Le mie montagne

La discriminazione delle persone con disabilità


Dopo la stesura del contributo dal titolo “Tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazione: commento alla legge”1, si avverte l’esigenza di fornire – ai familiari, al mondo dell’associazionismo a tutela delle persone con disabilità e, per certi versi, anche agli operatori del diritto – una guida operativa di facile e veloce consultazione sul tema.Insieme, infatti, al precedente commento teorico della legge N° 67/06 – magari più utile per gli operatori giudiziari e per coloro i quali si avvicinano al tema con un “taglio giuridico” – risulta necessaria una guida operativa ed esemplificativa che manifesti: per un verso, le condizioni e le situazioni di potenziale (o conclamata) discriminazione della persone con disabilità;per altro verso le modalità e le operazioni da compiere a tutela e sanzione della discriminazione subita.Prima di concentrarci sul tema, occorre un’analisi di costume sociale.La legge N° 67/06 rappresenta un forte riconoscimento di tutela delle persone con disabilità.Essa – come si è già riferito – è il frutto dell’adesione del nostro Paese a principi e direttive comunitarie in tema di “non discriminazione” e di tutela delle persone fragili. D’altra parte il testo normativo risulta essere il naturale proseguimento della disciplina emanata nel 1999 in tema di diritto al lavoro dei disabili e della loro tutela dalla discriminazione nel mondo del lavoro.Ciò detto, purtroppo, si avverte una certa “preoccupazione” (se non persino ritrosia) verso il concetto di discriminazione anche da parte delle stesse persone con disabilità (potenziali beneficiari).Visto che, infatti, dal 2006 (data di promulgazione della legge) ad oggi, nessun provvedimento dell’autorità giudiziaria risulta emanato ai sensi di questa normativa, mi risulta difficile credere (pur augurandomelo) che nessuna persona con disabilità sia stata mai vittima di discriminazione negli ultimi due anni.Dire, sapere o denunciare di essere stati discriminati, insomma, pare che determini nella persona con disabilità (e nei suoi familiari) la stessa preoccupazione e ritrosia che determinava nella donna il denunciare la violenza sessuale subita (ritrosia e timori di stigmatizzazioni sociali che, con il tempo, per fortuna, si sono affievoliti).Subire una discriminazione non è colpa di un modo di essere della vittima, ma meschinità di un modo di fare del soggetto agente colpevole. E se non si denuncia (anche in senso atecnico) la violenza subita, non può pretendersi che simili fatti vengano stigmatizzati e puniti dalla società. Se la società non conosce, se le Istituzioni non vengono avvertite, non può diffondersi una sovrastruttura di pensiero, un moto popolare di rivalsa e di sanzione verso il meschino atto di cui si è rimasti vittima incolpevoli.Insomma, non è corretto discriminarsi (due volte) nel sottacere la condotta discriminatoria subita senza rivendicarne tutela e pretenderne sanzione. E non già per spirito di vendetta, ma per quello più profondo e democratico di “giustizia”.