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Messaggi del 06/03/2021

Sfruttati

2021, Avvenire 5 marzo.

Il coraggio delle «schiave dello zucchero» di Santo Domingo

L'antropologo Raúl Zecca Castel ha raccolto le testimonianze, in prima persona, delle haitiane immigrate nella Repubblica Dominicana e sfruttate nelle piantagioni di canna nel libro “Mujeres»

Yvette poteva giocare con la sua bambola solo il giorno di Natale. Il resto dell'anno, i genitori la tenevano appena a un chiodo, in alto, in modo che non si sporcasse o rompesse. Dell'infanzia, Nora ricorda le file interminabili al pozzo per l'acqua, con il sole insopportabile sulla testa. Arielle doveva ricevere 216 pesos - poco più di tre euro - per ogni mezza giornata di lavoro. In sette anni, però, ha visto quella cifra una sola volta. Liliane ha cinque figli e ne ha adottato una sesta, Amaya, per impedire alla madre di venderla perché aveva una malattia alla pelle. Cèlestine si sente privilegiata perché da piccola ha frequentato qualche classe così sa leggere e scrivere. Flor pensa che comportandosi bene il marito la picchierà meno e, ogni volta, ci prova. Vendendo il proprio corpo, Anabel ha potuto comprare il latte per i suoi figli. Ha imparato, però, che la prostituzione è una maledizione: ti aiuta quando hai necessità ma poi ti chiede il conto. E devi pagarlo con gli interessi.

Sette donne, sette storie diverse. Ad unirle la medesima condizione: sono tutte "schiave dello zucchero": haitiane di nascita o di origine, immigrate nella Repubblica Dominicana nel disperato intento di sfuggire alla miseria e risucchiate dai bateyes. Piantagioni di canna, le cui origini storiche risalgono al sistema coloniale e schiavista, che vanno avanti grazie al lavoro, in condizioni disumane, degli irregolari del Paese vicino.

Se per gli uomini del batey lo sfruttamento è crudele, per le donne lo è ancora di più. Senza possibilità di accedere a fonti di reddito che garantiscano loro una sussistenza, sono continuamente esposte «al rischio di gravi violenze fisiche e psicologiche», racconta Raúl Zecca Castel , giovane antropologo, che ha esplorato l'universo femminile del batey di Cipagua e lo ha raccontato in Mujeres. Frammenti di vita dal cuore dei Caraibi, edito da Arcoiris.

In realtà, l'autore fa una scelta coraggiosa: lascia che siano le protagoniste a narrarsi, in prima persona, ciascuna con la sua voce, ciascuna con le sue parole. Con un lessico povero, ripetitivo, spesso elementare. Eppure coinvolgente. Perché queste sono donne che «masticano e ingoiano» sofferenze indicibili. Eppure sono capaci di resistere. Per questo le loro parole si fanno arma non violenta di dignità. Sono - scrive Zecca - «parole solidali e liberatrici. Parole consapevoli e, perciò, rivoluzionarie». Un canto di speranza. Anche il libro che le raccoglie lo è. Ed è bello che a scriverlo sia stato un giovane uomo e studioso.

 
 
 

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