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Messaggi del 06/11/2022

Drone

Post n°3796 pubblicato il 06 Novembre 2022 da namy0000
 

2022, Avvenire 5 novembre

L'angelo sterminatore ha assunto le forme di un drone

Entrati nella nostra vita con l'apparenza di giocattoli, portano la morte dall'alto pilotati a migliaia di chilometri a distanza sfuggendo ai radar. E sono destinati a colonizzare i nostri cieli

Walter Benjamin aveva comprato un disegno di Paul Klee dal titolo Angelus Novus. Vi è ritratto un angelo maturo rivolto verso chi guarda, le sue ali geometriche pronte a spiccare il volo, lo sguardo attonito, stupito. Per Benjamin rappresentava l’angelo della storia, quello che dando le spalle al futuro contempla il presente e il passato con tutte le distruzioni che questi si portano appresso. È un angelo messianico, ma è anche un angelo devastatore che con il suo volo all’indietro attraversa il tormento e la violenza della storia, sospeso tra destino e provvidenza.

Quest’angelo ricorda uno strano congegno che comincia ad affollare il nostro presente, che sorvola e guarda il nostro mondo e può registrarlo, analizzarlo, mapparlo e distruggerlo. Si chiama, con una parola di origine germanica, drohnen, che sta sia per il maschio dell’ape, il fuco, sia per il rumore emesso da alcuni esseri volanti, il ronzio.

I droni sono entrati nella nostra vita con l’apparenza di giocattoli. Come molti giocattoli derivano da brevetti militari. Il loro compito di vedere il mondo dall’alto corrisponde alla necessità di sapere cosa e dove, il nascosto del mondo e della geografia. Quando la tecnologia lo ha permesso, accanto a una lente montata sul drone si sono aggiunti altri accessori. Se capace di sostenere parecchi chili può diventare un messaggero di morte, dare il colpo di grazia a guerriglieri afghani, capi palestinesi, intere famiglie riunite in matrimonio in una valle irachena.

Viene pilotato “da casa”, un tecnico addetto, a migliaia di chilometri di distanza, può guidarlo a polverizzare qualunque individuo, dopo averlo inseguito per ore, a volte per giorni. Come un angelo sterminatore, viene portato a destinazione da una volontà distante, da manopole e visori nascosti in lontani laboratori militari. A volte chi ha il compito di guidarli è stupito dalla distanza tra sé e la morte inviata, a volte si sente l’esecutore di una volontà più grande. Spesso, dopo qualche anno, chi fa il mestiere di guidare l’angelo della morte viene mandato in riposo perché il suo è un compito delicato, deve sobbarcarsi il peso di molti destini da spezzare.

Obama ne è stato il primo grande utilizzatore, un risparmio su qualunque operazione militare che risparmia possibili proprie vittime sul terreno anche se la possibilità di “sbavature” è sempre presente, essendo il target a volte confuso con i soliti civili che si mettono in mezzo e vengono scambiati per nemici.

È la risposta tecnologica a un dilemma filosofico che dal ’700 in poi assilla i pensatori europei: è possibile essere sensibili a un dolore distante? Piangere in Germania per i morti del terremoto di Lisbona, o avere il dilemma morale di uccidere a distanza un mandarino in Cina? Il drone risponde alleviando sensi di colpa, rimorsi e rincrescimenti.

In parallelo con la sua storia militare, il drone ha cominciato ad affollare la nostra vita quotidiana, una presenza in pace e in guerra. Si sono aperti corsi per imparare a usarlo, dronista è un mestiere al pari all’impiantista o l’idraulico. Alcuni settori come quello dei servizi fotografici o del video non possono più farne a meno. È normale sentirne il ronzio, drohnen, sopra la testa e poi cercare chi lo sta pilotando, magari direttamente dal telefono portatile. Appare come presenza costante nei matrimoni, per rendere la cerimonia “a volo d’uccello” che ne esalti il carattere unico e irripetibile.

Stanno colonizzando lo spazio sopra di noi, non come lontani satelliti, come una nuova specie di uccelli, al librarsi dei piccioni o dei gabbiani si è sostituito il vibrare delle loro eliche. In Cina cominciarono a sostituire i fuochi d’artificio. A migliaia si levano per segnare nel cielo notturno di Shenzhen o di Shanghai i caratteri augurali per il nuovo anno, simulare le costellazioni o esplodere in una cascata di luci.

Nulla però li ha resi così familiari e indispensabili come la guerra in Ucraina. Ogni giorno veniamo edotti da generali, tecnici, esperti militari dei nuovi modelli, turchi, iraniani, coreani, cinesi. Stanno sostituendo l’aviazione e nello stesso tempo la contraerea. Sono strumenti dilettanti di morte, montabili, gestibili con poco addestramento. Vi piombano addosso senza essere rilevati da radar, al pari degli uccelli di Hitchcock, la sorpresa li rende efficaci e micidiali.

Costituivano un vantaggio per gli ucraini nella prima parte della guerra, oggi sembra che i russi ne abbiano scoperto il ruolo fondamentale grazie agli iraniani. Sono una nuova versione della guerriglia, rendono atroce il gioco della guerra e fanno vittime con sbavature, come sempre accade. Colpiscono carri armati, ponti, infrastrutture e ovviamente civili, in gran quantità.

Ci stiamo abituando, sono i nuovi angeli dell’apocalisse, sono quelli che Luis Buñuel avrebbe chiamato “angeli sterminatori”. Rendono il nostro presente sempre più precario, il nostro cielo qualcosa a cui non possiamo più rivolgere lo sguardo con fiducia. A parte le sorti della guerra, influiranno sulla nostra vita di tutti i giorni più di quanto possiamo immaginare, tra il monopolio di Jeff Bezos e le trovate di Elon Musk, sicuramente non miglioreranno la nostra vita. Qualcuno dovrebbe proteggerci dalla loro minaccia. Se nessuno se ne vorrà occupare dovremo affidarci ai nostri angeli custodi.

 
 
 

Storia e memoria

Post n°3795 pubblicato il 06 Novembre 2022 da namy0000
 

2022, Avvenire 4 novembre

Storia e memoria. Dove c'erano le trincee oggi verdeggiano i giardini della pace

L’associazione “Art & jardins” ha chiesto a vari paesaggisti di allestire spazi verdi lungo il vecchio fronte bellico della Grande Guerra, nel Nord-Est francese

Nell’Europa delle vecchie cicatrici e delle nuove ferite belliche, abbiamo davvero messo a fuoco l’idea di pace? L’interrogativo ritorna, in questi mesi in cui l’alleanza fra strumenti giuridici e ricerca della pace, ovvero la strada maestra classica della comunità internazionale, può sembrare di nuovo insufficiente. Costruire la pace non è pure un impegno intimo? Una presa di coscienza che giunge goccia a goccia. Senza alzare la voce. Cercando magari di dare una forma tangibile, dei colori, persino un profumo, a un ideale. Fra le umili iniziative parallele di questo tipo, una, in Francia, continua a dispiegarsi in silenzio come un tappeto d’edera nel sottobosco di questi mesi tumultuosi. Utilizza il simbolo del giardino. Proprio quello che più di frequente, in tante culture e religioni, è associato al dolce domani promesso ai viventi. All’avvenire di speranza che ciascuno può perseguire con sincero impegno. Dal 2018, l’associazione “Art & jardins. Hauts-de-France”, basata ad Amiens, chiede a dei paesaggisti d’immaginare dei “giardini della pace” da offrire alla sensibilità e al cuore di chiunque. Dei giardini allestiti lungo il vecchio fronte bellico del Nord-Est francese: uno dei principali in cui un secolo fa, per la prima volta nella storia, l’umanità prese coscienza con sgomento della portata sistemica di una guerra divenuta mondiale. Dai confini con il Belgio, questo territorio corre verso quell’Alsazia che ha oggi l’onore d’accogliere l’Europarlamento, casa ideale d’un continente che cerca di coniugare pace e democrazia.

Un secolo dopo, si tratta ancora di contrade piene di fosse e avvallamenti scavati dai colpi d’artiglieria pesante, a riprova dell’inaudita violenza che vi si manifestò. Un sacrario diffuso costellato di foschi bunker dismessi fra cui brillano i cimiteri e gli ossari militari dei caduti d’ogni contrada europea e non solo. Sono luoghi che fanno tanto più riflettere durante ogni nuovo conflitto o semplice tensione nel Vecchio Continente. Contrade nelle quali, simili a garze sottili posate su brutte ferite, i ‘giardini della pace’ cercano di trasmettere un messaggio al contempo di fragilità e speranza. Una sola fiammata di violenza può bastare per distruggere un giardino, proprio come dura appena un attimo l’impatto d’un ordigno fatale. Ma al contempo, a volte, una vita intera può sembrare poco per assorbire appieno tutta la bellezza di un giardino. Allo stesso modo, è difficile immaginare qualcosa di tanto vulnerabile e vitale come la pace. I 33 giardini fin qui realizzati e quelli in fase d’allestimento delineano già un «cammino della pace» ricco della creatività di paesaggisti di numerosi Paesi, Italia compresa. In proposito, non lontano dalle vigne dello champagne, a una trentina di chilometri da Reims e dalla sua celebre cattedrale, ha visto la luce il giardino italiano concepito da Lorenza Bartolazzi, Luca Catalano e Claudia Clementini. Il luogo scelto sul vecchio fronte, Craonne, è un borgo interamente distrutto durante la Prima guerra mondiale. Non lontano, in un cimitero nel comune di Soupir, sono sepolti i corpi di 592 italiani. E con estrema sobrietà, è proprio 592 il titolo voluto dai tre paesaggisti. «Visitando il cimitero, siamo rimasti colpiti dal luogo e dal fatto che non a tutti i caduti è stato dato un nome. Inoltre, il progetto, ci è parso un modo di celebrare l’Europa e il nostro destino comune d’europei. Con dei paletti, abbiamo voluto evidenziare la topografia tormentata del suolo. Una volta all’anno, i 592 tulipani piantati ai piedi dei paletti fioriscono per un paio di mesi», spiega Lorenza Bartolazzi. Sempre nel comune di Craonne, un’altra creazione rende omaggio ai caduti marocchini. Il Giardino delle Esperidi, il cui nome rievoca le mitologiche ninfe custodi del giardino dei pomi d’oro di Era situato ai confini del mondo occidentale, apporta un suggestivo motivo quadrangolare di terra ocra nel paesaggio circostante ancora costellato di tracce belliche. Gli autori, il marocchino Karim El Achak e il francese Bernard Depoor-ter, hanno reso omaggio alla geometria rigorosa dell’arte tradizionale arabo- musulmana.

Più a nord, il giardino belga della pace realizzato a Le Quesnoy, in territorio francese ma a meno di 100 km da Bruxelles, è stato concepito come una piccola proiezione al suolo della fortificazione adiacente alta ben 12 metri, teatro di drammatici combattimenti. A realizzarlo, con il titolo All’assalto del bastione, sono stati i paesaggisti Mathieu Allain e Thomas Van Eeckhout. Dal lato opposto della stessa fortificazione, invece, è stato creato un vasto giardino neozelandese intitolato Rangimarie, espressione maori sinonimo di pace e comunione. In un sito che vide cadere 93 dei propri connazionali durante un blitz liberatore il 4 novembre 2018, appena una settimana prima dell’armistizio, il paesaggista neozelandese Xanthe White e i suoi collaboratori hanno voluto associare delle specie floreali europee ad altre giunte dagli antipodi, dotando il giardino pure di panchine in legno con temi maori. Do Not Take Peace For Granted è invece il titolo-monito scelto per il giardino franco-britannico a Flesquières, non lontano da Cambrai, realizzato da un’équipe binazionale guidata dal francese Sébastien Perret. A ridosso del sito in cui è stato ritrovato uno dei cingolati britannici schierati sul campo di battaglia, oggi conservato in un museo concepito appositamente, il giardino associa un cuscino ondeggiante di piante erbacee con delle aste verticali arrugginite che evocano i cannoni non più puntati contro il nemico, creando pure un effetto ottico sorprendente. Si tratta solo di alcuni esempi di un insieme, destinato ancora a crescere, che ha già coinvolto altre nazioni e contrade d’Europa come Germania, Danimarca, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Portogallo, Scozia, Galles e Irlanda, accanto pure a Stati Uniti, Canada e Cina. Al timone dell’associazione “Art & Jardins”, Gilbert Fillinger ha voluto con forza che ogni realizzazione fosse un ponte fra Paesi e continenti, poiché la pace, per definizione, non conosce frontiere. In mezzo ai fragori sinistri che squarciano di nuovo il continente, i giardini della pace possono apparire a molti solo come minuscoli suggerimenti appena sussurrati. Appena l’inizio del tentativo di trovare una strada. Ma molto concretamente, portano in loro dei semi piantati per diffondere una saggezza all’insegna della bellezza. Rimando dunque misteriosamente con la vecchia ipotesi e speranza, lanciata in terra russa, d’una bellezza che «salverà il mondo».

 
 
 

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