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Mama Carla

Post n°4120 pubblicato il 15 Maggio 2025 da namy0000
 

2025, FC n. 19, del 11 maggio

Il carisma di “mama” Carla che salvò migliaia di vite

Con semplicità ha cambiato un pezzo di mondo: amava visceralmente i poveri

Carla Frediani, classe 1935, nata a Castelvecchio di Compito (Toscana), morta il 14 gennaio scorso, per 35 anni in Ruanda, “Mama Carla”, missionaria laica consacrata della diocesi di Lucca, ha accolto, abbracciato, salvato migliaia di persone. Non le ha abbandonate neppure durante il feroce genocidio del 1994, quando in cento giorni furono massacrate un milione di vittime. Tutti i bianchi rimpatriati, lei è rimasta, «io da qui non mi muovo, questa è la mia casa, questa è la mia famiglia», pronta a morire con e per loro. Una scelta eroica, dettata da un cuore grande che non conosceva le misure della ragione, ma solo dell’amore, per chi incontrava nelle strade polverose e nei villaggi abbandonati che raggiungeva con la sua jeep, quando le distanze non le permettevano di usare la bicicletta. Minuta ed esile, un sorriso e una luce negli occhi contagiosi, a 44 anni si è chiesta come dare alla sua vita un significato profondo. Nel 1979 un missionario della diocesi lucchese, don Giancarlo B., la invitò ad andare con lui nella parrocchia di Nyarurema, diocesi di Byumba. «Spinta dalla curiosità e perché non sapeva fare altro…», come avrebbe affermato, accettò. Fu un viaggio senza biglietto di ritorno. L’aspettava un centro nutrizionale dove affluivano migliaia di mamme – cento al giorno – con bimbi ammalati e denutriti, consunte da esistenze e privazioni al limite della sopravvivenza. «Non soltanto si prendeva cura di tutti, portando gli ammalati gravi al Centro di salute, percorrendo spesso 150 km per raggiungere l’ospedale di Kigali, ma insegnava alle mamme come coltivare gli orti, preparare pasti con poche risorse, praticare l’igiene, formava levatrici da mandare nelle capanne per le partorienti. Con quella spontaneità che era il suo carisma, riusciva a creare un’empatia fisica, affettiva, da madre verso i figli, da sorella a sorella. La sentivano come una di loro», ricorda Ernestina C., che condivise, nell’Ottanta, con Carla quattro anni e altri trenta li ha vissuti da missionaria laica a Salvador di Bahia, nelle favelas. La sua semplicità, corretta da una fede granitica, era disarmante. Durante una rapina a mano armata, spiazzò i ladri, dicendo loro che stavano facendo una cosa sbagliata, dovevano pentirsi e cambiare vita. Ai suoi funerali, tante testimonianze commosse di chi l’aveva conosciuta, molte dal Ruanda, come quella di Bugenimana P., accanto a lei negli anni bui del massacro: «Non era soltanto la madre dei nostri villaggi, ma di tutti coloro che avevano problemi. Noi scappavamo, avevamo perso ogni cosa, lei li accoglieva, ci dava tutto quello di cui avevamo bisogno, ci nascondeva». Patrich I., parroco di Nyarurema: «Amava visceralmente i poveri, prendeva in braccio, come figli suoi, i bambini denutriti, riportava con la jeep ai loro villaggi le mamme con una scorta di cibo. Faceva chilometri per visitare chi non poteva muoversi». A chi la elogiava, rispondeva stupita: «Ma chi, io? Che avrò fatto mai! Sono solo un’umile serva del Signore».

 
 
 

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