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COMUNIONE SPIRITUALE
«Gesù mio, 
io credo che sei realmente presente 
nel Santissimo Sacramento.
Ti amo sopra ogni cosa 
e Ti desidero nell'anima mia. 
Poiché ora non posso riceverti 
sacramentalmente, 
vieni almeno spiritualmente 
nel mio cuore.
Come già venuto, 
io Ti abbraccio e tutto mi unisco a Te;
non permettere che mi abbia mai 
a separare da te con il peccato».

 

 
a.monte41 il 17/06/14 alle 22:45 via WEB
T'adoriam, Ostia divina, t'adoriam, Ostia d'amor: tu dell'angelo il sospiro, tu dell'uomo sei l'onor: T'adoriam, Ostia divina, t'adoriam Ostia d'amor. Tu dei forti la dolcezza, tu dei deboli il vigor, tu salute dei viventi, tu speranza di chi muor. Ti conosca il mondo e t'ami, tu la gioia d'ogni cuor; ave, o Dio nascosto e grande, tu dei secoli il Signor. .... Buona serata, amica
 

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Ascoltate oggi la voce del Signore: non indurite il vostro cuore.
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.

Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.

Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».Sal 94

La conversazione di Gesù con la Samaritana si svolge sul tema dell’“acqua viva”. Quest’acqua è indispensabile alla vita, e non è sorprendente che, nelle regioni del Medio Oriente dove regna la siccità, essa sia semplicemente il simbolo della vita e, anche, della salvezza dell’uomo in un senso più generale.
Questa vita, questa salvezza, si possono ricevere solo aprendosi per accogliere il dono di Dio. È questa la convinzione dell’antico Israele come della giovane comunità cristiana. E l’autore dei Salmi parla così al suo Dio: “È in te la sorgente della vita” (Sal 036,10). Ecco la sua professione di fede: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio” (Sal 042,2). La salvezza che Dio porta viene espressa con l’immagine della sorgente che zampilla sotto l’entrata del tempio e diventa un grande fiume che trasforma in giardino il deserto della Giudea e fa del mar Morto un mare pieno di vita (Ez 47,1-12). Gesù vuole offrire a noi uomini questa salvezza e questa vita. Per calmare definitivamente la nostra sete di vita e di salvezza. “Io, sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

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Creato da: PAOLA11O il 24/10/2013
IL VANGELO NEL 21° SECOLO

Messaggi di Ottobre 2016

 

I Santi

Post n°128 pubblicato il 31 Ottobre 2016 da PAOLA11O

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XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Post n°127 pubblicato il 23 Ottobre 2016 da PAOLA11O

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Domenica 23 ottobre 2016


Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 18,9-14

Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».


Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 Volume 8 Capitolo 523 pagina 184


Gesù esce dalla casa di Zaccheo. È mattina inoltrata. È con Zaccheo, Pietro e Giacomo di Alfeo. Gli altri apostoli sono forse già sparsi per la campagna per annunciare che il Maestro è in città. Dietro al gruppo di Gesù con Zaccheo e gli apostoli ve ne è un altro, molto... variato per fisionomie, età, vesti. Non è difficile dichiarare con sicurezza che questi uomini appartengono a razze diverse, forse anche antagoniste fra di loro. Ma gli eventi della vita hanno portato questi in questa città palestinese e li hanno riuniti perché dal loro profondo risalissero verso la luce.

Gesù sale sull’alto gradino di una casa, fa il gesto abituale, di aprire le braccia, che precede il suo parlare e serve ad imporre silenzio. Ottenutolo, raccoglie le pieghe del manto, apertosi sul petto nel gesto, e lo tiene fermo con la sinistra mentre abbassa la destra nell’atto di chi giura, dicendo:

«Ascoltate, o cittadini di Gerico, le parabole del Signore, e ognuno poi le mediti nel suo cuore e ne tragga la lezione per nutrire il suo spirito. Lo potete fare perché non da ieri, né dalla passata luna, e neppure dall’altro inverno, conoscete la Parola di Dio.

Prima che Io fossi il Maestro, Giovanni, mio Precursore, vi aveva preparato al mio venire e, dopo che lo fui, i miei discepoli hanno arato questo suolo sette e sette volte per seminarvi ogni seme che Io avevo loro dato. Dunque potete capire la parola e la parabola.

A che paragonerò Io coloro che, dopo essere stati peccatori, poi si convertono? Li paragonerò a malati che guariscono. A che paragonerò gli altri che non hanno pubblicamente peccato, o che, rari più di perle nere, non hanno fatto mai, neppur nel segreto, colpe gravi? Li paragonerò a delle persone sane.

Il mondo è composto di queste due categorie. Sia nello spirito che nella carne e sangue. Ma, se uguali sono i paragoni, diverso è il modo del mondo di usare coi malati guariti, che erano malati nella carne, da quello che esso usa coi peccatori convertiti, ossia coi malati dello spirito che tornano in salute.

Noi vediamo che quando anche un lebbroso, che è il malato più pericoloso e più isolato perché pericoloso, ottiene la Grazia di guarigione, dopo essere stato osservato dal sacerdote e purificato, viene riammesso nel consorzio delle genti, e anzi quelli della sua città lo festeggiano perché guarito, perché risuscitato alla vita, alla famiglia, agli affari. Gran festa in famiglia e in città, quando uno che era lebbroso riesce ad ottenere Grazia e a guarire!

Ma perché allora per gli altri malati non si fa così? Un uomo comincia a peccare, e famigliari e soprattutto concittadini lo vedono? Perché allora non cercano con amore di strapparlo al peccare?

Una madre, un padre, una sposa, una sorella ancora lo fanno. Ma è già difficile che lo facciano i fratelli, e non dico poi che lo facciano i figli del fratello del padre o della madre.

I concittadini, infine, non sanno che criticare, schernire, insolentire, scandalizzarsi, esagerare i peccati del peccatore, segnarselo a dito, tenerlo discosto come un lebbroso quelli che sono più giusti, farsi suoi complici, per godere alle sue spalle, quelli che giusti non sono.

Ma non c’è che ben raramente una bocca, e soprattutto un cuore, che vada dall’infelice con pietà e fermezza, con pazienza e amore soprannaturale, e si affanni a frenarne la discesa nel peccato. E come? Non è forse più grave, veramente grave e mortale la malattia dello spirito? Non priva essa, e per sempre, del Regno di Dio? La prima delle carità verso Dio e verso il prossimo non deve essere questo lavoro di sanare un peccatore per il bene della sua anima e la gloria di Dio?

E quando un peccatore si converte, perché quell’ostinatezza di giudizio su di lui, quel quasi rammaricarsi che egli sia tornato alla salute spirituale?

Vedete smentiti i vostri pronostici di certa dannazione di un vostro concittadino?

Ma dovreste esserne felici, perché Colui che vi smentisce è il misericordioso Iddio, che vi dà una misura della sua bontà a rincuorarvi nelle vostre colpe più o meno gravi. E perché quel persistere a voler vedere sporco, spregevole, degno di stare nell’isolamento, ciò che Dio e la buona volontà di un cuore hanno fatto netto, ammirevole, degno della stima dei fratelli, anzi della loro ammirazione?

Ma ben giubilate anche se un vostro bue, un vostro asino o cammello, o la pecora del gregge, o il colombo preferito guariscono da una malattia!

Ben giubilate se un estraneo, che appena ricordate a nome per averne sentito parlare al tempo in cui fu isolato perché lebbroso, torna guarito!

E perché allora non giubilate per queste guarigioni di spirito, per queste vittorie di Dio? Il Cielo giubila quando un peccatore si converte. Il Cielo: Dio, gli Angeli purissimi, quelli che non sanno cosa è peccare. E voi, voi uomini, volete essere più intransigenti di Dio?

Fate, fate giusto il vostro cuore e riconoscete il Signore non soltanto come presente fra le nuvole d’incenso e i canti del Tempio, nel luogo dove solamente la santità del Signore, nel Sommo Sacerdote, deve entrare, e dovrebbe essere santa come il nome lo indica. Ma anche nel prodigio di questi spiriti risorti, di questi altari riconsacrati, sui quali l’Amore di Dio scende coi suoi fuochi ad accendere il sacrificio».

Gesù viene interrotto dalla madre di prima, che con gridi di benedizione Lo vuole adorare. Gesù la ascolta e benedice e la rimanda a casa, riprendendo il discorso interrotto.

«E se da un peccatore, che un tempo vi ha dato spettacolo di scandalo, ricevete ora spettacoli di edificazione, non vogliate schernire ma imitare. Perché nessuno è mai tanto perfetto da essere impossibile che un altro lo ammaestri. E il Bene è sempre lezione che va accolta, anche se colui che lo pratica un tempo era oggetto di riprovazione.

Imitate e aiutate. Perché, così facendo, glorificherete il Signore e dimostrerete che avete capito il suo Verbo. Non vogliate essere come quelli che in cuor vostro criticate perché le loro azioni non corrispondono alle loro parole. Ma fate che ogni vostra buona azione sia il coronamento di ogni vostra buona parola. E allora veramente sarete guardati e ascoltati benevolmente dall’Eterno.

Udite quest’altra parabola, per comprendere quali sono le cose che hanno valore agli occhi di Dio. Essa vi insegnerà a correggervi da un pensiero non buono che è in molti cuori. I più degli uomini si giudicano da se stessi e, posto che solo un uomo su mille è veramente umile, così avviene che l’uomo si giudica perfetto, lui solo perfetto, mentre nel prossimo nota cento e cento peccati.

Un giorno due uomini, andati a Gerusalemme per affari, salirono al Tempio, come si conviene ad ogni buon israelita ogni qualvolta pone piede nella Città Santa. Uno era un fariseo. L’altro un pubblicano. Il primo era venuto per riscuotere il fitto di alcuni empori e per fare i conti con i suoi fattori, che abitavano nelle vicinanze della città. L’altro per versare le imposte riscosse e per invocare pietà in nome di una vedova che non poteva pagare la tassazione della barca e delle reti, perché la pesca, fatta dal figlio maggiore, le era appena sufficiente per dare da mangiare ai molti altri figli.

Il fariseo, prima di salire al Tempio, era passato dai tenutari degli empori e, gettato uno sguardo in essi empori, vistili pieni di merci e di compratori, si era compiaciuto in se stesso e poi aveva chiamato il tenutario del luogo e gli aveva detto: “Vedo che i tuoi commerci vanno bene”.

“Sì, per Grazia di Dio. Sono contento del mio lavoro. Ho potuto aumentare le merci e spero di farlo ancora di più. Ho migliorato il luogo, e l’anno veniente non avrò le spese dei banchi e scaffali, e perciò avrò più guadagno”.

“Bene! Bene! Ne sono felice! Quanto paghi tu per questo luogo?”.

“Cento didramme al mese. È caro, ma la posizione è buona...”.

“Lo hai detto. La posizione è buona. Perciò io ti raddoppio il fitto”.

“Ma signore”, esclamò il negoziante. “In tal maniera tu mi levi ogni utile!”.

“È giusto. Devo forse io arricchire te? E sul mio? Presto. O tu mi dai duemilaquattrocento didramme, e subito, o ti caccio fuori e mi tengo la merce. Il luogo è mio e ne faccio ciò che voglio”.

Così al primo, così al secondo e al terzo dei suoi affittuari, ad ognuno raddoppiando il prezzo, sordo ad ogni preghiera. E perché il terzo, carico di figli, volle fare resistenza, chiamò le guardie e fece porre i sigilli di sequestro, cacciando fuori l’infelice.

Poi, nel suo palazzo, esaminò i registri dei fattori, trovando di che punirli come fannulloni e sequestrando loro la parte che si erano tenuta di diritto.

Uno aveva il figlio morente, e per le molte spese aveva venduto una parte del suo olio per pagare le medicine. Non aveva dunque che dare all’esoso padrone.

“Abbi pietà di me, padrone. Il mio povero figlio sta per morire, e dopo farò dei lavori straordinari per rifonderti ciò che ti sembra giusto. Ma ora, tu lo comprendi, non posso”.

“Non puoi? Io ti farò vedere se puoi o non puoi”.

E, andato col povero fattore nel frantoio, lo privò anche di quel resto d’olio che l’uomo si era tenuto per il misero cibo e per alimentare la lampada che permetteva di vegliare il figlio nella notte.

Il pubblicano invece, andato dal suo superiore e versate le imposte riscosse, si sentì dire: “Ma qui mancano trecentosettanta assi. Come mai ciò?”.

“Ecco, ora ti dico. Nella città è una vedova con sette figli. Il primo solo è in età di lavorare. Ma non può andare lontano da riva con la barca, perché le sue braccia sono deboli ancora per il remo e la vela, e non può pagare un garzone di barca. Stando vicino a riva, poco pesca, e il pescato basta appena a sfamare quelle otto infelici persone. Non ho avuto cuore di esigere la tassa”.

“Comprendo. Ma la legge è legge. Guai se si sapesse che essa è pietosa! Tutti troverebbero ragioni per non pagare. Il giovinetto cambi mestiere e venda la barca se non possono pagare”.

“È il loro pane futuro... ed è il ricordo del padre”.

“Comprendo. Ma non si può transigere”.

“Va bene. Ma io non posso pensare otto infelici privati dell’unico bene. Pago io i trecentosettanta assi”.

Fatte queste cose, i due salirono al Tempio e, passando presso il gazofilacio, il fariseo trasse con ostentazione una voluminosa borsa dal seno e la scosse sino all’ultimo picciolo nel Tesoro. In quella borsa erano le monete prese in più ai negozianti e il ricavato dell’olio levato al fattore e subito venduto ad un mercante.

Il pubblicano invece gettò un pugnello di piccioli, dopo aver levato quanto gli era necessario al ritorno al suo luogo. L’uno a l’altro dettero perciò quanto avevano. Anzi, in apparenza, il più generoso fu il fariseo, perché dette fino all’ultimo dei piccioli che aveva seco. Però occorre riflettere che nel suo palazzo egli aveva altre monete e aveva crediti aperti presso dei ricchi cambiavalute.

Indi andarono davanti al Signore. Il fariseo proprio avanti, presso il limite dell’atrio degli Ebrei, verso il Santo; il pubblicano in fondo, quasi sotto la volta che portava nel cortile delle Donne, e stava curvo, schiacciato dal pensiero della sua miseria rispetto alla Perfezione divina. E pregavano l’uno e l’altro.

Il fariseo, ben ritto, quasi insolente, come fosse il padrone del luogo e fosse lui che si degnasse di ossequiare un visitatore, diceva:

“Ecco che sono venuto a venerarti nella Casa che è la nostra gloria. Sono venuto benché senta che Tu sei in me, perché io sono giusto. So esserlo. Però, per quanto sappia che soltanto per mio merito sono tale, ti ringrazio, come è legge, di ciò che sono.

Io non sono rapace, ingiusto, adultero, peccatore come quel pubblicano che ha gettato contemporaneamente a me un pugnello di piccioli nel Tesoro. Io, lo hai visto, ti ho dato tutto quanto avevo meco. Quell’esoso, invece, ha fatto due parti e a Te ha dato la minore. L’altra, certamente, la terrà per le gozzoviglie e le femmine.

Ma io sono puro. Non mi contamino io. Io sono puro e giusto, digiuno due volte alla settimana, pago le decime di quanto possiedo. Sì. Sono puro, giusto e benedetto, perché santo. Ricordatelo, o Signore”.

Il pubblicano, dal suo angolo remoto, senza osare di alzare lo sguardo verso le porte preziose dell’hecal e battendosi il petto, pregava così:

“Signore, io non son degno di stare in questo luogo. Ma Tu sei giusto e santo, e me lo concedi ancora perché sai che l’uomo è peccatore e, se non viene da Te, diviene un demonio. Oh! mio Signore! Vorrei onorarti notte e giorno, e devo per tante ore essere schiavo del mio lavoro. Lavoro rude che mi avvilisce, perché è dolore al mio prossimo più infelice. Ma devo ubbidire ai miei superiori, perché è il mio pane.

Fa, o mio Dio, che io sappia temperare il dovere verso i superiori con la carità verso i miei poveri fratelli, perché nel mio lavoro non trovi la mia condanna. Ogni lavoro è santo se operato con carità. Tieni la tua carità sempre presente al mio cuore perché io, miserabile qual sono, sappia compatire i miei soggetti, come Tu compatisci me, gran peccatore.

Avrei voluto onorarti di più, o Signore. Tu lo sai. Ma ho pensato che levare il denaro destinato al Tempio per sollevare otto cuori infelici fosse cosa migliore che versarlo nel gazofilacio e poi far versare lacrime di desolazione a otto innocenti infelici. Però se ho sbagliato fammelo comprendere, o Signore, e io ti darò fino all’ultimo picciolo, e tornerò al paese a piedi mendicando un pane.

Fammi capire la tua giustizia. Abbi pietà di me, o Signore, perché io sono un gran peccatore”.

Questa la parabola. In verità, in verità vi dico che, mentre il fariseo uscì dal Tempio con un nuovo peccato aggiunto a quelli già fatti avanti di salire al Moria, il pubblicano uscì di là giustificato, e la benedizione di Dio lo accompagnò a casa sua e restò in essa. Perché egli era stato umile e misericordioso, e le sue azioni erano state ancor più sante delle sue parole.

Mentre il fariseo solo a parole e all’esterno era buono, mentre nel suo interno era e faceva opere da satana per superbia e durezza di cuore, e Dio lo odiava perciò.

Chi si esalta sarà sempre, prima o poi, umiliato. Se non qui nell’altra vita. E chi si umilia sarà esaltato, specie lassù nel Cielo, ove si vedono le azioni degli uomini nella loro vera verità.

Vieni, Zaccheo. Venite voi che siete con lui. E voi, miei apostoli e discepoli. Vi parlerò ancora in privato». E, avvolgendosi nel mantello, torna alla casa di Zaccheo.


Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 
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Rimani Con Noi Signore

Post n°126 pubblicato il 21 Ottobre 2016 da PAOLA11O

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Domenica 16 ottobre 2016

Post n°125 pubblicato il 16 Ottobre 2016 da PAOLA11O

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C

Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di Lui.

 Dal Vangelo secondo Luca (Lc 18,1-8)

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di Lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la Fede sulla terra?». Parola del Signore


Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

La domanda posta da Gesù sull’esistenza della Fede nel mondo quando verrà nella gloria, ci interpella direttamente perché è questo il tempo in cui moltissimi cattolici si allontaneranno da Dio per diverse cause, a cominciare da una falsa percezione della realtà. Anche per una grande sicurezza in se stessi.

Senza una preghiera profonda, costante, fiduciosa, anche il migliore cattolico si perde per strada e intraprende un percorso falso.

La Fede non si perde perché si pecca, certo si indebolisce, ma con la Confessione e l’Eucaristia si può riprendere il cammino di Fede interrotto, anche se non con la stessa Fede di prima. Peccare con facilità non è mai un buon segnale, la causa è la mancanza di preghiera perché è essa ad alimentare la Fede.

Si cresce nella Fede quando la preghiera costante e umile è presente nel credente. La preghiera è il mezzo che ci permette di entrare in dialogo con l’Altissimo e la preghiera è vocale, mentale, contemplativa. Anche la vita deve diventare preghiera, desiderando quello che vuole Gesù.

Il credente che entra nella superiore dimensione spirituale, si distacca dalle cose del mondo e non se ne occupa più o con grande distacco.

Un esempio importante ci arriva da San Francesco d’Assisi.

Fino a circa venticinque anni amava la bella vita, si divertiva con tanti coetanei e non pensava a Gesù Cristo. Durante la guerra tra Assisi e Perugia venne fatto prigioniero e per un anno lesse e rilesse il Vangelo, l’unico libro disponibile. Si innamorò di Gesù Cristo.

Cominciò a sentire interiormente il fastidio delle cose materiali e si sforzava di allontanarli, ma nei primi periodi non gli riusciva facilmente. Varie circostanze lo indussero alla conversione definitiva e un giorno mentre andava a cavallo, vide un lebbroso per strada, con grande coraggio si fermò, scese e lo abbraccio.

Arrivò anche a mangiare nella scodella del lebbroso, senza curarsi del pus che fuoriusciva dalla sue piaghe infette. In questa circostanza il giovane Francesco provò gioie spirituali mai conosciute e di questa esperienza disse: “Quello che mi sembrava dolce divenne per me amaro, e quello che consideravo amaro divenne dolce”.

Raccontava anche particolari della sua vita: “Quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e feci misericordia con essi. E allontanandomi da loro, la mia vita si trasformò, mi fu cambiato in dolcezza dell’anima e del corpo”.

San Francesco ha raggiunto una santità inferiore a quella di San Giuseppe, per la sua umile, costante e devota preghiera. Così la Fede crebbe.

Il Vangelo oggi presenta due caratteristiche importanti del vero seguace di Gesù: l’importanza di pregare sempre, anche con la vita; come conseguenza della preghiera, la cura della propria Fede, la quale cresce se alimentata nei modi opportuni.

Non potrà mai aumentare la Fede senza la costante preghiera, c’è un collegamento vincolante tra Fede e preghiera, ed è indispensabile una preghiera devota, sincera, purificata. La preghiera favorisce la frequenza ai Sacramenti, si cercano con maggiore amore, interesse e devozione. È la preghiera a chiedere i doni dello Spirito Santo e a implorare aiuto e misericordia a Gesù.

Nel mondo non si riceve lo stipendio se non ci si reca al lavoro, tranne quelli che falsano ogni aspetto della loro vita. Soprattutto da Dio si riceve secondo giustizia, Lui ci dona quanto meritiamo. Il merito non lo valuta considerando l’aspetto esteriore ma dall’amore presente nel cuore del credente.

Dio Padre vuole ricolmarci di incalcolabili Grazie, ci sono però le condizioni adeguate che dobbiamo avere noi.

Gesù afferma che un genitore dona ciò che ha di meglio ai figli, quanto più donerà Dio verso ognuno di noi che chiede umilmente aiuto?

In questa parabola prende come esempio il ricorso al giudice da parte di una vedova molto debole che non riusciva ad ottenere giustizia. Ella mai avrebbe potuto ottenere giustizia, fu la sua insistenza a far ricredere il malvagio giudice e a concederle quanto le spettava.

“E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di Lui?”.

Questa è la via giusta quando riceviamo ingiustizie e da soli non siamo in grado di superarle. C’è Gesù Cristo che vince ogni cattiveria.

“Li farà forse aspettare a lungo?”.

Spesso al mancato arrivo di una Grazia si frappone la cattiveria dei nemici. Gesù potrebbe smuovere tutto ma rispetta la libertà delle persone, anche dei cattivi. Cosa occorre per demolire l’ostinazione dei cattivi? La preghiera devota e pura, senza idoli nel cuore, senza pensieri di grandezza nella mente.

“Io vi dico che farà loro giustizia prontamente”.

In mancanza di impedimenti esterni, Gesù ci aiuta in breve tempo, se trova comunque in noi le buone disposizioni.

Quando Gesù deve agire direttamente, senza l’opposizione delle persone cattive, è facilitata la sua opera. Se invece è la decisione di una persona a permettere l’ottenimento di qualcosa alla persona che prega, occorrerà forse più tempo, ma la preghiera fiduciosa riuscirà ad ottenere da Dio quanto necessita.

L’ultima affermazione del Vangelo di oggi è inquietante: “Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la Fede sulla terra?”.

Che sta succedendo adesso e cosa succederà prossimamente a moltissimi cattolici?

È stato detto che si allontaneranno dalla sana dottrina, dalla Fede autentica, perché seguiranno false dottrine e non avranno più desiderio di pregare. Non solamente gli idoli e i vizi li vinceranno, la loro Fede si spegnerà silenziosamente come una candela per la perdita della comunione con Gesù.

Non riusciranno più a venerare la Madonna e le loro preghiere saranno vuote, inutili.

Non sarà a causa della stanchezza nel pregare, infatti molti provano una certa stanchezza quando pregano per scrupolo o per dovere.

Arriveranno a non sentire più la necessità di pregare perché i loro cuori saranno ricolmi di interessi umani, opposti al Vangelo del Signore.

Questa società è orientata verso il soddisfacimento di ogni piacere umano, e rifiuta i consigli di Gesù, riguardo la necessità di rinunciare alla dipendenza dell’orgoglio e della superbia. Senza questo impegno spirituale, si finisce lentamente per spegnere la Fede, anche se molti credenti rimarranno illusi di fare tutto bene per la frequenza della Messa e per alcune preghiere recitate.

Ma senza Fede! Questa l’hanno perduta e non se ne sono accorti, l’hanno scambiata con i piacere del mondo, hanno preferito altro a Gesù.

Per rimanere sempre uniti a Gesù si deve allontanare tutto ciò che è orgoglio e volontà umana.

 
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Il Rosario

Post n°124 pubblicato il 06 Ottobre 2016 da PAOLA11O

La Vergine Del Rosario

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Regina Del Santo Rosario Prega Per Noi

La memoria del Rosario conduce il pensiero alle prime parole dell'Ave Maria: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te", che ripetiamo tante volte quando preghiamo il Rosario. E un modo di metterci alla presenza di Maria e nello stesso tempo alla presenza del Signore, perché "il Signore è con lei", di rimanere in maniera semplice con la Madonna, rivivendo con lei tutti i misteri della vita di Gesù, tutti i misteri della nostra salvezza.
Il racconto dell'annunciazione a prima vista ci presenta un solo mistero, ma se guardiamo bene vi si trovano tutti i misteri del Rosario: l'annunciazione, ma anche la visitazione, perché vi si nomina Elisabetta, e il Natale di Gesù: "Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù". Anche i misteri gloriosi sono annunciati: "Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore gli darà il trono di Davide suo padre... e il suo regno non avrà fine". E nella risurrezione e ascensione che Gesù riceve la dignità di re messianico, la gloria eterna nel regno del Padre. Dunque, misteri gaudiosi e misteri gloriosi. Sembra che manchino quelli dolorosi, ma troviamo anche quelli, non descritti, ma nel loro principio. Pensiamo alla risposta di Maria all'annuncio dell'Angelo: non è un grido di trionfo, ma una parola di umiltà: "Eccomi, sono la serva del Signore", che la mette in profonda consonanza con il Servo del Signore annunciato da Isaia, il Servo che sarà glorificato, ma prima umiliato, condannato, ucciso, "trafitto per i nostri delitti".
Maria sa, per ispirazione dello Spirito Santo, che i misteri gloriosi non possono avvenire senza passaggio attraverso l'obbedienza fiduciosa e dolorosa al disegno divino.
I misteri del Rosario sono una sola unità, ed è importante sapere che in ogni mistero gaudioso ci sono in radice tutti i misteri gloriosi e anche i dolorosi, come via per giungere alla gloria.
Chiediamo alla Madonna di aiutarci a capire profondamente l'unità del mistero di Cristo, perché esso si possa attuare nei suoi diversi aspetti in tutti gli eventi della nostra vita.
Mi piace riportare, a proposito della preghiera del Rosario, un piccolo testo che trovai anni fa in una rivista benedettina: "Dì il tuo Rosario dice Dio e non fermarti ad ascoltare gli sciocchi che dicono che è una devozione sorpassata e destinata a morire. Io so che cos'è la pietà, nessuno può dire che non me ne intendo, e ti dico che il Rosario mi piace, quando è recitato bene. I Padre Nostro, le Avemarie, i misteri di mio Figlio che meditate, sono Io che ve li ho dati. Questa preghiera te lo dico io è come un raggio di Vangelo, nessuno me la cambierà. Il Rosario mi piace dice Dio semplice e umile, come furono mio Figlio e sua Madre...".
Rinnoviamo, se è necessario, la nostra stima per il Rosario. Certo, bisogna pregarlo con rispetto, ed è meglio dirne due decine senza fretta che cinque di corsa. Ma detto con tranquillità è un modo di essere in compagnia di Maria alla presenza di Gesù.

 
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I MESSAGGI PIU' BELLI

Grazie Paola...se la Pace di Gesù regna nel nostro cuore, allora diventiamo portatori di Pace, diventiamo operatori di Pace. Portare la Pace significa portare Gesù nel nostro cuore, ed in questo modo diventiamo come Gesù. Gesù è il figlio di Dio, noi diventiamo figli di Dio! 

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VIENI E SEGUIMI

SE ASCOLTATE OGGI
LA  VOCE DEL SIGNORE
NON INDURITE
I VOSTRI CUORI
 VIENI SPIRITO SANTO
VIENI SPIRITO DI PACE
VIENI SPIRITO D'AMORE
Vieni a sostituire questo nostro cuore di pietra, cambia questo cuore in un cuore di carne. Fa che si apre e riempia d'amore il prossimo, fammi accettare le diversità, quelle persone che non la pensano come me. Fa si che dalle mie labbra escono solo parole dettate da te non dalla mia umanità, dal mio sapere. Fa si che riesca a tirare furi tutto ciò di positivo che tu mi hai donato nel corso di questi anni. Fa che una parte dell'amore che tu mi dono lo riesca a donare ai fratelli meno fortunati che non conoscono la luce di Cristo. Che la luce di nostro Signore Gesù riesca sempre ad illuminare il nostro percorso di vita.


 

Quando pensi di aver toccato il fondo e che nessuno ti voglia o ti ami più, Dio si fa uomo per incontrarti, Gesù ti viene accanto.

 

 

 

 

 

 

 


LA CROCE
Quando io nacqui,
mi disse una voce:
“Tu sei nato
a portar la tua croce”.
Io piangendo
la croce abbracciai,
che dal cielo
donata mi fu;
poi, guardai,
guardai, guardai...
tutti portan
la croce quaggiù.
Vidi un re
tra baroni e scudieri
sotto il peso
di cupi pensieri;
e al valletto
che stava alla porta
domandai:
a che pensa il tuo re?
mi rispose:
la croce egli porta,
che il Signore
col trono gli dié !
Vidi un giorno
tornare un soldato
dalla guerra
col braccio troncato:
perché mesto,
gli chiesi, ritorni?
non ti basta
la croce di onor?
ei rispose:
passaro i miei giorni,
altra croce
mi ha dato il Signor.
Vidi al letto
del figlio morente
una ricca signora
piangente,
e le dissi;
dal cielo conforto
d’altri figli
a te, o donna, verrà...
mi rispose:
contenta mi porto
quella croce
che il Cielo mi dà
Vidi un uomo
giulivo nel volto,
in mantello di seta
ravvolto,
e gli dissi:
a te solo, o fratello,
questa vita
è cosparsa di fior?
non rispose,
ma aperse il mantello...
la sua croce
l
’aveva nel cor.
Più e più allor
mi abbracciai la fatica,
ch’è la croce
dei poveri amica.
Del mio pianto
talor la bagnai;
ma non voglio
lasciarla mai più.
O fratelli,
guardai e guardai...
tutti portan
la croce quaggiù.

 

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Salmo 34, 12-23
[12]
VENITE, FIGLI, ASCOLTATEMI;  V’INSEGNERO’ IL TIMORE DEL SIGNORE.
 
[13]C'è qualcuno che desidera la vita
e brama lunghi giorni per gustare il bene? 

 
[14]Preserva la lingua dal male,
le labbra da parole bugiarde.
[15]Stà lontano dal male e fà il bene,
cerca la pace e perseguila. 

 
[16]Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
[17]Il volto del Signore contro i malfattori,
per cancellarne dalla terra il ricordo. 

 
[18]Gridano e il Signore li ascolta,
li salva da tutte le loro angosce.
[19]Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito,
egli salva gli spiriti affranti. 

 
[20]Molte sono le sventure del giusto,
ma lo libera da tutte il Signore.
[21]Preserva tutte le sue ossa,
neppure uno sarà spezzato. 

 
[22]La malizia uccide l'empio
e chi odia il giusto sarà punito.
[23]Il Signore riscatta la vita dei suoi servi,
chi in lui si rifugia non sarà condannato. 
 

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" Signore, da chi andremo .
Tu hai parole di vita terna ! "
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