Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Settembre 2021

Nelle relazioni

2021, Avvenire 11 settembre

Maria Jordet: la vera felicità? Nelle relazioni

Ricercatrice norvegese di psicologia clinica, classe 1990, dottoranda alla Inland Norway University, ha viaggiato in treno e bus, da Oslo fino ad Assisi, per partecipare alla summer school di EoF

Cosa ci fa una ricercatrice di psicologia clinica tra 35 giovani economisti a parlare di bene comune? Maria Jordet, classe 1990, dottoranda alla Inland Norway University, ha viaggiato in treno e bus, da Oslo fino ad Assisi, per partecipare alla summer school di “The Economy of Francesco” (EoF), il laboratorio internazionale di idee ed esperienze in cui novelli imprenditori e accademici discutono, come più volte sollecitato da papa Francesco, soluzioni per un’economia più «sostenibile, inclusiva e attenta agli ultimi». «Lo studio della mente e dei comportamenti - spiega la ragazza - è finalizzato a migliorare la consapevolezza di ciò che rende una vita davvero sana e felice. Lo stesso fanno gli economisti». Pertanto, nessun dubbio: «sono nel posto giusto », sintetizza con un sorriso. «Quando per la prima volta, più di un anno fa, ho letto dell’iniziativa – racconta – ho subito sentito che dovevo esserci, che alla chiamata del Santo Padre avrei dovuto rispondere anch’io». Così è stato. Dopo mesi di incontri limitati alla discussione online dalla pandemia di Covid-19, a fine estate la giovane si è unita alla grande famiglia di EoF «finalmente in presenza».

È poco più che trentenne ma il bagaglio di cultura ed esperienza con cui è arrivata in Umbria non è leggero. È stata in Kenya due volte, al seguito delle suore Missionarie della Carità, per un progetto di volontariato ma conosce bene anche il Bangladesh dove ha realizzato una ricerca su come musica e canti della tradizione locale possono favorire il benessere psico-fisico dei bambini bengalesi. «La prima volta che sono partita, era il 2014, rimasi colpita – ricorda – da come gli antichi stornelli, quelli che oggi rischiano di scomparire perché nessuno si preoccupa di tramandarli, riuscissero a nutrire la forza e il coraggio di quei piccoli, maschi e femmine, di diversa estrazione sociale». È lì, a Dhaka, che la ricercatrice ebbe l’intuizione diventata poi oggetto del suo dottorato: «ciò che sana le ferite psicologiche dell’uomo – sottolinea – è qualcosa di diverso dalla mera ricchezza o dallo status sociale».

La felicità più profonda giace altrove. Per esempio, dice, «nelle relazioni» che, come nel caso dei bambini bengalesi, riconnettono l’uomo al proprio passato o, come dimostrano i risultati di un altro suo progetto sull’ecologia e il dolore dei sentimenti inespressi, «all’ambiente naturale da cui per vari motivi si viene allontanati». Nasce da quest’esperienza scientifica, oltre che personale, la visione del mondo che Maria ha condiviso con la community di EoF, prima nel gruppo di lavoro online su «stili di vita e benessere», poi alla formazione di inizio settembre.

A nutrire la freschezza e la curiosità della norvegese è anche la sua recente adesione al cattolicesimo. «Sono nata e cresciuta in una famiglia cristiana – spiega – ma mi sono avvicinata alla Chiesa di Roma solo qualche anno fa attraverso un processo di discernimento che ho pian piano intrapreso con l’aiuto generoso di un frate domenicano». La spinta finale verso il cattolicesimo, aggiunge, «è arrivata con l’elezione di papa Bergoglio che, sin dal primo momento, è riuscito a parlare con forza al mio cuore, anche solo con le sue gesta». Maria sottolinea quasi con sorpresa la concretezza del francescanesimo emersa durante le lezioni e i seminari dell’iniziativa EoF. «Nonostante il mio dottorato sia molto radicato nella realtà, ho sempre temuto – confessa – l’astrattezza della ricerca accademica, ma quest’esperienza mi ha aiutato a capire come rafforzare la consistenza tangibile dei miei studi e come indirizzarli verso altri temi dalla portata pratica come quello della giustizia». È anche per questo che spera di poter continuare a frequentare «gli amici di Assisi» ancora a lungo. Il ritorno a casa e al lavoro di tutti i giorni, a Oslo, è ormai prossimo ma l’entusiasmo della giovane psicologa con la passione per il nuoto e la scrittura è tale da farle credere che l’avventura di EoF «sia appena cominciata».

 
 
 

Tanta solidarietà

Post n°3643 pubblicato il 12 Settembre 2021 da namy0000
 

2021, Antonio Mazzi, FC n. 37 del 12 settembre

L’INCENDIO CHE HA DISTRUTTO UN PALAZZO A MILANO

Dopo il disastro tanta solidarietà verso gli inquilini senza casa

Gesti di eroismo quotidiano e poco mediatico, come quello del giovane che è corso su e giù per avvertire e aiutare gli altri condomini

In pochi minuti, domenica 29 agosto 2021, un grattacielo di diciotto piani con 58 appartamenti si è trasformato in una spaventosa torcia, rivolta verso il cielo. Per fortuna i condomini sono riusciti a uscire e scappare. Nessun morto e nessun ferito grave. Però, se fino a ieri passavamo lentamente tra le torri della zona Garibaldi per amirarle, oggi forse anche le basiliche verticali hanno dimostrato la loro fragilità. Perché noi, guardoni e invidiosi, passiamo in un attimo dall’adorazione al menefreghismo totale. Anzi peggio. Poiché tra gli abitanti del grattacielo c’era anche il cantante Mahmood, vincitore al Festival di Sanremo 2019, un malnato gruppo di sciagurati, sempre ben nascosto dai falsi profili dei social, si è scatenato con insulti gratuiti e animaleschi, che faremmo bene a non reclamizzare troppo. Invece anche questa volta accadrà che, purtroppo, pochi parleranno degli esempi e delle azioni solidali che sono nate subito attorno al disastro, mentre la nauseante sequenza dei folli, in un modo o nell’altro, verrà evidenziata infinite volte, perché l’informazione deve essere globale. È così che si giustificano tutte le trasmissioni nelle quali il peggio è sempre più evidenziato e più cercato del meglio.

Per evitare anche a noi di cadere nelle trappole che denunciamo, riportiamo la simpatica condotta del giovane inquilino che, non essendo scattato l’allarme, si è subito buttato su e giù per le scale ad avvertire e aiutare tutti gli altri condomini a uscire.

L’Italia è un Paese straordinario, ricco di infinite azioni solidali, civili, ricco di umanità. Non c’è paese, non c’è città, non c’è quartiere nel quale le forze “solidali” non siano attive, quasi eroiche e disponibili, incuranti di ogni rischio e pericolo. Abbiamo visto commossi medici e infermieri durante la pandemia del Covid, giorno e notte, tra la vita e la morte, tra la speranza e la disperazione girare dentro le sale degli ospedali, per mesi, sapendo che rischiavano tanto quanto i malati. Non dimentichiamo questi eroismi!

Come non possiamo non aiutare ora i disperati che fuggono da Kabul. Il bene non solo fa bene a chi lo fa, ma fa bene anche a chi lo vede. Nei telegiornali, durante la cena, vedere azioni positive, gesti educati, vale quanto la fetta di dolce fatto dalla nonna, che abbiamo nel piattino. Porto per esempio i volti sorridenti degli atleti paralimpici di questi giorni. Sono il più dolce e il più potente dei messaggi. Straordinaria la storia di Antonio F. che dedica la sua medaglia a mamma Sandra, che non si è spaventata per la fistola arterio-venosa che lo ha costretto a usare la carrozzina. Poiché i medici le avevano consigliato l’acqua come terapia, la mamma ha trasformato la terapia in medaglia d’oro!

 
 
 

Condannate di nuovo al silenzio

Post n°3642 pubblicato il 08 Settembre 2021 da namy0000
 

2021, FC n. 36 del 5 settembre

L’accorato appello di Sahraa Karimi: «Non lasciateci sole»

In una lettera inviata alle comunità del mondo la regista, rimasta nel suo Paese, prefigura il terribile destino delle donne, condannate di nuovo al silenzio

Dall’inferno afghano arriva il grido di aiuto della regista Sahraa Karimi, prima presidente donna dell’Afghan Film Organization, in fuga dai talebani: «Io resterò a combattere per il mio Paese, ma da sola non ce la faccio. Ho bisogno di alleati e alleate. Per favore, aiutateci a fare sì che il mondo si preoccupi di quello che sta succedendo. Siete le nostre voci fuori dall’Afghanistan. Il mondo non dovrebbe voltarci le spalle e stare in silenzio».

Così nella lettera inviata a tutte le comunità del mondo «con il cuore spezzato», mentre con il cellulare riprendeva quanto accadeva nelle strade: «Stanno massacrando il nostro popolo, hanno rapito molti bambini, hanno venduto bambine come spose minorenni ai loro uomini, hanno assassinato donne per il loro abbigliamento, hanno torturato e assassinato uno dei nostri poeti storici e il capo dei media per il governo, hanno impiccato pubblicamente alcuni dei nostri uomini, hanno sfollato centinaia di migliaia di famiglie». Le donne sono le prede di guerra contro le quali i talebani agiscono con maggiore ferocia e accanimento. In questi vent’anni molte ce l’avevano fatta a uscire dalla loro secolare condizione di proprietà degli uomini: oggi sono il 40% degli studenti e un quarto dei parlamentari, hanno aperto conti in banca, posseggono 2.500 aziende, sono professioniste e leader.

«I talebani spoglieranno le donne dei loro diritti, le nostre voci saranno cacciate nell’ombra delle nostre case, il nostro diritto a esprimersi è condannato al silenzio. Quando i talebani erano al potere, a scuola non c’erano ragazze afghane. In queste settimane hanno distrutto molte scuole e 2 milioni di ragazze sono di nuovo costrette a lasciare le classi», scrive Sahraa Karimi, mentre denuncia il periodo che, con i talebani al potere, saranno vietate tutte le opere d’arte: «Io e altri registi potremmo essere i prossimi sulla loro lista».

La lettera di Karimi ha suscitato un’ondata di commozione, in particolare fra le associazioni femminili italiane, e più di ottanta hanno rivolto un appello al Governo italiano per chiedere un impegno a favore del popolo afghano. Ma è anche urgente scendere in campo con iniziative concrete per non abbandonare le donne afghane al loro martirio. Il comitato scientifico dei “Dialoghi a Spoleto”, la manifestazione internazionale sull’empowerment (rafforzamento) femminile, creata e guidata dalla giornalista Paola S., si è resa disponibile ad allestire una rete che coinvolga tutte le persone di buona volontà, le istituzioni del Terzo settore, le associazioni delle donne: «Non possiamo fermarci alla riprovazione, dobbiamo agire subito, attraverso la costruzione di una rete internazionale che veda le donne italiane protagoniste di salvezza per le loro sorelle afghane». Non lasciamo cadere queste opportunità, non voltiamo la testa dall’altra parte. L’Afghanistan siamo tutti noi, nella vergogna e nella complicità indiretta.

 
 
 

Come oro nel crogiolo

Post n°3641 pubblicato il 06 Settembre 2021 da namy0000
 

2021, FC n. 36 del 5 settembre

COME ORO NEL CROGIOLO: RISORGERE A UNA FEDE PIÙ PIENA

La fede viene provata come oro nel crogiolo, afferma il Siracide (2,4-5). Ma non avrei mai pensato che questo toccasse a me. Non ero preparato alla morte di mio padre. Nell’era della pandemia, chi ha perso qualcuno ha avuto una ferita in più. Non abbiamo potuto ascoltare l’ultimo respiro dei nostri cari, io non sono potuto rimanere accanto a mio padre morente, tenendogli la mano. Nell’ultimo passo è stato solo. L’ultima volta che l’ho visto stava per essere accompagnato dai sanitari in ospedale dopo l’aggravarsi delle sue condizioni. I nostri sguardi si sono incrociati un’ultima volta: «Papà» dissi io, «Emiliano» rispose lui, e niente più.

Ci rincontreremo nell’altra vita. Sono stati giorni terribili, appesi alla telefonata del primario. La situazione andava peggiorando, lentamente, inesorabilmente. Finché non arrivò la fredda chiamata che papà aveva avuto un arresto cardiaco e non ce l’aveva fatta. Dio ci mette alla prova, ma ci sostiene. Tre giorni prima mamma mi aveva chiesto: «Emiliano, cosa ne pensi di questa situazione?». Mia madre e mia sorella erano affette dal Covid nella casa in cui sono cresciuto, per me era straziante non poterle vedere e toccare fisicamente, ci sentivamo solo via telefono. Pregavamo insieme in videochiamata. Io risposi: «Sia fatta la volontà di Dio».

In altri tempi non avrei mai detto nulla di simile, sarebbe stato come avallare il peggio. Ma Dio mi stava preparando ad accettare il passaggio dell’anima di mio padre nel regno dei cieli. Egli non ci abbandona neanche nel momento della più buia disperazione. Tutte le sere abbiamo continuato a pregare. Giorni terribili, in cui il mondo è fermo in una bolla soffocante. Nessuna parola umana può darti conforto, in fondo però c’è la luce di Dio, che è dentro di te e ti dà la sicurezza che non sprofonderai nei meandri della terra. Ma questo non significa che il dolore passi, il crogiolo del fuoco fa il suo ingrato lavoro. Il dolore ti trasforma, la grazia di Dio agisce silenziosamente. L’unica cosa che comprendi è l’abbandono verso Dio. «Ecco, Signore, ho le mani vuote e il cuore distrutto», pensavo, «solo tu puoi sostenermi ora».

Il cammino della fede non è solo ascoltare l’Amore di Dio e percepire la sua tenerezza. È anche camminare nella notte oscura. Come Bartimeo chiede al Signore di aiutarlo a trovare il senso della vita, così quando si ha un dolore così forte che non lo comprendi, allora bisogna gridare al Signore di ridarci il senso perduto della vita. Santa Teresina direbbe che è amare Te, oh Signore. Solo qui il nostro cuore trova pace. Sono sicuro che non è Dio che produca queste disgrazie, la colpa è dell’uomo e delle sue scelte sbagliate. Anche mio padre aveva preso sottogamba la pandemia. La mia fede non è venuta meno e oggi voglio ringraziare Dio. Attraverso il dolore mi sta conducendo a una fede meno bambina, più adulta. Non è la fede “di Aladino”, dove sfregando un monile si evochi un geno pronto ad esaudire le nostre richieste effimere. Oggi posso dire con consapevolezza a chi soffre: «Fratello, anche se dovrai attraversare una valle oscura, il suo bastone e il suo vincastro ti daranno sicurezza, perché Dio è sempre con noi». Il dolore lacerante rimane, ma anche lo sguardo di Dio che ci aiuta a risorgere a una vita più piena, più sapiente e più essenziale – Emiliano A.

 
 
 

Effatà

Post n°3640 pubblicato il 02 Settembre 2021 da namy0000
 

2021, Ermes Ronchi, Avvenire 2 settembre

«Effatà»: quando apri la tua porta la vita viene

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente (...).

Portarono a Gesù un sordomuto. Un uomo prigioniero del silenzio, una vita senza parole e senza musica, ma che non ha fatto naufragio, perché accolta dentro un cerchio di amici che si prendono cura di lui: e lo condussero da Gesù. La guarigione inizia quando qualcuno mette mano all'umanissima arte dell'accompagnamento.
E lo pregarono di imporgli la mano. Ma Gesù fa molto di più, non gli basta imporre le mani in un gesto ieratico, vuole mostrare l'eccedenza e la vicinanza di Dio: lo prese in disparte, lontano dalla folla: «Io e te soli, ora conti solo tu e, per questo tempo, niente è più importante di te». Li immagino occhi negli occhi, e Gesù che prende quel volto fra le sue mani.
Seguono gesti molto corporei e delicati: Gesù pose le dita sugli orecchi del sordo. Le dita: come lo scultore che modella delicatamente la creta che ha plasmato. Come una carezza. Non ci sono parole, solo la tenerezza dei gesti.
Poi con la saliva toccò la sua lingua. Gesto intimo, coinvolgente: ti do qualcosa di mio, qualcosa che sta nella bocca dell'uomo, insieme al respiro e alla parola, simboli della vita.
Vangelo di contatti, di odori, di sapori. Il contatto fisico non dispiaceva a Gesù, anzi. E i corpi diventano luogo santo d'incontro con il Signore, laboratorio del Regno. La salvezza non è estranea ai corpi, passa attraverso di essi, che non sono strade del male ma «scorciatoie divine» (J.P.Sonnet),
Guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro. Un sospiro non è un grido che esprime potenza, non è un singhiozzo, ma il respiro della speranza, calma e umile, il sospiro del prigioniero (Sal 102,21), e Gesù è anche lui prigioniero con quell'uomo.
E gli disse: Effatà, apriti! In aramaico, nel dialetto di casa, nella lingua della madre, ripartendo dalle radici: apriti, come si apre una porta all'ospite, una finestra al sole, le braccia all'amore. Apriti agli altri e a Dio, anche con le tue ferite, attraverso le quali vita esce e vita entra. Se apri la tua porta, la vita viene.
Una vita guarita è quella che si apre agli altri: e subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. Prima gli orecchi. Perché il primo servizio da rendere a Dio e all'uomo è sempre l'ascolto. Se non sai ascoltare, perdi la parola, diventi muto o parli senza toccare il cuore di nessuno. Forse l'afasia della chiesa dipende oggi dal fatto che non sappiamo più ascoltare, Dio e l'uomo. Dettaglio eloquente: sa parlare solo chi sa ascoltare. Dono da chiedere instancabilmente, per il sordomuto che è in noi: donaci, Signore, un cuore che ascolta (cfr 1Re 3,9). Allora nasceranno pensieri e parole che sanno di cielo.

 
 
 

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