L'uomo dei difetti

Zagara... Sulle labbra. Nel petto. (PARTE II)


    Non mi riusciva di vederla.Il mio muscolo cardiaco, impazzava. Feci un balzo, poi m'inerpicai, passai in rassegna tutti i quadranti di quelle imposte, mi ci spiaccicai contro, ma niente. Volatilizzata.    Come quando cala il sipario.Lo spettacolo è finito, e tanti saluti.   Le mie orecchie si drizzarono per un fragore in due tempi. Lo percepii venire di lato, dalla mia sinistra, un rumore secco prima, un cigolare poi.    Era la porta. Socchiusa, adesso.   La mia fanciulla è di nuovo nella mia prospettiva. E' stata lei. Deve essersi accorta di me. Me ne convinsi.   Il tempo di inspirare, e fui dentro. Lei era ancora di spalle quando, accompagnandola per non far rumore, richiusi la porta alle mie.   Dischiusi le labbra, e ancor prima che io potessi proferir parola, mi arrivò davanti. Scalza, anche lei. Tese un braccio verso il mio viso e con foga poggiò le sue dita, affilate come lance, attaccaticce, contro le mie labbra.    Del vento neanche il sibilo. Ma egualmente, nella testa, una voce di donna mi richiamava al silenzio. Perentorio.   Tentai di puntellarmi le labbra con la lingua. Impattai a più riprese contro quei polpastrelli che umettati me le serravano,  e grondanti spargevano nettare tra i miei baffi che scendevano diritti, come solidi binari, ai lati del mento.   Cominciavo anch'io a sapere di miele, e profumavo, anche...   Sapevo di dovermi sedere. La fanciulla taceva. Ma solo con la bocca.   Ora è su di me, a cavalcioni. La mano ancora a giocare alla museruola. I suoi polpastrelli me la martellavano al ritmo di un motivetto che mentre lo intentava le illuminava gli occhi a festa, e lo sguardo sognante, come quello di una bambina affaccendata a scartare il suo regalo. L'altra mano brandiva quell'unica, gonfia, fetta di pane tostato e burro e miele. Candida, e dorata. Come la nudità di quella sua pelle che il solo bramar di sfiorare mi permettevo. Per non sciuparla. Per quanto già io l'adorassi, non permettevo neanche ai miei pensieri il lusso di scorgerla in profondità.   Con moto ondoso, sinuosa, mi s'avvicinò al petto. Il bacino dondolava lento su quanto di mio di certo non mentiva. Quando la mia emozione, pulsando, si fece imbarazzante, insistente, percepii il suo respiro di concerto col mio, trafelato. Adesso i suoi occhi erano serrati. Ma la danza non ebbe fine.   I nostri visi erano ormai ad un solo palmo dei miei. Vidi la sua bocca sfiorare la sua stessa mano che ancora tappava la mia, e languida, affannosamente languida, mi fece scivolare in un orecchio:       <<ZITTO... Stai zitto... Respira, solo di questo abbiamo bisogno, adesso.>>   La faccenda non m'era affatto chiara. Sapevo solo che se anche fosse stato tutto un losco tranello del destino, se anche mi stessi giocando la vita, il solo ritrovarmela avvinghiata col suo fiato misto al mio ad invadermi le froge, avrebbe giustificato il mio risponderle di getto, proprio come Garibaldi a La Marmora: <<Obbedisco.>>   <<Ce l'hai fatta ad arrivare... Temevo non arrivassi più...>>, tenera, e sempre più languida, concluse.Avrei voluto parlare anch'io. Raccontarle di quella notte, pazza e magica, di quelle scarpe che più non possedevo, di quella terra dei due colori criptica fin dal nome, ma che presagivo mia. E poi di quel vento, e di quel profumo di miele che da lei m'aveva condotto. Le avrei parlato di me per tutta la notte. Ma non feci in tempo a dirle nulla. Ancor prima di realizzare di aver riavuto indietro le mie labbra non più occluse, la sua mano aveva già passato il testimone alla sua bocca.   Sentivo la sua lingua percorrerne i contorni, e poi deglutire più volte.  Quei baci sapevano di buono. Di nuovo. Di una bellezza che le labbra mie, scarlatte e gonfie, non avevano conosciuto. Prima di quell'incantesimo.   Mi dimostrai indisponente. E per farle capire di non aver ancora imparato la lezione, tornai a fiatare:    <<Che fai, mangi ?>>, e lei, smorfiosa:   <<Si. Ti mangio. E adesso ti bevo, pure...>>, stavo per sorridere quando con la reattività di una mangusta s'avventò sul mio labbro inferiore, a succhiarlo, prima, e lacerarlo con gli incisivi, poi. Un taglio secco, e rivoli di sangue a scendere copiosi.Portò l'altra mano all'altezza del suo viso e diede un morso  a quella fetta di pane e burro e miele, che arrogante non accennava ad abbandonare alcuna delle mie fantasie.   Non avevo mai veduto dei denti così brillanti. Diciamo pure che nulla di quanto mi stesse accadendo quella notte io avessi mai veduto; provato.   Aggraziata, sorridente, con ancora stille del mio sangue sulle labbra, carnalmente imburrate, mi disse:   <<Lo so. Questo, non te l'hanno mai fatto. Ma non avrei potuto leccare le tue ferite se prima non ti avessi lacerato. Quello che ti offro io è quello che non c'era. Quello che non credevi fosse possibile avere. Io ti offro il sogno.>>   Mi vide comprensibilmente frastornato. Ma quel bruciore sanguinante non mi creava disagio. Mi convinsi fosse un qualcosa simile ad un processo di purificazione. Necessario. E desiderato. L'avrei fatta continuare se solo l'avesse voluto. Purché a lacerarmi, ovunque, fosse sempre e solo lei.   Il mio sguardo si posò sulla sua mano imbrattata di miele, e sul burro, di me imporporato.    <<Perché guardi il pane ? …Per quello abbiamo tutta la vita. Stringimi, adesso. Forte. Fortissimo.>>   I suoi piedi, irrequieti,  giocavano con i miei, fermi. L'argilla che prima era solo mia. Adesso, era la nostra.   Le infilai le mani sotto la veste. Le feci scorrere dalle reni fin sopra le spalle A saggiarla, avide. Era bollente. Il tepore della sua schiena me le scaldava. La trassi a me. Poggiai il viso tra i suoi seni turgidi, alti. Mi ci saldai. A quel punto potevo anche morire. Ma non morii. Le domandai solo, ansimante, tanto da sembrare più una confessione che una domanda:      <<Quanto forte vuoi che io ti stringa ancora...>>   Ferma nella mia morsa, serafica, ella mi rispose:   <<Stringimi... Da lasciarmi solo in vita.>>.   Fu allora che riconobbi in lei la voce del vento che in quella terra m'aveva scortato. D'incanto, tutto m'era cristallino. Era lei che mentre m'attirava col suo profumo di miele di Zagara, scoraggiava gli altri viandanti, indirizzandoli altrove con i più disparati odori. E la mente mi corse rapida a quei due uomini incontrati solo poche ore prima...Quel profumo senza storia, l'aveva confezionato per me, e con esso, ella m'aveva scelto...   M.(L'uomo dei difetti...)