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Messaggi del 13/10/2025

Fenomeni complessi

2025, Mauro Magatti, docente di Socologia Università Cattolica di Milano, FC n. 41 del 12 ottobre

Un grido collettivo per dire basta: Quell’indignazione nata dal basso

Le proteste sociali sono sempre fenomeni complessi, attraversati da contraddizioni e tensioni interne. Non sono mai prive di ambiguità. Al loro interno convivono sensibilità diverse: c’è chi vi partecipa per convinzione profonda, chi per rabbia, chi per desiderio di visibilità, chi perché sente l’urgenza di esserci e di dire “no” insieme agli altri.

In questa pluralità sta al tempo stesso la loro ricchezza e la loro fragilità. Ogni mobilitazione è così sempre esposta al rischio di strumentalizzazione: partiti politici, organizzazioni ideologiche, gruppi radicali o persino governi stranieri che possono tentate di piegarne il significato a proprio vantaggio. Detto questo, ridurre le proteste che si sono tenute in tante città italiane in questi ultimi giorni a mere manovre orchestrate dall’alto significa non coglierne la forza reale: quella di una indignazione che nasce dal basso, dalla coscienza condivisa di un’ingiustizia e dalla necessità di gridare che qualcosa non va.

La tragedia che ormai da molti mesi si sta consumando a Gaza – bombardamenti, morti civili, distruzione – ha creato una diffusa inquietudine. L’azione della Flotilla aveva lo scopo di portare questo disagio alla massima evidenza. Un obiettivo in larga misura raggiunto: di fronte all’intervento della Marina israeliana, una parte rilevante dell’opinione pubblica ha sviluppato un netto rifiuto, nonostante di tentativi di relativizzare o giustificare.

Certo, le manifestazioni non fermano le bombe. Ma è significativo che migliaia di uomini e donne – in particolare molte ragazze e ragazzi – si siano riuniti spontaneamente, senza il tempo per organizzazioni strutturate. Un grido collettivo per dire “basta” che ha unito persone di sensibilità diverse davanti a un’azione percepita come inaccettabile, portata avanti da uno Stato alleato dell’Occidente.

Con l’obiettivo di chiedere coerenza rispetto ai valori di dignità e libertà che le democrazie amano rivendicare. Non si tratta di dimenticare il 7 ottobre, con la brutalità degli attacchi di Hamas. Né di ignorare la guerra in Ucraina, con il suo carico di morti e devastazioni. Significa piuttosto affermare che ovunque la violenza colpisca vite innocenti, c’è un limite invalicabile che va ribadito: la vita delle persone. In un tempo dominato dalla logica della guerra, della violenza e della ragion di Stato, il semplice atto di dire no diventa un barlume di coscienza collettiva. Non è ingenuità, ma la consapevolezza che senza questo rifiuto non potrà mai nascere un sì alla convivenza e alla pace. Come canta Leonard Cohen, «C’è una crepa in ogni cosa, ed è lì che entra la luce». Forse i drammatici eventi di Gaza sono proprio quella crepa: uno spazio fragile, ma necessario, da cui la luce della coscienza sta cercando ancora di filtrare, impedendo al mondo di ridursi a un deserto di silenzi e complicità.

 
 
 

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