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Messaggi del 21/04/2021

Coraggio di osare

Suor Ann Rose Nu Tawng: «Uccidete me, non la gente». Suor Ann Rose Nu Tawng, disarmata, inginocchiata, l’ha ripetuto più volte, tra le lacrime, ai militari schierati nel centro della sua città, Myitkyina, nel nord del Myanmar. Era il 28 febbraio 2021, e quell’immagine ha fatto il giro del mondo, diventando in breve un’icona della protesta popolare non violenta in atto nel Paese dal 1 febbraio scorso, giorno in cui i militari hanno destituito la leader democratica Aung San Suu Kyi, vincitrice delle elezioni del novembre 2020. L’8 marzo la scena si è ripetuta: “sorella coraggio” ha di nuovo affrontato disarmata i poliziotti.

La prima volta, nonostante due sassi che l’hanno colpita al petto, la sua mediazione ha avuto successo, la seconda no: due persone hanno perso la vita.

Religiosa delle suore di San Francesco, nata nel 1977, in un villaggio del Nord, quinta di 13 figli, lavora come infermiera nella clinica diocesana della capitale dello Stato Kachin.

«Credo che Dio si sia servito di me, lo Spirito Santo mi ha dato la forza. Questo non sarà mai un Paese democratico finché poliziotti e soldati, che dovrebbero proteggere le persone, le uccidono». «Quando ho saputo del colpo di Stato, mi sono sentita assalire dalla disperazione, dalla sensazione di sprofondare in un buio passato». «In Myanmar tanta gente si sta ribellando: sono scesi in piazza i giovani, gli studenti, ma anche tanti lavoratori di diverse categorie: impiegati statali, medici, insegnanti. Questo è un fatto nuovo». «Ogni giorno arrivano feriti nella nostra clinica, che vanno ad aggiungersi ai tanti malati. Ci viene chiesto un surplus di fatica: qualche volta mi manca il tempo per andare in chiesa, ma affido il mio lavoro a Dio come preghiera». «I giovani sono sempre in prima linea nelle proteste, affrontano i militari, i lacrimogeni e i proiettili. Vanno avanti con coraggio, animati dalla speranza. Sanno che se la protesta non arriverà a buon fine, si tornerà al passato. Per questo sono pronti a offrire la vita per dare un futuro migliore al loro Paese. Li ammiro e li ricordo spesso al Signore». «Alcuni di loro hanno studiato all’estero, hanno fatto esperienza della libertà e vogliono la stessa cosa per sé e per il loro popolo. I militari hanno ucciso alcuni dei giovani impegnati nelle proteste, ma ciò non è bastato a fermarli». «Io appartengo al popolo del Myanmar e avverto gli stessi sentimenti della gente: mi sento triste. Prego il Signore per il mio Paese, e vi chiedo di farlo con noi. Non voglio rimanere ancora sotto la pressione dei militari, e non voglio questo futuro nemmeno per i nostri giovani». «Da quando la Giunta militare ha preso il potere, nel 1962, il nostro Paese ha fatto molti passi indietro dal punto di vista sociale, educativo ed economico, ma i governanti hanno cercato di farci credere che il Myanmar andasse meglio. Non vogliamo che questo riaccada di nuovo». «La violenza deve finire, i capi religiosi e politici dovrebbero incontrarsi e dialogare. Credo che il dialogo e il perdono reciproco siano alla base di un Paese felice e democratico. Mi affido a Dio perché ci guidi lui». «All’interno di polizia e militari ci sono anche brave persone, io stessa ne ho fatto esperienza. Alcuni sono disponibili al dialogo, ma i capi no. Tuttavia, nutro la speranza che il Movimento per la disobbedienza civile riuscirà a fermare pacificamente la violenza. Conseguire la vittoria finale non sarà facile, ma se stiamo insieme possiamo farcela». «Questo sentimento di condivisione di papa Francesco ci ha colpito e rafforzato. Perciò anche io chiedo: continuate a pregare per il nostro Paese e ad aiutarci, ne abbiamo molto bisogno!». «In Italia avete fatto tanto per informare la gente su quanto accade qui. So che pregate per noi e vi siete mobilitati. Noi da soli non ce la faremo a uscire da questa situazione complessa. Per questo ci appelliamo a tutti gli uomini e le donne di buona volontà». «Tanti hanno capito che siamo in profonda unità con il popolo, che sentiamo il dolore della gente, come fratelli e come cittadini, membri di una sola famiglia. Noi stiamo vivendo tutto questo come una missione: vogliamo essere “Chiesa in uscita”. Vogliamo stare dalla parte della verità e della libertà, e siamo pronti a pagare un prezzo per questo. Non sarà facile vincere. Ma la speranza è l’ultima a morire». (FC n. 16 del 18 aprile 2021).

 
 
 

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