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Messaggi del 08/01/2019

Guardare i lettori

Post n°2903 pubblicato il 08 Gennaio 2019 da namy0000
 

“Guardare i lettori che leggono i giornali al bar è istruttivo. Vedi quali pagine leggono di più, quali articoli, con quale attenzione. A volte, con quale reazione. Venerdì ho visto che tre-quattro lettori si passavano, indicandola col dito, una cronaca locale, intitolata: «Madre denuncia figlio spacciatore». Siamo nel luogo dov'è accaduto il fatto, forse quei lettori conoscono i protagonisti, una lettrice si sente più coinvolta degli altri e commenta il titolo ad alta voce: «Lo perderà». Vuol dire che la madre che ha denunciato il figlio ha rotto i ponti con lui. Spiega: «Tutto poteva fare, ma non chiamare i carabinieri». Mi guardo la notizia con calma.

A Loreggia, in provincia di Padova, una madre aveva «un’antica guerra» col figlio, per problemi di droga. Mi stupisce quell’«antica», perché il figlio compie adesso 18 anni, dunque la droga è un problema che riguarda anche i più che minorenni. La madre sapeva o temeva che il figlio spacciasse, e questo la mandava in crisi più di tutto.

Se si droga rovina se stesso, se spaccia rovina gli altri. A un certo punto, la madre non ce l’ha fatta più e ha chiamato i carabinieri. Sbagliando, secondo la lettrice. Per la quale, evidentemente, la famiglia è una cellula chiusa, i suoi problemi devono restar segreti. La cellula deve proteggere se stessa, la madre deve proteggere il figlio a qualunque costo. Se lo denuncia, lo perde, e questo è il massimo errore che possa fare. È un sistema mentale diffuso, credo che molte lettrici, leggendo quella cronaca, avranno la reazione di questa donna che vedo al bar. Credo che anche il figlio denunciato la pensi così, che la madre non lo ami veramente, perché se lo amasse non lo denuncerebbe. Una madre può fare tutto tranne che mettersi contro il figlio. Invece questa madre che l’ha denunciato ha pensato: 'Se lascio tutto così, lo perdo'.

Era la sera di Capodanno, la madre aveva scoperto un sacchetto pieno di bustine nella stanza del figlio, voleva buttarle via, ma il figlio le sbarrava la strada, difendeva il suo business. Il business dello spaccio consiste nel rovinare i coetanei, se questo business lo fa tuo figlio rovina i figli di madri come te, essere madre comporta sentire una fraternità con le altre madri, e patire un lutto se i loro figli vengono rovinati. Salvando il loro essere madri, salvi il tuo essere madre. Essere madre è una condizione collettiva. Quando sono arrivati, i carabinieri han perquisito la stanza del figlio e han trovato bustine di cocaina, di hashish, di marijuana, e 2.200 euro in contanti. La merce per i nuovi affari e il frutto dei vecchi affari. Per quegli affari tuo figlio è odiato dalle altre madri e per amare tuo figlio tu devi sapere che le altre madri non lo odiano, amarlo vuol dire volere che sia amato. I carabinieri lo hanno portato via dal quartiere, nel quale adesso non può risiedere.

Tornerà quando potrà risiedere senza fare affari. La vita dello spacciatore è una linea che va spezzata. La lettrice che non chiama i carabinieri ama il figlio da sola, in un rapporto a due, la madre che li chiama vuole che sia amato da tutti: il suo è un amore diverso e più grande. Sostanzialmente, per uscire dal tunnel il figlio spacciatore deve capire questo: la madre che lo denuncia è l’unica che gli voglia veramente bene”.(Avvenire, 6 genn. 2019)

 
 
 

Le colpe e la giustizia

Post n°2902 pubblicato il 08 Gennaio 2019 da namy0000
 

“Il rapporto tra le colpe e la giustizia dei padri e quelle dei figli è un tema che, in forme non tutte coerenti tra di loro, accompagna l’intera Bibbia. La vita è una corda (fides) che si snoda tra le generazioni, e da ciascuna esce segnata e in-segnata. Noi sappiamo che al di là di qualsiasi teoria religiosa o scientifica è un dato della vita che le colpe e i meriti dei padri e delle madri si trasmettano ai figli. La loro virtù, la loro intelligenza, la loro economia e loro cultura, le loro scelte etiche, i loro errori e i loro peccati condizionano molto, a volte decisamente, la nostra vita, nel bene e nel male….. La nostra capacità di diventare diversi da come saremmo dovuti diventare per la famiglia da cui proveniamo, per le benedizioni e per ferite della nostra infanzia e giovinezza. Siamo molto di più di caso e necessità, anche se in questo "molto di più" si nasconde la possibilità di peggiorare il nostro destino (perché una vita peggiore è sempre moralmente da preferire a una vita determinata dal nostro passato, perché infinito è il valore della libertà. Ci sono virtù e colpe che non si trasmettono per linea familiare, e in molti casi è bene che sia così. Noi lo sappiamo, ma non è stato sempre così….. Le civiltà, infatti, hanno voluto dedurre le virtù e soprattutto le colpe dei padri dalle azioni dei figli - "che famiglia avrà avuto questo giovane per fare questo?!". E così per millenni le responsabilità individuali sono diventate collettive, lo stigma privato si è trasformato in familiare e pubblico e ha investito molti innocenti, padri e figli….. La responsabilità morale e spirituale delle azioni è personale. Una tesi, teologica e antropologica, che ha conseguenze enormi, splendide e tremende insieme. Un figlio cattivo non può essere riscattato da un padre buono, che può restare e in genere resta giusto anche se suo figlio è diventato ingiusto. Una legge morale, questa, che deriva dalla serietà e dalla verità della storia e dalla nostra dignità e libertà. Ci sono meriti e bontà dei nostri figli che non possiamo e non dobbiamo ascrivere ai nostri cromosomi e alla nostra eredità, come ci sono degenerazioni e peccati loro che non dobbiamo vivere come nostra responsabilità e colpa. Li vediamo crescere, cambiare e qualche volta diventare peggiori di come potevano e dovevano essere. Facciamo di tutto per redimerli e per salvarli, ma un giorno giungiamo a una soglia che non riusciamo a oltrepassare, che non possiamo oltrepassare. È la soglia che delimita e custodisce la loro responsabilità personale, che come li protegge dalle nostre eredità sbagliate, li libera anche dal destino e li può fare migliori di noi, li difende anche dal nostro desiderio santo di salvarli dai baratri che noi già vediamo aprirsi sotto i loro piedi. La loro necessaria libertà che li salva dai nostri peccati è la stessa libertà che non consente loro di aggrapparsi alle nostre virtù. È questo uno dei grandi misteri della genitorialità, forse quello più grande: la gioia che proviamo quando vediamo i nostri ragazzi e ragazze diventare più belli e buoni di noi è vera perché è altrettanto vero il nostro dolore quando assistiamo impotenti al loro guastarsi. La maturità spirituale della vita adulta dipende molto dall’imparare l’arte di assistere impotenti ai calvari dei nostri figli senza disperarci né sprofondare nei sensi di colpa. Qualche volta riusciamo a schiodarli dal legno o a inchiodarci al loro posto. Lo facciamo molte volte. Ma non lo possiamo fare sempre, perché in questa nostra impotenza e deponenza stiamo generando in loro la possibilità di diventare padri e madri di figli e figlie che, forse, diventeranno migliori di loro, migliori di noi…. (Luigino Bruni, Avvenire 7 genn. 2019). 

 
 
 

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