Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 14/05/2020

Il "re"

‹‹In questi giorni, mentre lavoriamo tutti da remoto››, racconta Giorgio Armani ‹‹ho capito che ci può essere un altro modo, che non intacca la produttività: altrettanto efficace anche se meno immediato. Mi manca, però, lo stretto contatto con i miei collaboratori, il confronto, gli sguardi. E mi fa male non sentire, nel sottofondo, il rumore della Milano che vive, a pieno regime››.

In qualche punto del mondo, in qualche momento, qualcuno ha iniziato a chiamarlo “king”, il re. Nato 85 anni fa a Piacenza e milanese di adozione, la corona guadagnata nella moda, di cui è la stella assoluta, la porta da decenni con le qualità umane, imprenditoriali, creative e soprattutto la genialità di chi ha aperto e continua ad aprire nuove strade.

Per primo ha capito che la moda poteva diventare più accessibile e, in un certo modo, “democratica”. Nel 1981 ha creato Emporio Armani, che ha permesso a tanti di indossare bomber e jeans con l’iconico logo dell’aquila. Nel 2004 ha lanciato EA7, per portare il suo stile agli sportivi. E da amante del basket è diventato mecenate e patron dell’Olimpia Milano, che segue con affetto costantemente sugli spalti dal 2008. Affascinato dai valori del grande sport, ha vestito la nazionale alle Olimpiadi e gli Azzurri del calcio. È stato uno dei primi stilisti, inaugurato il millennio, a creare linee di design come Armani/Casa e persino Armani/Fiori, per raffinati allestimenti floreali. E poi ristoranti tra cui il Nobu, che ha lanciato la tendenza del sushi in Italia, e l’Emporio Armani Caffè, diventato uno dei locali di riferimento del Quadrilatero della moda, i dolci, il suo panettone va a ruba e infine la catena di hotel di lusso. Ogni progetto è stato portato avanti con la stessa passione e quello stile che sa essere made in Italy e internazionale insieme, e viene universalmente riconosciuto come il suo tratto inconfondibile. Togliere piuttosto che aggiungere è uno dei suoi diktat. Colore sì ma spesso soffuso, discreto. Il suo passo nel mondo è stato proprio così, lieve e inimitabile, come il “greige”, quel tono fra grigio e beige che contraddistingue molte sue collezioni. Mai accesi, niente esagerazioni, nell’effimero e rutilante mondo del lusso è un faro dalle solide fondamenta, a cui tutti sempre guardano. Così, ancora una volta oggi è arrivato primo. È stato il primo a decidere di non sfilare alla Settimana della Moda. Era solo il 23 febbraio: il coronavirus cominciava a insinuare la silenziosa e invisibile minaccia anche nell’aria della sua amata Milano. E lui, tempestivo e risoluto, gli ha chiuso le porte. ‹‹La sfilata è stata registrata a teatro vuoto e trasmessa in streaming sulle piattaforme on line, non volevo esporre ad alcun rischio la salute degli ospiti, che erano lì per lavorare, e dei miei dipendenti››, spiega. ‹‹È stato surreale vedere la platea vuota, ma avevo la consapevolezza di aver fatto una scelta saggia, che ripeterei››.

Da quel momento, la volontà di Armani di combattere uno dei più grandi nemici della nostra storia si è vista giorno dopo giorno. Rinviata la sfilata a Dubai, l’8 marzo 2020 fa una donazione di un milione e 250 mila euro agli ospedali Luigi Sacco, San Raffaele e Istituto dei Tumori di Milano, allo Spallanzani di Roma e alla Protezione Civile. Il 10 marzo chiude negozi, hotel, caffè e ristoranti, sempre in continuità con le linee preventive da lui adottate, per non mettere a rischio la salute dei dipendenti e clienti.

E arriva, con il cuore in mano, da milanese ormai quasi doc e da ex studente di Medicina che per la Moda ha messo nel cassetto il sogno di ragazzo di diventare dottore, la sua lettera al personale sanitario italiano. ‹‹… Tutta la Giorgio Armani è sensibile a questa realtà ed è vicina a tutti voi: dal barelliere all’infermiera, dai medici di base a tutti gli specialisti del settore. Vi sono personalmente vicino››.

Personalmente vicino, è questa la vocazione di questo imprenditore, amato da chi lavora con lui e per lui, per ‘umiltà, la personale conoscenza di ogni passaggio della infinita catena delle sue aziende. Una persona che, da quando curava le vetrine dei grandi magazzini La Rinascente alla fine degli anni Cinquanta, non si è mai tirato indietro nei confronti di nessun compito. Un re, ma un re che non dimentica il benessere dei suoi.

In un momento storico eccezionale, ci piace ascoltare il punto di vista di un imprenditore così illuminato.

Sta forse cambiando ora a livello internazionale l’immagine dell’Italia e della sua amata Milano?

‹‹L’Italia è un Paese resiliente, che sta dimostrando di avere un sistema sanitario tra i migliori del mondo, per efficacia e per accessibilità, e di questo sono molto orgoglioso. E Milano, che oggi è una delle città più colpite dal contagio, non smette di avere quella determinazione e quella forza fattiva, concreta, che le è propria e che l’ha resa cuore pulsante di business e cultura a livello mondiale. È una grande prova quella che stiamo affrontando, ma sono certo che ne usciremo uniti, stimolati a trovare soluzioni per ripartire con un ritmo diverso, mi auguro, e forse più consapevoli di dover affrontare un mondo dove i problemi sono globali. La crisi non cambierà l’immagine del Bel Paese, perché nulla potrà intaccarne il carattere e la cultura profondamente radicata nella sua bellezza, da cui trae forza e ispirazione››.

E la battaglia del re per la sua Milano e l’Italia continua. Il 26 marzo comunica la conversione di tutti i suoi stabilimenti italiani alla produzione di camici monouso destinati alla protezione degli operatori sanitari contro il coronavirus. Decide inoltre di dare il suo contributo anche all’ospedale di Bergamo, a quello di Piacenza e della Versilia, arrivando così a una donazione di 2 milioni di euro. Coinvolge anche la società, i giocatori e l’allenatore della Pallacanestro Olimpia Milano, che rinunciano a una parte dello stipendio per sostenere le strutture ospedaliere. In tutto un altro milione di euro.

Combatte, ma ha paura come tutti?

‹‹Sì, certo, in questo momento ho paura, per me, per le persone che mi sono vicine, ma anche per chi non conosco, le persone sconosciute e lontane››.

Un momento di profonda riflessione sulla vita, che diventa inevitabilmente un pensiero sul suo mondo, quello della Moda…

‹‹Sono anni che sollevo gli stessi interrogativi, spesso inascoltato e anzi passando per moralista: il lusso non può e non deve essere fast. Non ha senso che una mia giacca o un mio tailleur vivano in un negozio per tre settimane prima di diventare obsoleti, sostituiti da merce nuova che non è poi troppo diversa. Io non lavoro così, e trovo immorale farlo. Ho sempre creduto in un’idea di eleganza senza tempo, che non è solo un preciso credo estetico, ma un atteggiamento nella progettazione e realizzazione dei capi che suggerisce un modo di acquistarli: perché durino. Questa crisi è una meravigliosa opportunità per rallentare e disegnare un orizzonte più vero. Una riflessione che sto vivendo sulla mia pelle: io, abituato a ritmi frenetici, sto imparando come tutti l’importanza di rallentare. Una pausa che diventa un’occasione di intimità, un modo di nutrire il nostro pensiero. Questo è il grande insegnamento che, alla fine, ci lascerà questa esperienza di lungo isolamento››.

Per molti, nella pandemia, credere e appellarsi a Dio è di conforto. Aiuta anche lei?

‹‹Avere fede è un dono grandissimo, un conforto sicuro, ma anche il gesto di umiltà di riconoscere che c’è qualche cosa che guida la nostra vita. Mi è capitato, in alcuni momenti veramente molto difficili, di rivolgere una preghiera e farlo è stato di grande conforto››. (FC n. 19 del 10 maggio 2020).

 
 
 

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