L'uomo dei difetti

I miei ricordi di Natale


   Anche quest'anno, il Santo Natale è arrivato. E anche quest'anno, vi lascio in compagnia dei  miei ricordi da bambino. Sempre gli stessi, perché io mai fui più lo stesso. Ricordi di quando tutto era bello. Di quanto io e mia sorella Stefania scherzavamo, litigavamo e sorridevamo, entrambi, sulla stessa terra. Un nuovo anno non è solo un anno in più sul groppone, ma è anche un anno in meno che mi separa dal riabbracciarla. E allora, io lo rispetto, perché esso non m'è ostile.  Mi fa piacere offrirvi un'ideale calice di Bellavista e lasciarvi con qualche mio ricordo, intenso e denso perché pregno... Di me, in stille.Buon Natale, di cuore...     Ci fu un tempo che mi vide piccino…Non saprei come parafrasarlo. Tuttavia, allorquando nostalgico, talora malinconico, mi ritrovo ad abbandonare il corso d’opera a favore della mia infanzia, alla mente, un solo mese, un solo luogo, e al corpo una sola percezione, affiorano.Dicembre, e il freddo, fuori. I miei affetti di fronte al camino, al caldo, dentro.Mia mamma che stende castagne, patate americane, e mentre racconta aneddoti su antenati e Janare che giura essere veri, mi rimprovera di star troppo sotto, troppo vicino al fuoco, e al suo scoppiettio.Mi sembra di sentirla: << Allontanati dal fuoco! … E tu, Stefà!... Stai attento a Massimino! >>, ah be’, le mamme. Che bella invenzione, le mamme. Su questo, poco è davvero cambiato, per lei sono Massimino anche oggi che ho quarant'anni e supero il metro e ottanta.Ed io, puntualmente, come se mai glielo avessi domandato prima: <<Mamma… Cosa sono quei fischi che fa il fuoco ?>>.   << Quelle sono le malelingue, Massimino. >>   << Le malelingue ?... Parlano male di te ? >>   << No. Solo di te. Adesso scaldati, e stai zitto perché devo studiare. >>, intromettendosi tra me e la mamma, mi rispondeva mia sorella che poi intenerita dal mio esserci rimasto male, sorridendo, mi passava la mano tra i capelli, scompigliandoli. E facendomi sentire ancor più piccolo di quanto in realtà io fossi. E mi piaceva. Perché ero un bambino. Perché il mondo e il suo lerciume non m’aveva ancora invaso le froge. Perché l’odore di certi istanti, te lo ritrovi impregnato nei ricordi fino alla fine. Quasi a volerti dire: Questo è ciò che è stato. Questo è ciò che mai tornerai ad avere. Fattelo bastare.E invece, non basta mai. Le cose belle non bastano mai perché durano poco. Troppo poco. A cinque anni, come a quaranta. Sempre.Ho sempre avuto le mani gelate. Sempre. Mani e piedi ghiacciati. La mia sorellina che era più grande di me, ci scherzava:   << Hai le mani ghiacciate perché il sangue ti è finito tutto sulle labbra! >>, e tutti ridevano, e ridevo anch’io. Ma non sapevo il perché. Era bello e basta. Tuttavia, la spensieratezza, le risate, tutto faceva parte del conto. Perché le cose che contano non sono mai in saldo. E la vita, segna tutto. Il pareggio non esiste. Ma esistono le lacrime che copiose, mai paghe, m’avrebbero scortato, inesorabili, lungo gli anni avvenire.Ma questa, è la mia storia.     E allora, di storia, ve ne racconto un’altra. E nonostante le premesse, vi assicuro, non meno fondata della prima.  
  L'arcano Cavaliere e la Fanciulla   Ricordo che un giorno un Vecchio mi raccontò di una terra, di un lago, e di un guscio che galleggiava ad un palmo da una sponda delle sue.   In quel guscio di legno, in quella terra che neanche le mappe sapevano appuntare, viveva una fanciulla...Aveva modi gentili, e benché vivesse sola, ella non era triste. Sapeva di non essere una donna come le altre. Ma questo non le creava motivo di disagio. Trascorreva le giornate coltivando con passione i talenti per i quali era venuta al mondo. Leggeva, al giorno, e scriveva, alla notte. Poesie. Storie. Ricordi del suo essere donna. Desideri...E quando le maglie dei pensieri non la vedevano assorta, era dedita a preparare leccornie, angeliche, e fragranti.Tutto quanto ella toccasse, diveniva florido, rigoglioso e zuccherino.Si racconta che in un pomeriggio invernale, assorbita e fragile, avesse appena ammassato della farina allorquando un’emozione, slacciata, s’abbandonò in stille su quell’impasto che poroso crebbe solenne sotto i suoi occhi. Ne fece del pane. Tanto, pane. L’alba s’affacciò, e solo ad allora ella smise di sfornare il frutto dell’amore. Il solo profumo aleggiò su quelle terre per tre giorni e due notti.   La Fanciulla aveva pretendenti e pretendenti vestiti da cultori...Di tanto in tanto, leggiadra, aveva voglia di donare un sorriso alla gente del lago che sulla terra ferma, rispettosi, mantenendosi a distanza le facevano visita per cogliere il solo riflesso di quella bellezza, e offrire il proprio dono. L'unica possibilità per essere ricordati, forse...   E poi c'era un Cavaliere, solitario, misterioso...Viveva in una terra lontana... Lontana dalla Fanciulla, dai cultori, dai pretendenti, e dai cultori e pretendenti... Non era più ricco, più alto, più bello, più intelligente degli altri, e non vestiva neanche d’azzurro…Ma egli aveva un (S)ogno, e un cuore che se solo la fanciulla l’avesse saputo, voluto, potuto leggere...E tutte le mattine s'alzava dal suo giaciglio di piume vestito di solo quello.    I suoi non erano piani, ma disegni.La sua anima, pura, era la tela. Il suo cuore, il carboncino. Avrebbe voluto adorare quella figura leggiadra che una sola volta gli era stato fatto dono scorgere mentre lasciava abbeverare il cavallo a pochi metri da quel rifugio in legno, fluttuante. E dagli sguardi circospetti, bassi e irretiti degli uomini in bivacco. Mai alcuno, forestiero, nostrano, aveva osato avvicinarsi così tanto a quella creatura che di terreno aveva ben poco.   "Insolente...", pensò la fanciulla mentre osservava la scena affacciata dall'unica finestra. Col gomito urtò un barattolo di vetro, ma non se ne curò. Gli occhi erano ormai perduti, altrove.   << Non andartene, trova la chiave, tu puoi, tu... >>, questo, invece, disse tra sé e sé, mentre le iridi, pervinche, lo seguivano sellare il destriero, e risalendo la sponda, allontanarsi. E poi svanire, come un sogno quando ti ritrovi d'incanto a fissare il soffitto, a palpebre dischiuse, nel cuore della notte. Come quando pensi che forse, tutto quello che hai vissuto, presagito, non sia mai esistito. Si, forse è andata proprio così.   Eppure, quel barattolo di miele era ancora per terra, e rovesciato, profumava...M.(L'uomo dei difetti...)