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Messaggi del 13/10/2018

Amore indissolubile

Post n°2815 pubblicato il 13 Ottobre 2018 da namy0000
 

L’AMORE INDISSOLUBILE DI DIO NEL NOSTRO CUORE

Gesù disse loro: ‹‹(…) Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto›› (Marco 10,2-16).

Il Vangelo di questa domenica parla di indissolubilità del matrimonio. È roba proponibile oggi? A ben vedere, nessuna pagina del Vangelo è “proponibile”, né oggi né mai. Se ascoltiamo le parole di Gesù con semplice senso della realtà, non sono a misura di uomo, eppure sentiamo che dicono la verità. Infatti è lo Spirito santo che ha dato ai discepoli di compierle, non la loro semplice umanità. Se mettiamo il Vangelo addosso alla carne umana senza la potenza della redenzione di Cristo, diventa moralismo ipocrita o utopia fallimentare.

Vogliamo parlare di amore al nemico? Del fatto che è impossibile servire Dio senza disobbedire al denaro? Dell’essere perseguitati a causa del Vangelo? Del rinnegare sé stessi? Dell’accoglienza della croce? Niente di tutto questo si può fare senza la vita nuova ricevuta da Cristo.

Allo stesso livello sta l’indissolubilità sponsale.

Eppure, quel che dice Gesù ha radici poderose nella realtà. Infatti: perché il matrimonio sarebbe indissolubile? Semplice: perché ogni relazione autentica è indissolubile, e ancor di più lo è l’amore vero… Se odi tuo padre e scappi in Australia per non vederlo, lui resta tuo padre lo stesso. Se tuo fratello cambia il cognome, è tuo fratello lo stesso, perché lo è, comunque si chiami.

Un amico autentico resterà tale qualunque cosa succeda, altrimenti non è mai stato un amico.

I rapporti umani veri sono definitivi, altrimenti sono solo calcolo, commercio: sarò tuo amico, padre, sposo o fratello finché mi tornano i conti. Quando non te lo meriterai più, vattene per i fatti tuoi.

C’è da chiedersi se le persone arrivino al sacramento del matrimonio con le dotazioni essenziali, che sono fondamentalmente due: che siano state redente e introdotte alla vita nuova che sola può garantire l’amore senza limiti, e che abbiano costatato l’esistenza di questo tipo di relazione fra di loro. Prima del rito vero e proprio si fanno tre domande per appurare questo.

LA MONTAGNA DELL’AMORE. Ma i matrimoni falliscono troppo spesso. Ed è inevitabile perché molti sposi sono come persone che vanno a scalare l’Everest con le scarpe da ginnastica. Dieci incontri di corso prematrimoniale combinati con una mezza specie di religiosità fra il sentimentale, il tradizionale e lo scenico da “chiesetta carina” non sono l’attrezzatura sufficiente per scalare la montagna dell’amore incondizionato che sgorga dalla misericordia illimitata di Cristo, e che il matrimonio celebra sacramentalmente.

La responsabilità del fallimento dei matrimoni sacramentali è principalmente di noi preti, che ammettiamo alle nozze persone estranee alle condizioni minime perché la cosa funzioni.

Allora che fare? Il fatto è che abbiamo tutti bisogno – per essere sposi, preti, padri, amici o altro – di essere il bambino della seconda parte del brano, quello che Gesù abbraccia e benedice, e di entrare da bimbi, da uomini nuovi, nel Regno dei Cieli. Ossia: abbiamo bisogno di lasciarci amare incondizionatamente, perché Dio metta la sua eternità in noi, il suo amore indissolubile nel nostro cuore. (Fabio Rosini, FC n. 40 del 7 ott. 2018).

 
 
 

Gli "scartati"

Post n°2814 pubblicato il 13 Ottobre 2018 da namy0000
 

PER IL REGNO SONO SCELTI GLI “SCARTATI”.

In quella solenne omelia che è la Lettera agli Ebrei – un testo così denso teologicamente e raffinato letterariamente da costituire un arduo esercizio di lettura e di meditazione – c’è una suggestiva definizione di tutti coloro che partecipano alla ‹‹nuova alleanza›› di cui è mediatore Gesù. Essi sono designati in greco come kekleménoi, cioè “i chiamati” (9,15). Proprio per questo il Sinodo dei vescovi che ora si celebra ha un orizzonte il più ampio possibile. Non è solo la vocazione dei Dodici, dei loro successori, dei ministri ordinati, dei religiosi a essere oggetto di riflessione e di impegno pastorale.

Sono tutti i credenti in Cristo a essere coinvolti perché – sempre secondo la Lettera agli Ebrei – egli ‹‹non si è vergognato di chiamarli fratelli›› (2,11). C’è, quindi, una vocazione primaria alla fede che è aperta a tutti, a giudei e a pagani, come sottolinea Paolo (Romani 9,24), a uomini e donne di tutte le etnie e culture. È interessante notare che l’Apostolo ha adottato il termine greco klésis, “chiamata, vocazione”, presente 11 volte nel Nuovo Testamento (prevalentemente nell’epistolario paolino), per indicare la nuova condizione, lo statuto, la dignità dei credenti.

C’è, dunque, una duplicità di chiamata da parte di Dio. La sua prima voce è universale, si rivolge a tutte le persone, perché egli vuole che ‹‹siano salvate e giungano alla conoscenza della verità›› (1Timoteo 2,5). C’è, però, un’altra voce più “personalizzata” che riguarda il percorso che nella vita ciascuno dovrà affrontare: è quella strada che si deve scoprire con il ‹‹discernimento››, cioè con l’ascolto e la verifica, e sulla quale si procede poi con i propri carismi, cioè con i doni individuali ricevuti da Dio, anche se sembrano modesti e quasi insignificanti.

Infatti Paolo, scrivendo ai Corinzi, li invita a ‹‹considerare la vostra chiamata: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili›› (I, 1,26). Ma è proprio questa la paradossale scelta di Dio che costruisce il suo Regno di pace, amore e giustizia attraverso gli “scarti” apparenti della società. È suggestivo questo vocabolo, caro a papa Francesco, perché in italiano deriva da “quarto”: è togliere una parte da un quadrato, è appunto uno “squartare”, un atto lacerante.

La chiamata divina è destinata a ricomporre in unità quel quadrato proprio attraverso la parte emarginata e umiliata – gli stolti, i deboli, gli ignobili e i disprezzati, coloro che sono considerati un nulla, come si esprime subito dopo l’Apostolo – ma che è preziosa agli occhi di Dio. Le molteplici vicende di vocazione che abbiamo narrate riflettono proprio questa caratteristica: la storia della salvezza non è una marcia trionfale di un’armata invincibile; è, invece, il lento e faticoso avanzare nel deserto talora con i piedi insanguinati, con la presenza di ciechi, zoppi e storpi, tutti però desiderosi e capaci di condurre avanti il popolo di Dio fino alla meta finale. In questa folla ‹‹non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo›› (Galati 3,28). (Gianfranco Ravasi, FC n. 40 del 7 ott. 2018).

 
 
 

Parole e scelte politiche

Post n°2813 pubblicato il 13 Ottobre 2018 da namy0000
 

2018, Avvenire, 12 ott. - Parole e scelte politiche. Non solo applausi L’amara vertigine dell’Italia senza voce

C’è un’Italia che in queste settimane sta a guardare, sempre più smarrita, e tace. È un’Italia di gente che lavora, che ha figli, qualche risparmio, una casa di cui sta pagando il mutuo. Secondo i sondaggi, il 60 per cento degli elettori è soddisfatto di questo governo. Ma c’è un altro 40 per cento, che sembra avere perduto la voce o l’ha soffiata tutta nel palloncino grigio (e da anni sempre gonfio) del “non rispondo, non so, non voto”.

Parla solo a tavola, la sera, con gli amici, o in ascensore, fra colleghi. Si chiede, sbalordito, dove stiamo andando. Lo spread sa a stento cos’è, ma sa che se si impenna sono guai. Vede che il Def nel giro di poche ore è stato sonoramente bocciato nelle sedi più autorevoli: ci dicono, in sostanza, che i conti non tornano, che i soldi non ci sono. Che così si va a sbattere. Qualcuno ipotizza addirittura una rovinosa uscita dall’euro. Dal governo rispondono: tutto un complotto. E l’altra Italia silenziosa cerca di scacciare dalla mente sgradevoli reminiscenze di bancarotte sudamericane.

Non è possibile, si dice, non può essere vero. Non proprio ora, non qui. Tante cose non sembrano vere. Il vicepremier Salvini usa sempre più di frequente e con compiacimento espressioni del Duce: noi tiriamo dritto, me ne frego, chi si ferma è perduto. Non un sussulto, da parte del 60 per cento degli italiani disposti ad annuire. Non hanno memoria storica, o consapevolmente hanno nostalgia di un “uomo forte”? Uno che non perde occasione di fare la faccia feroce con i migranti, che li tiene bloccati persino sulle nostre navi militari o li fa riportare nei lager libici. Convinto di parlare alla “pancia” del Paese. Al presidente della Repubblica che richiama alla Costituzione replica: «Sì, ma non siamo fessi».

Come a dire agli elettori: vedete, io parlo come voi, non con il linguaggio astratto di quella vecchia ingiallita Carta. C’è chi abbocca. Come c’è chi spera in 780 euro di reddito di cittadinanza promessi dall'altro vicepremier Di Maio, e che forse non vedrà mai. L’italiano moderato rimasto senza voce nota con stupore che quasi ogni giorno, fra le due anime di questo governo, ci si contraddice. Il ministro Savona dice che se lo spread va a 400 si modifica la manovra, Salvini ribatte: nessuno ci fermerà. Di Maio, un ragazzo-leader che sembra non avere mai avuto un dubbio in vita sua, dà l’impressione di uno che si sia messo al volante di un Tir, senza avere neanche la patente. Magari è pieno di buone intenzioni.

Certo tanta gente che ha votato il M5s autenticamente spera in un Paese diverso, più equo e giusto. In una classe dirigente nuova. Ma l’attingere al “popolo” per reclutare chi ci governa in aperta polemica coi “competenti” sembra averci messo nelle mani di dilettanti. Onesti, ma dilettanti. Il ministro dei Trasporti ha parlato in pubblico del traffico del tunnel del Brennero: ignorando che ancora il tunnel non c’è. Chissà come si sono sentiti, nell’ascoltarlo, i genovesi, che da quel Ministero aspettano un ponte che non c’è più. “Come volare su un aereo, sapendo che il pilota ha bevuto”.

Così negli ascensori delle aziende italiane, o a cena in molte famiglie, si commentano gli exploit del duo pentaleghista schierato accanto al premier Conte, di cui molti ancora non hanno compreso bene il ruolo. Benché qualcuno replichi che uno almeno dei due piloti è lucido, e abile. Potenzialmente pericoloso. E che se questo Governo cade, potrebbe venirne un altro che mette completamente in mano a Salvini l’Italia. Possibile davvero, ci si chiede? Con quelle truci parole d’ordine? Possibile questa smemoratezza?

Ma chi oggi ha venti o trent’anni non ha avuto dai genitori nemmeno la narrazione familiare della dittatura. Non ricorda, non sa. Se gli parli di rischio di fascismo, alza le spalle. Gli adulti, pensano, esagerano sempre. L’altra Italia sbalordita e silenziosa intanto si domanda anche chi votare, in eventuali elezioni. Non trova più chi la rappresenta, e questo la lascia incredula. Come se oltre settant’anni di democrazia improvvisamente fossero a rischio.

E chi ha dei figli può provare paura per loro. Una stretta allo stomaco mai sperimentata prima. Vedi le foto del moncone del ponte di Genova proteso sul nulla, e ti domandi se in fondo non somigli a noi. Stiamo zitti, troppo, e continuiamo a coltivare la speranza di sbagliarci, di essere eccessivamente pessimisti. Mescolata, per chi fra noi crede, alla preghiera. Perché in molti si prega, oggi, per questo Paese. La sera, fra sé: per i propri cari, per il lavoro. E anche per questa Italia in bilico, come sospesa, in una vertigine.

 
 
 

Super intensivo

Post n°2812 pubblicato il 13 Ottobre 2018 da namy0000
 

2018, Teatro Naturale, 12 ott. …la xyella avanza, gli impianti industriali (super intensivo) con piante non Italiane, provenienti da zone infette da xylella come Spagna, Cile e Perù si stanno diffondendo su larga scala in zone olivicole vocate. Allora io ci riprovo e lancio l'ennesimo grido di aiuto: in primis al nuovo Ministro dell'agricoltura Centinaio e poi a tutta la filiera: basta pensare a breve termine, dobbiamo pensare ad un futuro da qui a 20 anni altrimenti l'olio extravergine Italiano (quello vero , quello autoctono) non esisterà più. Basta pensare al business del super intensivo con le cultivar brevettate, ci sono oltre 400 cultivar autoctone Italiane di cui non conosciamo l'olio ,e che sono a alto rischio estinzione . Queste costituiscono un paesaggio olivicolo che nessun altro paese al mondo ha. Basta credere che il super intensivo ci aiuterà a produrre di piu, sono sistemi inquinanti ad alto impatto ambientale che la dove si sono sviluppati hanno lasciato il deserto. Sistemi industriali che necessitano di prodotti chimici come il glifosate, cosi ben presto ce lo ritroveremo anche nell'olio. E' questo che vogliamo? Davvero per una volta fermiamoci un attimo a riflettere , mettiamo da parte gli interessi personali e pensiamo al futuro dei nostri figli, che magari domani vorrebbero fare il nostro lavoro . Lancio questo appello disperato perché sono il primo della filiera, mio bisnonno 100 anni fa riproduceva piante di olivo di cultivar autoctone Italiane , per fare un extravergine italiano, e se oggi (come alcuni produttori di extravergine mi chiedono) devo cominciare a riprodurre dei cloni brevettati in laboratorio adatti al super intensivo, che gia tutto il mondo produce in larga scala, vuol dire che qualcosa non torna e stiamo andando nella direzione sbagliata. Dico questo perché nella mia amata Toscana, conosciuta nel mondo per i suoi paesaggi olivicoli, per la sua storia nell'olio extravergin , per le sue eccellenze culinarie nei prossimi 2 anni verranno messi a dimora circa 1000 ettari di super intensivo con cultivar non autoctone. A quel punto sarà l'inizio di un percorso che porterà alla fine della Toscana dell'extra vergine. Non potranno produrre olio Igp Toscano con quelle varietà, ma il serio rischio è che l'immagine dell'intero territorio venga compromessa e, ancor più importante, minata la fiducia dei consumatori. Le persone negli anni hanno preso passione al nostro olio extravergine e sono disposte a pagare di più, perché quella bottiglia rappresenta un territorio, quello Toscano, unico al mondo . Un territorio fatto di paesaggi, fatto da un modello di vivere rurale "come si faceva una volta", nel rispetto delle persone e della natura che ci circonda. Ecco da domani tutto questo non ci sarà più, perché se non attiviamo delle difese concrete verso l'importazione selvaggia di piante di olivo per super intensivo da paesi esteri gia contaminati da xyella, tutto questo finirà . Vi lascio con un aneddoto che 50 anni fa mi ha lasciato mio bisnonno , "in olivicoltura non si inventa niente " , ed oggi devo dire che aveva ragione, non occorre l'industrializzare gli oliveti per aumentare la produttività, servono impianti moderni ma non industriali, occorre il recupero delle cultivar autoctone ed il rispetto dell'ambiente e delle persone, questa è la vera innovazione di domani.

 
 
 

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