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Dove il buio diventa luce

Post n°4173 pubblicato il 09 Ottobre 2025 da namy0000
 

FC, 5 ottobre 2025

Dove il buio diventa luce

La Comunità di recupero di don Diego Fognini, in Valtellina

Tra le campagne della Valtellina, alle pendici della Cima di Malvedello, l’aria sa di terra umida e di bosco. Negli occhi di Paco, originario del Senegal e in Italia da quasi trent’anni, c’è ancora l’ombra scura di un altro bosco, quello di Rogoredo, alla porta sud di Milano. «Lì ho passato dieci anni a spacciare e drogarmi. Quando uscivo dal carcere andavo a recuperare la coca che avevo nascosto e la fumavo tutta in una notte». Racconta senza abbassare lo sguardo, mentre le mani si stringono sul tavolo della biblioteca della comunità. Paco è arrivato qui a gennaio, accolto da don Diego Fognini e dagli operatori de La Centralina, dopo una vita di eroina, cocaina ma anche droghe sintetiche. «Sognavo la roba tutte le notti. Smettere era come rinunciare a un sogno. Poi, grazie a don Diego, ho capito che il vero coraggio era cercarne un altro».

A Morbegno, nel cuore della Valtellina, La Centralina non è solo un edificio: è un laboratorio di rinascita. Oggi Paco lavora in lavanderia, pulisce i vestiti dei compagni, si allena in palestra. «All’inizio ero arrabbiato con don Diego per le regole imposte. Ora ringrazio di averlo ascoltato. Non voglio più tornare a Rogoredo». Mentre parla, fuori dalla finestra si vedono le serre dove crescono ortaggi e piante da frutto. Dentro i locali c’è il brusio di chi taglia stoffe nella sartoria sociale. Piccoli gesti quotidiani che, in questo angolo appartato della Valtellina, hanno il sapore di una rivoluzione.

La Centralina nasce all’inizio degli anni ’90, quando la parola tossicodipendenza evocava soprattutto l’eroina e le sirene delle ambulanze nelle periferie. Don Diego, allora giovane sacerdote, scelse di non allontanarsi da chi cadeva nel buco nero. «Allora era più semplice», ricorda oggi, 82enne, con la voce ferma di chi ha visto passare generazioni di ragazzi feriti. «Chi arrivava usava una sola sostanza. Spesso o era cocaina o era eroina. Sapevamo come intervenire. Oggi sono quasi tutti polidipendenti: cocaina, psicofarmaci, sintetiche, alcol, azzardo. Mischiano per salire e per scendere, e il confine tra dipendenza e malattia psichiatrica è sempre più fragile».

(…) «Il quadro è cambiato radicalmente: oggi arrivano qui persone croniche, segnate da anni di dipendenza. I servizi per le dipendenze, i SerD, ci mandano i casi più gravi, spesso irrecuperabili. È difficile poter lavorare su un ventenne appena entrato nel tunnel delle droghe, perché le regole attuali non intercettano chi inizia. Perdiamo l’occasione di prevenire, lasciando che le dipendenze diventino malattie croniche. Così le comunità si trasformano in parcheggi invece che in luoghi di cura».

(…) Nelle serre, tra le file ordinate di piantine, Massimiliano lavora piegato su una cassetta di insalata. Ha 38 anni, viene da Saronno. «Ho iniziato a 17 anni per lo sballo del sabato sera», racconta. «Poi la cocaina è diventata un’abitudine quotidiana. A un certo punto era la mia vita intera anche al lavoro». Un giorno del 2023, dopo quattro giorni senza dormire, è finito con l’auto nel Ticino. «Mi hanno salvato due ragazzi che pescavano. Sono rimasto in coma farmacologico per cinque giorni. Quando mi sono risvegliato pesavo quindici chili in meno. Ma non era ancora finita. La depressione, la voglia di mollare, la comunità iniziata lasciata a metà. Finché a luglio 2024 sono arrivato qui. Ora provo a recuperare la fiducia della mia famiglia. Loro non mi hanno mollato. E oggi lavoro in serra. Voglio dimostrare che posso farcela».

Il tema della famiglia attraversa ogni discorso. Una volta era un argine, oggi spesso è parte del problema. Don Diego scuote la testa: «Un tempo i genitori erano alleati, oggi spesso diventano complici. Aiutano i figli a trasgredire, nascondono i problemi. Così il lavoro diventa il doppio più difficile. Vediamo ragazzini di tredici anni che usano psicofarmaci con l’alcol. Pensano che se non si bucano non si stanno veramente drogando. Non hanno idea di quanto stanno devastando il cervello. E i genitori, invece di sostenere le regole delle comunità, le sabotano».

(…) Ogni mattina qualcuno si affaccia con il volto scavato e gli occhi persi. «Qui proviamo a ripartire dalle cose semplici», dice la direttrice. «Un orto, un tavolo apparecchiato, una regola rispettata. Sembra poco, ma per chi viene dal buio della dipendenza è un mondo intero».

La voce di Paco torna a fendere il silenzio. «In carcere sognavo la droga. Mi svegliavo sudato, convinto di avere ancora la polvere tra le mani. Qui ho imparato che si può sognare altro. All’inizio non volevo fare certe cose, per orgoglio. Poi ho iniziato a sudare in palestra, a sfogarmi senza farmi male. Ora non penso più a me come un tossico. Penso alle persone che ho ferito, a mia madre. Non perché li ho traditi, ma perché ho tradito me stesso. Oggi voglio solo rialzarmi». Fuori, le montagne custodiscono silenzi e cicatrici. Dentro, ogni giorno, si combatte una guerra invisibile contro le dipendenze. Don Diego lo sa, e non smette di ripeterlo: «Bisogna intervenire prima, quando il disagio si affaccia. Non serve la repressione, serve educazione fin dall’infanzia».

Paco sorride mentre racconta il futuro che immagina. «Non sogno più la droga. Ora sogno un lavoro, un documento in regola, un futuro. Voglio ricucire i rapporti con la mia famiglia. Voglio stare bene con me stesso».

Lo psichiatra Riccardo Gatti osserva il panorama con l’occhio lungo di chi sa che non si tratta più di pochi quartieri degradati, di boschetti e di storie marginali. «Le droghe non sono più quelle di una volta», spiega. Cannabis più potente, cocaina più pura, crack che dilaga e miscele di sostanze sintetiche sempre più aggressive. L’eroina non è scomparsa, ma arretra a droga usata per “abbassare i giri” della cocaina. In avvicinamento, come un’ombra che preoccupa le autorità sanitarie, ci sono fentanyl e nitazeni, oppioidi cento volte più potenti della morfina. Non è più questione di singole sostanze. Oggi prevalgono le multidipendenze: cocaina e alcol, psicofarmaci e cannabis, gioco d’azzardo e crack. «Non incontriamo quasi mai una dipendenza “pura”. Le persone arrivano ai servizi con più problemi insieme, e richiedono interventi multidisciplinari. Ma i servizi sono sottodimensionati, rischiano la saturazione».

(…) Accanto al volto visibile, Rogoredo o il Parco delle Groane, c’è la droga invisibile, quella dei salotti, degli uffici, dei tavoli dove si decidono strategie economiche e politiche. È lì che finiscono le tonnellate di cocaina che arrivano a Milano dall’Europa, generando profitti che le mafie reinvestono nei circuiti finanziari e imprenditoriali. «Le droghe non alimentano solo devianza e marginalità. Producono un reddito enorme che permette di impadronirsi di pezzi di società civile, alterando concorrenza e mercato». Il quadro però, non è privo di spiragli. I dati segnalano una lieve flessione nei consumi di sostanze tra i più giovani, segno forse di una maggiore attenzione alla salute. Ma il mercato si è fatto più aggressivo e penetra con logiche sempre più persuasive.

«C’è il rischio di una destabilizzazione», aggiunge Gatti, allargando lo sguardo oltre i confini. «La diffusione di droghe può diventare un’arma di guerra ibrida, come la disinformazione o gli attacchi cibernetici». In assenza di una strategia condivisa, le città italiane restano esposte. Milano mostra la fragilità di un sistema sanitario che fa i conti con la complessità del fenomeno e con la potenza di mercati globali. «Servono sinergie e la capacità di ascoltare medici e operatori delle comunità», conclude Gatti.

 
 
 

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