L'uomo dei difetti

Chantal - un mese dopo.


 
      Chantal gli piombò alle spalle mentre sfilettava stoico il coregone che avrebbero desinato per cena, alla fiamma.     Un'occasione bramata e attesa fin troppo per il naso del commissario, per quel suo fiuto che nel taccuino dei sensi figura alla riga numero sei. E piovuta poi così, all'improvviso, quando pareva che nulla dovesse concretizzarsi.   La pasta fatta in casa già nell’acqua bollente e il pane nel forno, a tostare. Il Bellavista Saten al ghiaccio, il Vinnae di Silvio Jermann nella cantina climatizzata e il Barbaresco nel decanter, ma solo come rincalzo, perché con le donne non si sai mai.   Ah, be’... Questo il commissario lo aveva imparato. Le donne vanno, vengono, dicono che ti adorano e per suggellarlo spariscono, talvolta poi tornano con una storia neanche ben imbastita e, come da copione, pretendono tu ci creda. Perché le donne non hanno mai nulla da dimostrare. Le donne sono assiomatiche, le ami o cambi strada. Ah, le donne... Ebbene si, il commissario lo sapeva bene, con le donne, non si sa mai. Se solo avesse immaginato che tutta quella dedizione di lì a poco avrebbe assunto, dello strinato, forma ed effluvi…    Col braccio teso arrangiò l’indice della mano destra a mo’ d’una lancia affilata e glielo appuntò impettito al centro della schiena. Il commissario si voltò di scatto e se la trovò di fronte che lo fissava con lo sguardo a metà tra l’indispettito e il languido, e le mani a cingersi la vita. La crine bionda e lunga le scendeva da un lato fino alle reni, e dall’altro s’adagiava soffice sopra il vestito, davanti, lambendole il seno sinistro. La squadrò da capo a piedi, poi gli sfuggì un sorriso. Il commissario si mostrava divertito da quella presa di posizione, fortuita, stuzzicante.    La fanciulla si mordicchiò le labbra, le dischiuse e inquieta come un picchio, esordì secca:   << Hey, tu... Sì, dico proprio a te! Hai una grossa responsabilità, lo sai ? >> Gli occhi, cerulei e sgranati, come fari abbaglianti e predatori le si illuminarono d’incanto come a voler dire caro, adesso si fa sul serio. Proseguì rapida, senza indugi, quasi sfrontata:    << Quello che indosso è il vestito più brutto che ho e l’ho comprato per te! >> La fissa, da un angolo della bocca la lingua le spunta lenta, s'impenna, impertinente come un'onda lasciva batte il labbro superiore da parte a parte e poi pigra si ritira, lasciandolo vistosamente umettato. Fa una scorpacciata d'aria e pontifica: << Vediamo quanto ci metti a togliermelo dalla vista! >>    Il commissario tentennò. Non l’aveva ma veduta così meravigliosamente determinata. Ma il suo indugiare non era mancanza di intraprendenza. Affatto. Non stava perdendo tempo arrancando in quel silenzio, era il suo modo di contemplare il di lei splendore, in segretezza. Come se tutto d’un tratto, quello, fosse per assodato il segreto che mancava. Il collante che fissasse il prima al dopo. La sorgente dove abbeverasi, la carne dove nutrirsi. Avrebbe voluto annegare nell’estasi divampata dalla magia di quegli istanti per un poco ancora, ma la fanciulla inesorabile gli andò sotto coi denti stretti e sollevata lentamente una gamba gliela fece scorrere lungo il lino antracite del pantalone. Ginocchio contro ginocchio, ginocchio contro coscia, e a salire, tra le gambe. L’intento della fanciulla era cristallino. Non desiderava altro che egli s’accendesse, ma non d’un fuoco qualunque. Che lui la guardasse come se altra donna fosse mai esistita. Che lui la guardasse come lei lo guardava. Lo strattonò, si scostò di colpo e imperativa, con quanto fiato in gola, perentoria, gli disse: << Scopami! >> E si voltò di scatto lasciandolo a fissare le sue spalle nude e liberando nell'aria, maliziosamente, qualcosa a fil di labbra: << Sempre tu ne sia capace... >>    Il commissario con una mano spazzò via quanto ancora indugiasse sulla spianatoia in legno pregna di farina e residui di pasta. La trasse a sé, le fece scorrere le mani lungo le gambe, e il vestito, succinto, s’alzò di quel tanto che fosse bastato agli intenti della sua fantasia. La sollevò veemente e la liberò senza troppa cura sul pianale lasciandola seduta. Un brivido le percorse la spina dorsale allorquando le natiche impattarono sul faggio gelido e una nube commista di semola rimacinata e vaporosa doppio zero le si elevò tra le cosce, spargendosi ovunque, << Ho già veduto in sogno questa scena. Tu nella mia cucina, io che ti infarino, i miei denti forti a strapparti di traverso le mutandine e noi a fissarne la traiettoria mentre volano impazzite verso chissà dove… >>    Chantal strabuzzò gli occhi mordicchiandosi il pollice, si schiarì la voce e circondandogli il collo con le braccia gli fece scivolare in un orecchio: << Oh, Oh… Brutte notizie in arrivo… Carina davvero sta fantasia, ma… Credo proprio che sarà per la prossima volta... Peccato! >> Sorridendo maliziosa gli si strusciò col naso sulle labbra morbide lievemente dischiuse, prese a mordicchiarle, baciarle. Un bacio sapiente, a lenire irriverente, ogni morso. Adesso languida gli percorre le labbra turgide con la lingua, aspergendole. Mentre, smemorata, era intenta a seguirne per la terza volta i contorni, la preda divenuta predatore le inchioda la punta girovaga brandendola risoluta, con la bocca. La mantiene in scacco per quattro cinque secondi prima di rilasciarla alla legittima proprietaria ed esordisce: << La prossima volta ? Ma tu sei pazza… Per la prossima volta ho già in mente... >>, il commissario preferì non completare la frase, accostò il volto a quello di Chantal e le sigillò le labbra con uno di quei baci che narrano preludio, passione detonante e assodata complicità. Trattenne il suo corpo contro il proprio mentre al bacio s’arroventava, affannoso, il desiderio più tumido. Chantal gli slacciò i pantaloni che ormai avevano preso la più florida piega. Le fece scivolare una mano tra le gambe mentre con la bocca le lustrava il collo, << Ma… >>, accennò il commissario corrugando la fronte e ritraendo la mano. Chantal appariva divertita e s’abbandonò ad una risata senza freni, spontanea. Era realmente giubilante, serena. << Te l’avevo detto che sta fantasia te la dovevi scordare… Oggi ho dovuto fare un sacco di cose, il parrucchiere, le unghie… Mica potevo ricordarmi pure di indossare le mutandine! >>, scoppiarono a ridere.    Dissipata l’ilarità, Chantal precisò: << Che poi, “mutandine”... A dir la verità di solito porto il C-string… >>    << Porti il C che ? >>, rispose interrogativo il commissario. Ancor più divertita di prima, gli andò sotto un orecchio sussurrando: << Allora, vedo che la penna ce l’hai già, rimedia il quadernino e dalla prossima cominciamo le lezioni d’aggiornamento... >>.     Tra una battuta e l’altra la prese in braccio e raggiunsero la camera da letto senza nulla indosso. La adagiò sul giaciglio e si inginocchiò sopra di lei, contemplandone la bellezza. Le baciò il ventre sentendolo tremare sotto i colpi della sua lingua tracotante che tracciava  cerchi di diametro via via maggiore intorno all'ombelico. Le posò i pollici sui fianchi e cominciò a scendere con le labbra senza mai abbandonare la sua pelle. Gemette. Gridò. Gemette ancora e lo inchiodò al suo sesso intrecciandogli le gambe intorno al collo. L'avrebbe tenuto così per tutta la vita, ma scelse di liberarlo e con un guizzo gli salì sopra a cavalcioni guidando con una mano la tumida carne del commissario dentro di sé...     Rimasero a contemplare soffitto e lampadario in silenzio, giusto il tempo di riprendere il fiato. Naturalmente, lei fece per prima.    Chantal gli dice che lo ama. Il commissario le risponde: << Anch’io. >>   Il puzzo di bruciato dalla cucina comincia a diffondersi per tutta la casa.   Chantal pensa che stasera ceneranno fuori.  Il commissario pensa che è sposato...  M. (L'uomo dei difetti...)