente dire”viviamo nel secolo africano” oppure “l’Africa è la Cina del futuro”. Almeno così crediamo. Questo quadro roseo è il frutto dei dati forniti da organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale. Dalla mortalità infantile alla crescita economica, dalla deforestazione alla disoccupazione: per ogni fenomeno c’è una tabella che mette a confronto i numeri di un paese con quelli di un altro. Ma c’è un problema. Quando si parla di dati sui paesi in via di sviluppo, spesso i termometri sono inutilizzabili. Su crescita economica, fame e povertà i numeri sono quasi sempre imprecisi o semplicemente inesistenti. Sotto certi aspetti, le informazioni disponibili sulla crescita economica in Africa non sono molte di più di quelle che aveva David Livingstone nell’800 mentre risaliva il Nilo. Le cifre sono spesso assenti, di scarsa qualità o contraddittorie. Per capire il motivo bisogna andare alla fonte, cioè nei vari uffici nazionali di statistica. Tra i loro compiti c’è quello di fornire dati alle organizzazioni internazionali, ma sono alle prese con una cronica mancanza di fondi, di personale e di competenze. Nel suo saggio Poor numbers l’economista norvegese Morten Jerven racconta una visita all’ufficio di statica dello Zambia nel 2010. C’era un unico funzionario che aveva la responsabilità di tutta la contabilità nazionale, compreso il pil. ‹‹Cosa succederà quando non ci sarò più?››, si chiedeva quel funzionario. I casi del Ghana e della Nigeria rendono ancora più evidente l’inadeguatezza dei dati sulla crescita in Africa. Nel 2014 la Nigeria ha aggiornato il modo di calcolare il suo pil. Era ora, visto che i dati si basavano ancora sui metodi e i sistemi statistici del 1990. Le telecomunicazioni e l’industria cinematografica di Nollywood, per esempio, erano ancora considerate dei piccoli settori, anche se entrambe avevano registrato un boom nei 25 anni passati. Dopo l’aggiornamento del metodo di calcolo, la Nigeria è risultata due volte più ricca. Con una crescita del pil dell’89%, in un solo anno ha spodestato il Sudafrica dalla posizione di paese più ricco del continente. È come se uno slovacco medio improvvisamente fosse diventato ricco quanto uno statunitense. Il Ghana aveva già rivisto i suoi numeri, e da un anno all’altro il pil si era impennato del 60%, un dato altrettanto impressionante. Il fatto che i due paesi abbiano aggiornato i loro metodi statistici è una buona notizia. Tuttavia, le enormi differenze nei numeri sono la dimostrazione concreta che le statistiche sul pil, in Africa, possono essere di qualità discutibile. Inoltre, è il caso di chiedersi se non sia necessario rivedere anche i metodi usati altrove. Com’è la situazione in paesi meno ricchi del Ghana e della Nigeria? Procedure lente. Il problema dei dati sul pil non riguarda solo la qualità delle rilevazioni, ma anche la tempestività. Le procedure sono così lente che spesso gli uffici nazionali di statistica impiegano anni a pubblicare i dati. Questo è un problema soprattutto per la Banca mondiale, che chiede dati aggiornatissimi, spiega Jerven. Anche se non è autorizzata in questo senso da nessun accordo internazionale, la Banca mondiale ha cominciato a pubblicare i suoi dati sul pil a partire dagli anni ottanta. A volte le cifre provengono dalle missioni che i suoi esperti hanno fatto nei vari paesi. Gli inviati della banca parlano con alti funzionari e riescono ad accedere a dati che molti non conoscono. In altri casi, invece, la Banca mondiale fa una stima dei dati mancanti usando un metodo che non rivela al pubblico. Nessuno sa esattamente come faccia i calcoli, ma alla fine i numeri escono fuori. Questi dati, quindi, sono recepiti e presi incontestabilmente per buoni dalle autorità e dai giornalisti. È per questo che spesso i numeri forniti dalla Banca mondiale si discostano dalle stime nazionali. I grafici 1 e 2, per esempio, mostrano il divario tra le stime del pil. Per alcuni paesi le cifre sono simili, ma nella maggior parte dei casi i dati divergono. Per la Guinea-Bissau la Banca mondiale calcola un pil più alto del 40% rispetto alle stime del governo locale. Confrontando i numeri della Banca mondiale con quelli di altri due autorevoli database – come il Penn world tables (Pwt) o quello del Maddison project – si riscontrano ulteriori differenze. Per esempio, il Maddison mette la Guinea-Bissau al 7° posto dei paesi più poveri dell’Africa, mentre il Pwt la colloca appena al di sotto dei 10 paesi più ricchi del continente. Nella classifica della Banca mondiale la Guinea-Bissau è al 15° posto tra i paesi più poveri. ‹‹Il mondo ha ridotto della metà la povertà estrema››: lo hanno affermato due anni fa le Nazioni Unite nella valutazione degli 8 obiettivi di sviluppo del millennio, che il palazzo di vetro si era impegnato a raggiungere tra il 2000 e il 2015. Quest’affermazione significava che uno degli obiettivi principali – dimezzare la percentuale della popolazione sotto la soglia di povertà – era stato raggiunto. Ma anche le statistiche sulla povertà, come quelle sulla crescita economica, sono spesso inattendibili. È molto difficile, infatti, stabilire quante persone vivono al di sotto della soglia di povertà. Innanzitutto bisogna condurre delle indagini di massa, che spesso comportano anni di lavoro per gestire ed elaborare i questionari. Il Botswana, per esempio, ha fatto un’indagine tra il 2002 e il 2003, ma a distanza di 13 anni i dati non sono stati ancora pubblicati. Le stime sulla povertà in Botswana si basano sui numeri del 1994. Inoltre, il fatto che i paesi impostano e realizzano gli studi seguendo ognuno un sistema diverso. Alcuni misurano la povertà partendo dal reddito, mentre altri guardano i consumi del nucleo familiare. Il secondo metodo, comunque, si addice di più a molti paesi in via di sviluppo, dove i redditi hanno ampie oscillazioni da un mese all’altro, e i pagamenti sono spesso in natura. Anche i questionari sono diversi, per esempio nel numero e nella formulazione delle domande. Queste variabili possono avere conseguenze enormi. In Tanzania è stato condotto un esperimento usando metodi diversi, e i risultati emersi sono differenti: le stime sulla povertà oscillavano tra il 47,5 e il 66,8 per cento della popolazione. Soglia globale. Tuttavia, anche quando i dati nazionali sono disponibili, devono essere convertiti e corretti in modo che possano essere confrontati con la soglia globale di povertà, pari a 1,90 dollari al giorno. È un’operazione indispensabile, dal momento che il potere d’acquisto varia da un paese all’altro: con 1,90 dollari si comprano più prodotti in Thailandia che in Brasile. Per fare questi aggiustamenti servono altri dati, che a loro volta contengono errori di misurazione. Alla fine gli errori si accumulano e i numeri diventano sempre più inattendibili. Spesso i dati non sono semplicemente poco corretti, ma addirittura inesistenti. Sui 161 paesi, che le Nazioni Unite considerano in via di sviluppo, ci sono informazioni sufficienti per calcolare i dati sulla povertà di appena 84 paesi, cioè il 52%. La Banca mondiale, dalla quale l’Onu prende le sue statistiche sulla povertà, risolve il problema dei dati mancanti riempiendo i buchi: dà per scontato che il livello di povertà di un paese continuerà ad avere lo stesso andamento o che sia lo stesso del resto del continente. Ma i paesi più poveri sono anche quelli che hanno più difficoltà a raccogliere i dati, e quindi è molto facile descrivere un quadro ingiustificatamente ottimistico della povertà globale. Un altro obiettivo del millennio delle Nazioni Unite è mettere fine alla fame nel mondo. Uno dei traguardi per il 2015 era dimezzare la percentuale della popolazione denutrita. Nel maggio del 2015, la Food and agriculture organization (Fao)  ha pubblicato il suo rapporto annuale, Lo stato dell’insicurezza alimentare (Sofi). Le conclusioni più importanti erano queste: il numero delle persone denutrite nel mondo è sceso a 795.000.000, e la fame è diminuita in 72 dei 129 paesi citati nel rapporto. Complessivamente, nei paesi in via di sviluppo, la percentuale delle persone che muoiono di fame è scesa dal 23,3 al 12,9%. L’obiettivo del dimezzamento del dato (11,7%) non è stato raggiunto per poco. Come per le statistiche sul pil e quelle sulla povertà, la disponibilità e la qualità dei dati rendono poco affidabili le cifre sulla denutrizione. Ma anche il modo in cui sono definiti questi concetti fa una grande differenza. Il caso della fame nel mondo è un esempio di come le diverse definizioni possono cambiare profondamente la lettura dei dati. Nel 2012, la Fao ha deciso di cambiare il modo di misurare la fame nel mondo, e ha ricalcolato le statistiche già disponibili, tornando indietro fino al 1990. Per prima cosa, ha aggiustato le formule usate per il calcolo. Quindi ha cominciato a usare dati migliori in ambiti come le riserve alimentari e le statistiche sulla popolazione. Secondo le nuove stime, per esempio, negli anni novanta, del secolo scorso, in Cina vivevano 25.000.000 di persone in più rispetto a quanto era stato stimato in precedenza. Questa nuova metodologia ha cambiato radicalmente la prospettiva sulla fame nel mondo. Tutt’a un tratto si è scoperto che, nel 1990, 150.000.000 di persone in più hanno sofferto la fame rispetto a quello che si pensava. Anche se i vecchi dati mostravano un aumento del numero delle persone denutrite negli ultimi 20 anni, le statistiche riviste indicavano nel complesso un calo netto. L’obiettivo delle Nazioni Unite sembrava una chimera ma, secondo la Fao, dopo il cambio di metodologia, il traguardo era a portata di mano. Dal momento che nel 1990 la situazione era molto peggiore di quanto si pensasse, dicevano alla Fao, si poteva concludere che erano stati fatti perfino più progressi del previsto. Anche se si accetta la nuova metodologia, ci sono altri fattori che determinano se c’è stato un progresso. Per esempio, cos’è esattamente la fame per la Fao? Una persona è definita denutrita se in un anno consuma troppe poche calorie. Per ogni paese viene fissato un fabbisogno calorico minimo sulla base dell’altezza media, dell’età media e del sesso. Nelle operazioni di calcolo, la Fao dà per scontato che le persone abbiano uno “stile di vita sedentario”, cioè che passino le giornate alla scrivania o in ambienti simili. In realtà, sappiamo che i poveri, nei paesi in via di sviluppo, spesso svolgono lavori fisicamente usuranti. Secondo le linee guida della Fao, un ugandese ha bisogno di almeno 1.710 calorie al giorno. Forse basteranno per una modella di Victoria’s Secret, ma non per un agricoltore ugandese. Basta aumentare la soglia minima delle calorie e il modello della fame del mondo improvvisamente cambia. Partendo dal presupposto che tutti facciano una vita moderatamente attiva, oggi ci sono altrettante persone che non mangiano a sufficienza rispetto al 1990. Se si parte da livelli di attività ancora più intensi, i numero sale. Le Nazioni Unite, tra l’altro, non guardano ai numeri assoluti ma alla percentuale globale delle persone denutrite: questo cambia ulteriormente il quadro, facendolo sembrare molto più positivo, perché la popolazione mondiale è cresciuta. Ma la scelta tra percentuali e numeri assoluti è delicata. Per una persona che sta morendo di fame non è una consolazione sapere che è diventata una parte più piccola di un insieme. Buone notizie. Insomma l’Africa sta crescendo? La povertà e la fame nel mondo si sono dimezzate? Probabilmente è vero, ma la realtà è che ci sono molte cose che non sappiamo. Troppe cifre sono inattendibili, obsolete o semplicemente inesistenti. Questo però non vuol dire che bisogna rinunciare a cercare dati più precisi. È vero che “non tutto quello che conta si può contare” (la frase è stata spesso attribuita ad Albert Einstein), ma comunque servono cifre attendibili per migliorare la situazione nei paesi in via di sviluppo. Fortunatamente ci sono delle buone notizie. Dopo il 2000, la raccolta dei dati è migliorata in modo significativo. Nel 1990, per esempio, i dati sulla povertà erano disponibili solo in 22 paesi in via di sviluppo. Oggi il numero è salito a 127. Gli uffici di statistica lavorano meglio, anche grazie agli investimenti di organizzazioni come la Banca mondiale. E le nuove tecnologie, come i satelliti e i telefoni cellulari, hanno facilitato la raccolta di dati attendibili. Anche le organizzazioni internazionali sono diventate più trasparenti sulla qualità dei loro dati. Leggendo le relazioni si incontrano molti caveat. Negli obiettivi di sviluppo del millennio si legge: “Nonostante i notevoli progressi fatti negli ultimi anni, in molti paesi la disponibilità di statistiche attendibili per monitorare lo sviluppo è ancora inadeguata”. La Banca mondiale invece scrive: “Molti uffici di statistica, specialmente quelli dei paesi in via di sviluppo, affrontano gravi limitazioni in termini di risorse, tempo e formazione necessari per produrre serie attendibili e complete di statistiche sulla contabilità nazionale”. Nel suo rapporto del 2015, la Fao precisa che il suo indicatore si basa su una definizione ristretta di fame del mondo e ha deciso di usare una serie di indicatori sulla sicurezza alimentare per dare un quadro più rappresentativo. L’organizzazione misura anche la carenza di iodio e la percentuale di bambini in sovrappeso nella popolazione. Tutte queste precisazioni e riserve, però, spesso sono sepolte nelle note a pie’ di pagina e nelle appendici. Sembra che le organizzazioni internazionali ignorino ancora la gravità della situazione, come traspare dai nuovi obiettivi di sviluppo dell’Onu. Di qui in avanti, i paesi in via di sviluppo dovranno misurare 169 indicatori diversi. Sembra un’ambizione eccessiva, anche se nei corridoi del palazzo di vetro si parla insistentemente di “rivoluzione dei dati”. Tuttavia, già ottenere dati certi con i 48 indicatori precedenti si è dimostrato impossibile. Erano disponibili meno del 70% delle informazioni necessarie, e per metà si trattava di stime, dal momento che mancavano i dati nazionali. Nel frattempo, le organizzazioni internazionali si comportano ancora come se l’ipotetico termometro funzionasse benissimo e, anzi, fosse in grado di misurare anche il battito del cuore e la pressione. Non è colpa loro se i dati sono pochi, inoltre mettere le mani su numeri attendibili nei paesi in via di sviluppo è difficile. Ma queste organizzazioni – e con loro i giornalisti e le autorità – devono essere chiare su certe carenze invece di confondere la nostra visione del mondo con false certezze” (Sanne Blauw, De Correspondent, Paesi Bassi, Internazionale n. 1163 del 22 luglio 2016).

 
 
 

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