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Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 19/06/2019

Ce l'aveva quasi fatta

Post n°3060 pubblicato il 19 Giugno 2019 da namy0000
 

‹‹Io, finanziere, finito nelle mani degli usurai››. Ce l’aveva quasi fatta a guarire Claudio (nome di fantasia), 53 anni, militare della Guardia di finanza della provincia di Frosinone. Poi vi è caduto di nuovo. ‹‹Ho buttato nel “gioco” 270.000 euro, e sono finito anche nelle grinfie degli usurai››, racconta. ‹‹Mio figlio, che ha 23 anni, è arrabbiato con me e lo capisco; l’altra mia figlia, più piccola, l’abbiamo tenuta all’oscuro per proteggerla. Poi due anni fa abbiamo scelto la separazione consensuale con mia moglie per salvaguardare gli ultimi beni rimasti, a partire dalla casa di famiglia. Con la ricaduta di fine 2018 sono andato via da casa per andare a vivere con mia madre››.

Claudio, poco più di un mese fa, è tornato per la seconda volta nella comunità terapeutica residenziale dell’Associazione Centro sociale papa Giovanni XXIII di Festà, frazione di Marano sul Panaro, in provincia di Modena. La prima, da fine luglio a fine novembre 2017, l’aveva aiutato a uscire dal gioco compulsivo. Poi il ritorno in famiglia: ‹‹Da prima di Natale scorso sono ricominciati i litigi in famiglia, mi dicevano che avevo dilapidato tutto il patrimonio. Non ce l’ho fatta più a reggere queste critiche, e alla fine sono tornato a giocare nelle sale con le Vit (le Videolottery dove si può giocare anche con le banconote ndr). Adesso sono in convalescenza e percepisco lo stipendio ridotto perché ho tre prelievi in busta paga per altrettanti debiti che ho contratto con una banca, l’Inps e la Guardia di Finanza che concede prestiti agevolati ai propri dipendenti››.

La comunità ospita in totale quindici persone, da 21 a 60 anni, ed è coordinata dalla dottoressa Marina A. E pensare che Claudio non aveva mai messo piede in una sala giochi prima di diventare un giocatore compulsivo. ‹‹Non sapevo neanche cosa fosse››, conferma, ‹‹Poi, dieci anni fa, dopo la nascita della mia seconda figlia, io facevo un po’ il “mammo”, nel senso che avevo l’ufficio vicino casa, mentre mia moglie, che lavora nella Pubblica amministrazione, era costretta a fare la pendolare tutti i giorni da Roma. Avere sulle spalle una responsabilità così grande come quella di accudire mia figlia, mi ha provocato un forte stress, e alla fine l’unico sfogo era quello di andare a giocare per evadere. Sono arrivato a stare davanti alle slot otto ore al giorno consecutive, prendevo ferie di nascosto dalla mia famiglia, e a volte anche di notte, dicendo a mia moglie che ero fuori per servizio››.

I rapporti con la famiglia, adesso, sono solo telefonici: ‹‹Con mia moglie e mia figlia ci sentiamo ogni cinque giorni. Lei è l’unica che non sa molte cose e mi vuole bene. Il maggiore ha vissuto tutto››. La vita nella comunità segue uno schema preciso: ‹‹Attività di gruppo la mattina e il pomeriggio per riflettere sull’azzardo. Due volte alla settimana abbiamo un colloquio individuale con gli psicologi della Struttura››. Il futuro? ‹‹Spero di uscirne, ma non so se tornerò a vivere con la mia famiglia››. (FC n. 24 del 16 giugno 2019)

 
 
 

Un tarlo che rode la vita

Post n°3059 pubblicato il 19 Giugno 2019 da namy0000
 

‹‹UN TARLO CHE RODE LA VITA MA SI PUO’ FERMARE››

Il peso, in termini di numeri, equivale a 4 manovre finanziarie messe insieme. Per giocare d’azzardo nell’anno 2017, gli italiani avevano speso 101,8 miliardi di euro: oltre 5 miliardi in più rispetto al 2016. Sembrava un limite invalicabile. Ma il 2018 ha segnato un altro record: 107,3 miliardi di euro, il 5,6% in più rispetto al 2017. Tutti gli altri consumi (vestiario, alimenti, ristorazione…) ristagnano o scendono dal 2007, anno della grande crisi. In controtendenza, la spesa per scommesse, slot machine e lotterie cresce al galoppo: più 120% dallo shock finanziario. Non c’è sferzata della crisi economica che faccia rallentare, a parte una lieve flessione nel solo anno 2012. Perché? ‹‹C’è una sola spiegazione››, dice il sociologo Maurizio Fiasco, presidente di Alea, associazione per lo studio del gioco d’azzardo e consulente della Consulta nazionale antiusura, ‹‹se denaro e tempo di vita impiegati a giocare subiscono un’irresistibile ascesa, lo si deve a una forza attrattiva ben diversa da quella che caratterizza altre merci: l’addiction, la dipendenza psicologica da gioco d’azzardo. Una patologia riconosciuta anche dallo Stato italiano, ma trent’anni dopo che l’aveva indicata l’Organizzazione mondiale della sanità. Il vantaggio dei “giochi” è dato da una condizione di malattia di massa. Per esempio, la spesa delle famiglie per l’abbigliamento è scesa, in media, del 25% in questi ultimi dieci anni. Quella per cibi e bevande si è abbassata di 5 punti. Dimezzate le spese odontoiatriche. La gente si cura meno e con ridotta attenzione alla medicina preventiva. Ma si spende di più per giocare››. Un consumo, quest’ultimo, che è puramente dissipatore. ‹‹È accaduto››, continua Fiasco, ‹‹che il diffondersi dell’addiction sia stata indotta e sfruttata dall’industria del settore con strategie di marketing ad hoc. Oggi in Italia sono offerte 51 tipologie di “gioco” tra lotterie, varietà di slot, scommesse on line, dagli eventi sportivi all’ippica. E ogni format di “gioco” è accuratamente concepito su misura: in base all’età, al sesso, ai luoghi della quotidianità. Per “giocare” sempre e ovunque››.

È possibile invertire la tendenza o si continuerà ad assecondare l’industria che vuole allargare all’infinito la spesa per il “gioco”? ‹‹Il punto è questo››, ragiona Fiasco, ‹‹un siffatto modello industriale e di business può stare in piedi e aumentare il suo fatturato a una sola condizione: che la frequenza di “gioco” continui a essere alta o altissima. Se le giocate diminuiscono, la macchina rallenta e rischia di non macinare più profitti e di segnare invece perdite››.

Fiasco, oltre all’aspetto economico, illumina anche un versante meno battuto di questo fenomeno nazionale: ‹‹Questa “marcia trionfale” sta intaccando il profilo antropologico degli italiani››, spiega. ‹‹Se noi convertiamo in tempo sociale di vita la quantità monetaria della spesa di 107 miliardi per il “gioco” del 2018, comprendiamo che si sfiorano i 100 milioni di giornate lavorative. Per spendere soldi occorre bruciare tempo. E quello impiegato dagli italiani per l’azzardo equivale al 30% delle giornate che dedicano alle vacanze. Dunque un’idrovora che sottrae tempo di vita e, invadendo l’esistenza nella quotidianità, produce conseguenze pesantissime sull’apparato neurobiologico e sulle relazioni interpersonali››.

Come frenare questa deriva? Con le leggi. Molti Comuni si sono mossi in ordine sparso. A livello di Regioni, chi è andato avanti fino in fondo è stato il Piemonte, che nel 2016 ha approvato la legge di contrasto al gioco d’azzardo patologico che prevede il divieto di collocare le slot entro un raggio di distanza dai 300 ai 500 metri rispetto a realtà sensibili come scuole, asili, oratori e parrocchie, e di rimuovere gli apparecchi già esistenti se vicini a questi luoghi. La legge obbliga anche i Comuni a chiudere per almeno tre ore al giorno le sale giochi. È entrata in vigore il 20 novembre 2017 e ha funzionato, come evidenziato dalla relazione dell’Ires (Istituto di ricerche economiche e sociali) del Piemonte: ‹‹Per quanto riguarda il gioco fisico››, si legge nel report a firma di Niccolò Aimo e Marco Sisti, ‹‹a fronte di una dinamica di lieve aumento dei volumi di gioco nel resto d’Italia, il Piemonte presenta una diminuzione intorno al 5% annuo, nel periodo di piena applicazione della legge regionale›› (FC n. 24 del 16 giugno 2019).

 
 
 

Facebook vuole fare la banca

Post n°3058 pubblicato il 19 Giugno 2019 da namy0000
 

2019, Facebook vuole fare la banca

Ha presentato la sua nuova criptovaluta Libra e il portafoglio digitale Calibra, per tenerci sopra il denaro e spenderlo in tutto il mondo attraverso le sue app. Libra
Il 
progetto prevede la realizzazione di una valuta molto stabile e non sottoposta alle speculazioni come nel caso dei Bitcoin.

Libra sarà agganciata a una riserva di denaro e beni, che ridurranno il rischio di oscillazioni nel suo valore. Potrà essere utilizzata inizialmente per gli scambi di denaro nei paesi in via di sviluppo e dove non tutti hanno un conto in banca, una sorta di grande sistema di pagamento decentralizzato che via via potrà essere impiegato anche per i servizi bancari.

Facebook sta lavorando attivamente alla realizzazione del progetto, ma non esclude di lasciarne la gestione a una comunità più grande una volta attivato. La Libra Association, un’associazione senza scopo di lucro fondata da Facebook, avrà il compito di supervisionare il progetto e lo sviluppo della valuta. Attualmente comprende numerose organizzazioni senza scopo di lucro, società specializzate nella gestione delle criptovalute e alcune delle più grandi aziende tecnologiche e di gestione dei pagamenti elettronici come: VISA, Mastercard, PayPal, Stripe, Vodafone, Uber, eBay, Spotify e Coinbase. Tutte queste aziende collaborano alla Libra Reserve, hanno cioè contribuito a costituire il fondo al quale sarà agganciata Libra per mantenerla stabile.

Calibra
Se da un lato Facebook lascerà che Libra segua una propria evoluzione, dall’altro cercherà di sfruttarla con Calibra, una società controllata che ha costituito appositamente per gestire i servizi forniti tramite Libra. Calibra è un portafoglio digitale, che può quindi essere utilizzato per conservare il proprio denaro in valuta Libra, e utilizzarlo per scambiarsi denaro, fare acquisti e in futuro accedere a servizi finanziari.

Per Facebook, Calibra è un’opportunità perché potrà essere integrato da subito nelle sue applicazioni, come Messenger e WhatsApp, raggiungendo i miliardi di persone che le utilizzano ogni giorno. In un certo senso, Calibra sarà la banca di Facebook: sovranazionale e globale, potrà essere impiegato per i pagamenti senza i vincoli di cambio delle classiche valute e con commissioni molto più basse di quelle applicate dalle banche e dai singoli gestori di carte di credito, o di servizi per il trasferimento del denaro.

Altre società potranno costruire su Libra i propri portafogli digitali, mettendosi in concorrenza con Calibra, ma considerato che quest’ultima è controllata da Facebook e avrà accesso alle sue applicazioni difficilmente potranno competere alla pari, per lo meno nei primi tempi. Esistono già oggi numerosi portafogli digitali come Coinbase, che gestiscono per lo più bitcoin e altre criptovalute, ma la loro diffusione è piuttosto limitata. In poco tempo, Facebook potrebbe invece raggiungere un’enorme quantità di persone, facendo diventare Calibra il primo portafoglio digitale che abbiano mai avuto l’opportunità di utilizzare.

Oltre a funzionare all’interno delle app di Facebook, Calibra potrà anche essere impiegato in un’applicazione a parte, pensata per chi non è iscritto al social network e non intende farlo.

Calibra fornirà fondamentalmente due servizi: consentirà di mantenere il proprio denaro in una sorta di conto, senza alcun costo o canone per farlo, e permetterà trasferimenti e transazioni con chiunque e dovunque, con commissioni estremamente basse o inesistenti, a seconda dei casi. Per gli scambi di denaro tra persone, per esempio, non è prevista alcuna commissione, mentre potrebbe essere applicata al venditore una commissione per le transazioni che implicano l’acquisito di beni e servizi. In questo caso, dice Facebook, la commissione sarebbe comunque molto bassa e fino a dieci volte inferiore rispetto a quella solitamente applicata dai circuiti delle carte di credito e dagli altri sistemi di pagamento.

La quasi totale assenza di commissioni è una scelta motivata dall’obiettivo che Facebook si è posto per il breve periodo: far diffondere il più possibile Libra, in modo da avere una base ampia di utenti che vogliano poi ricorrere al portafoglio digitale di Calibra.

Come altre criptovalute, anche Libra sarà basata sui principi delle blockchain, cioè con un sistema di verifica distribuito e condiviso per garantire la sicurezza delle transazioni. Come fanno già altri portafogli digitali, Calibra richiederà comunque che al momento dell’iscrizione siano fornite diverse informazioni, compreso un documento d’identità valido. I dati saranno gestiti in modo separato da Facebook, dice l’azienda, senza che siano condivise informazioni con il sistema per la pubblicità online gestito dal social network.

(Il Post 18 giugno 2019)

 
 
 

Contro la disumanità

Ong. Uniti contro la disumanità: una rete per combattere la criminalizzazione del bene

Luca Liverani, Avvenire, martedì 18 giugno 2019

Arriva l'"antenna italiana" del coordinamento di 40 ong e movimenti presente in Francia, Germania, Svizzera e Gran Bretagna: «Indignati contro la guerra» e gli ostacoli posti a chi cerca di fuggirne

Il rafforzamento dei controlli alle frontiere di terra e di mare. Il trattamento inumano dei richiedenti asilo sbarcati. Nuove leggi e regolamenti per ostacolare le ong nel salvataggio. Una narrazione ansiogena su "invasioni" e "crisi migratorie" inesistenti. Sono i principali filoni della criminalizzazione dell'asilo, secondo l'analisi di United Against Inhumanity (UAI) , uniti contro la disumanità, rete di organizzazioni non governative e associazioni impegnate nella difesa dei diritti e dell'ambiente che esordisce anche in Italia, dopo aver messo radici in Gran Bretagna, Francia, Germania e Svizzera.

A presentare alla sala stampa estera la rete di organizzazioni italiane, ben decise a opporsi a chi demonizza l'impegno umanitario e usa «buonista» come il peggiore degli insulti, è Antonio Donini, co-fondatore di UAI: «Vogliamo essere un movimento globale di individui e gruppi, indignati contro le atrocità delle guerra: non resteremo a guardare, di fronte alle sofferenze dei civili così come alle politiche che impediscono a bambini, donne e uomini di fuggire dai conflitti armati». In Italia i sequestri delle navi umanitarie in Italia, in Francia come in Grecia i procedimenti penali contro singoli che hanno soccorso profughi: il vento della criminalizzazione del bene - dicono i promotori - soffia in molti paesi europei.

Missione di UAI - recita il manifesto fondativo - è quindi incoraggiare la società civile a denunciare le parti belligeranti, i loro sponsor, i governi e le organizzazioni internazionali attraverso azioni congiunte a livello locale, regionale e internazionale. Obiettivo della rete è «produrre conoscenza, con documenti credibili e verificati in modo indipendente sui danni inflitti ai civili» e istituire un «Osservatorio umanitario indipendente per sviluppare un indice di inumanità» per stimolare il rispetto delle norme del diritto internazionale e il rispetto dei valori umani universali.

Kostas Moschochoritis, segretario generale di Intersos, esprime «preoccupazione per le sistematiche violazioni del diritto umanitario, che restano quasi sempre impunite, ma spesso distruggono vite umane». Stefano Poli, vicedirettore dell'Ansa, plaude all'iniziativa «perché ci ricorda valori di noi cittadini europei che ci stanno scivolando dalle mani» nella «crisi profonda del multilateralismo delle grandi organizzazioni sovranazionali, sempre più incapaci di incidere e di spingere gli stati ad agire». Poli constata che «Ungheria e Polonia se facessero domanda oggi di aderire all'Unione Europea avrebbero difficoltà ad essere ammesse, per il tasso di rispetto della democrazia, delle libertà, dell'indipendenza della magistratura». Francesco Martone, portavoce di "Rete In Difesa Di", sottolinea come «molti richiedenti asilo spesso fuggono dai loro Paesi perché attivisti dei diritti umani perseguitati dai governi locali, ma arrivano in Italia e vengono nuovamente criminalizzati, diffamandoli come potenziali delinquenti o terroristi».

Nino Sergi, fondatore di InterSos e attivista di Link 2007, giudica con amarezza il momento politico e culturale: «Siamo ad un passaggio nel deserto, e sarà fondamentale attraversarlo non da soli, ma in rete; individuando la giusta direzione, cioé i valori fondanti e irrinunciabili; nutrendoci adeguatamente di corretta informazione. Spero di sbagliarmi, ma temo che il cammino non sarà né breve né semplice». Di corretta informazione e di lavoro in comune parla anche il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio: «Sì, bisogna ricostruire reti, per dire che non è vero che si sta bene da soli. Perché l'individualismo delle persone ha generato, attraverso l'individualismo dei gruppi, il sovranismo: ma nessun popolo può salvarsi da solo». Tarquinio sottolinea come in una società che alza muri l'unico muro che non doveva crollare, ma è caduto è il muro della vergogna: perché non ci si vergogna più di dire cose indicibili fino a un po' di tempo fa. Oggi chi dice che i poveri danno fastidio e puzzano, miete successi elettorali».

 
 
 

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