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Messaggi del 17/07/2018

Non ho mai difeso la casta

Post n°2718 pubblicato il 17 Luglio 2018 da namy0000
 

Non ho mai difeso la casta in quanto casta: ho sempre saputo che noi parlamentari troppe volte abbiamo chiuso un occhio quando dentro il nostro Parlamento succedevano cose non belle. Ma sapevamo che i Parlamenti nel loro nascere non prevedevano stipendi, perché in Parlamento ci andavano i ricchi a difendere i loro privilegi. Quando cominciarono ad andare alla Camera dei comuni i primi minatori inglesi e gli operai, allora si affrontò il tema di come sostenerli economicamente. Anche le immunità miravano a sottrarre il parlamentare, che rappresenta non il territorio o il partito ma l’intera nazione, alla pressione di altri poteri che potessero ledere il potere sovrano del legislatore. Il ministro Fraccaro ora annuncia anche il taglio del numero dei parlamentari: gli suggerisco una mia vecchia proposta di legge che andava in tal senso. Al presidente Fico sottopongo, invece, una modesta riflessione: sono disposto a rinunciare a tutto il vitalizio se mi date il tempo di organizzarmi.
Sono uno di quei fortunati che ha goduto della pensione al compimento dei 50. Ricordo quel giorno: mi sentii ricco per la prima volta in vita mia: nelle mie 5 legislature con il Partito comunista e poi col Partito radicale sono sempre vissuto con mezzo stipendio: impossibile accumulare ricchezze. A 50 anni avevo, invece, una pensione mia e potei tornare all’Università che non avevo mai abbandonato, nel mio modesto ruolo di assistente. Mi sentivo uno fortunato e ho condiviso la mia fortuna con moltissimi dei miei studenti cui ho dato tutto quello che potevo. Regalerò loro anche i miei 80.000 volumi, che sono il vero tesoro che ho accumulato negli anni, e che la biblioteca della mia Università dove ho lavorato 40 anni non è in grado di ricevere: metterò un banchetto in piazza. Venderò anche la casa e il mio studio. E dopo me ne andrò, scomparirò senza mettere a disagio le persone che mi sono care, in primo luogo mia moglie che ha accettato di sposarmi qualche settimana fa, nel momento più cupo e angoscioso della mia vita.
Ho apprezzato, caro Tarquinio, come lei sa, tante delle battaglie del suo giornale pur essendo io un laico non credente e sempre ho avuto da "Avvenire" una cara e affettuosa accoglienza, nella consonanza e nella dissonanza. Conservo da tempo una foto che comparve su queste pagine, sulla tragedia dei migranti: una colonna di disperati che sulla rotta balcanica stanno attraversando un fiume limaccioso. Si vede un giovane uomo con l’acqua quasi al ginocchio che tiene per mano due figli. Dietro lo segue una donna carica di sacchi e sacchetti. Ma c’è un terzo figlio piccolissimo. L’uomo ha le due mani occupate dai due figli più grandicelli. Il terzo figlio lo tiene per la collottola tra i denti. Quella foto mi ha detto tutto sulla condizione umana. Sulle enormi iniquità che le ambizioni del mondo producono. Boeri, nei suoi suggerimenti al presidente Fico, ha fatto notare che i più "sforbiciabili" erano appunto quelli che da molto tempo godevano della pensione. Non è rilevante se quella pensione rientrava nelle regole vigenti e che, forse, da tempo noi stessi avremmo dovuto modificare. In sintesi, abbiamo vissuto troppo. Essere longevo è dunque una grave colpa per le magre casse dello Stato. A tutti i vecchi fortunati come me dico allora: coraggio, amici. Che fossimo morituri lo sapevamo dal momento della nostra nascita. Adesso ci viene ricordato con una certa corale brutalità. I miei amici del Cuamm (Medici per l’Africa) mi dicono che possiamo essere utili anche nelle condizioni in cui siamo. Penso che quando riusciremo a far sorridere un bambino che ha perso tutto, senza genitori, affamato forse più di una carezza che di un pugno di riso, anche di questa nostra condizione di "sforbiciati" ci verrà da pensare come di una cosa da marziani. Con la stima di sempre.
Alessandro Tessari - (Lettera pubblicata da Avvenire, 16 luglio 2018)

 
 
 

Riorgamizza la vecchia modalità

Post n°2717 pubblicato il 17 Luglio 2018 da namy0000
 

2018, Avvenire, 16 luglio. MIGRANTI - Laddove cessa un presidio più pronunciato verso la Libia, la mafia dei trafficanti riorganizza la vecchia modalità.

Ogni spazio viene sfruttato per far sedere le persone che durante il viaggio non possono muoversi. Quelle sottocoperta, che in teoria dovrebbero essere privilegiate, sono esposte ai fumi del motore e alla mancanza d’ossigeno.

Imbarcare 450 persone significa avere mano libera. C’è evidentemente una squallida rete che funziona bene.

Ci sono tre guardie costiere in Libia, come emerge anche da alcune segnalazioni dell’Onu. Siamo molto lontani dall’avere un interlocutore credibile.

Non so quanto sia moneta corrente ancora l’umanità, ma in mare c’è la regola del salvataggio come prima risposta. Il resto viene dopo. Ritengo di poter condividere con tutti i marinai, coi quali ho fatto un percorso di vita, un imbarazzo e un grande senso di impotenza.

Senza attendere i "calcoli" della politica i militari hanno deciso di soccorrere i 450 profughi alla deriva. Primi segnali di disagio dalle forze armate: "Non possiamo stare a guardare"

È stato, a quanto ne sappiamo, il primo segnale di rottura tra governo e divise. Un moto d’orgoglio e d’umanità nonostante il black-out informativo imposto dall’alto, i depistaggi orchestrati nei retrobottega della politica, e le gimkane lessicali che non hanno impedito alle “voci di dentro” di far sapere come sono andate le cose.
Nella tarda serata di venerdì alla vista delle autorità italiane alcuni migranti dei 442 a bordo del barcone intercettato al largo di Linosa si sono lanciati in mare per nuotare verso le motovedette italiane. Sul posto c’erano tre motovedette. Dopo il primo gruppo, composto da una decine di persone, un’altra dozzina si è gettata tra le onde. Stremati da due giorni di navigazione, rinchiusi dai trafficanti nella pancia bollente e senza spifferi di un vecchio peschereccio di venti metri, hanno gridato in direzione dei soccorritori. Immediatamente le tre motovedette che dapprima “ombreggiavano” a distanza di sicurezza, hanno salvato i migranti in mare e poi deciso di effettuare il trasbordo in sicurezza di tutti gli altri. All’operazione partecipavano tre unità della Guardia costiera ed una della Guardia di finanza. In nottata è poi giunto il pattugliatore Montesperone delle Fiamme gialle e una nave inglese di Frontex, che hanno permesso di svuotare il peschereccio mettendo al sicuro i 442 migranti.
Il merito, dicono i soccorritori, è di Sergio Mattarella. Dalle capitanerie di porto siciliane ad alcuni membri degli equipaggi, fino ad alcuni alti papaveri dello Stato Maggiore, più che l’insofferenza arriva la gratitudine proprio al capo dello Stato, che con il suo intervento di qualche giorno prima ha fatto sentire le forze navali non più sole a fronteggiare gli umori e i giochi della politica. Il presidente non ha solo permesso lo sbarco dei migranti tenuti in ostaggio dai tatticismi, «ma ha restituito dignità a noi che le vite le abbiamo sempre salvate, a costo anche della nostra, a noi che per dovere indossiamo guanti e mascherine ma poi abbracciamo i migranti», dice un ufficiale a bordo di una delle motovedette bianche e rosse che da sempre rassicurano chiunque si trovi a incrociarle.
Dell’operazione, ancora una volta, non è stata data tempestiva notizia. Nessuna immagine del barcone né dei migranti che vi erano a bordo è stata diffusa, nonostante i mezzi intervenuti abbiano girato filmati e scattato raffiche di foto anche per individuare eventuali scafisti. Solo in mattinata si è appreso, ancora una volta attraverso Radio Radicale, di alcuni stranieri che si erano tuffati.

 
 
 

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