L'uomo dei difetti

Tratto da "Tutto in ventiquattro ore" de L'uomo dei difetti.


 Volevo solo che lei mi notasse. E mi guardò.Fece per sorridere. Pareva impacciata. Ringraziai Dio per il dono di quell'istante. Non l'avevo mai veduta così. Non l'avrei mai più veduta così. La notte non mi riusciva di sognarla, e allora passavo il tempo migliore ad immaginarla. E sorridevo. Perché lei, sorrideva.Una donna capace ancora di arrossire, di contare i secondi come fossero minuti, di tenere gli occhi giù stringendosi nelle spalle perché emozionata dalla stessa sua ingenuità...   Giocavo con gli occhiali, e non lo facevo mai. Mi riconoscevo a stento. Magari quello non ero neanche io. Eppure quelle sensazioni erano le mie, eccome. Certe vibrazioni non si raccontano. Non le puoi raccontare. Non le devi raccontare. Rischieresti di rendere felice la persona sbagliata, e allora, le avresti sciupate. E se anche quell'emorragia di turbamenti giacché trepidanti fosse appartenuta ad altro uomo,  allora io vi giuro: Invidio quell'uomo.Io, in-vi-dio quell'uomo!E mai taluno, invidiar talaltro, mi sorprese. Né uomo.Né donna.Né terra.   M'avevano scassinato il cuore.Il mio poi, figuriamoci!  Pensai.Blindato a tripla mandata dalle mie stesse voglie, dal mio stesso, solito, magistrale, conflitto di sempre: "L'uomo ardente, malizioso Vs L'uomo perbene, solido".Troppo malizioso. Troppo perbene. Uno scontro al vertice.La felicità, il premio.Una miscela che non conosce sfumature. Null'altro che il (V)ero, tra le pieghe del verosimile.Mai alzato la coppa, io.  Scesi i Rayban che tenevo alti sulla testa. Dietro le lenti scure gli occhi seguivano ogni suo palpito. Mi sentivo assurdamente legato al più inconsapevole dei suoi fremiti, come se a sua insaputa, essi già m'appartenessero. Come se ella non desiderasse altro che essere protetta. Aver fatto a pugni mille volte con la vita solo per arrivare a sedere in quel bar, a quel tavolino, in quel giorno. Allora tutto avrebbe avuto un senso. Finalmente libera di abbandonarsi al piacere di abbassare la guardia. Di non pensare più al devo, ma al dobbiamo. Libera di scivolare tra le braccia di colui che un giorno, e sia maledetto quel giorno, avrebbe scelto lei, alla vita. Ed io ero il prescelto.   Diede due colpetti con la mano al pantalone del tailleur come per liberarsi dalle briciole di quel pasto frugale indugiatele addosso. Tutto quel bianco cominciava a darmi alla testa. Me la toccai. Seppi così che ancora ne avevo una. Sulle spalle poggiava, perlomeno.D'un tratto, repentina, s'alzo. Trasse a sé la borsa che sormontava lo sgabello al suo fianco. Un grande borsone di uno strano grigio, slavato, non uniforme, in pelle. Spaventosamente, grande!  Ne percepivo quasi la pesantezza mentre mi stuzzicavo con l'idea di quante e quali fossero le cose che ella potesse tenerci dentro. Cosa avrei dato per poter sbirciare lì dentro, nel suo mondo più intimo che già bramavo...    Tirò su la cerniera, e serafica, come se null'altro che lei avesse mai aleggiato in quella sala, dandomi le spalle,  s'avvio alla cassa.Il corpo era vestito come un guanto. Figurava come stretto in una morsa, soffice e sinuosa. Una stretta che gaia ne arginava gli umori. E che avida, l’odor tratteneva.   <<Mi perdoni, questo posto è occupato ?>>, mi domandò, sorridendo, la moretta che al mio arrivo sedeva al tavolino dietro il mio. Avrà avuto non più di venticinque anni. Com'era ? Non lo ricordo. La guardai due volte. Non una la osservai.  <<Libero, liberissimo. Stavo giusto andando via...>>, le risposi, sorridendole di rimando.   Balzai in piedi. Feci un lungo respiro e mi diressi anch'io verso la cassa...Presto avrei scoperto se la determinazione nel libero arbitrio avesse ragion d'essere. Se fosse stato davvero possibile scrivere il proprio destino. Ed io il mio... M.(L'uomo dei difetti)[Post Scriptum]Tratto da "Tutto in ventiquattro ore" de L'uomo dei difetti [MolesKine N.14, grafite, HB]