Le mie montagne

Ode alla primavera


IL PASSERO SOLITARIO D'in su la vetta della torre antica,Passero solitario, alla campagnaCantando vai finchè non more il giorno;Ed erra l'armonia per questa valle.Primavera dintornoBrilla nell'aria, e per li campi esulta,Sì ch'a mirarla intenerisce il core.Odi greggi belar, muggire armenti;Gli altri augelli contenti, a gara insiemePer lo libero ciel fan mille giri,Pur festeggiando il lor tempo migliore:Tu pensoso in disparte il tutto miri;Non compagni, non voli,Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;Canti, e così trapassiDell'anno e di tua vita il più bel fiore.  Oimè, quanto somigliaAl tuo costume il mio! Sollazzo e riso,Della novella età dolce famiglia,E te german di giovinezza, amore,Sospiro acerbo de' provetti giorni,Non curo, io non so come; anzi da loroQuasi fuggo lontano;Quasi romito, e stranoAl mio loco natio,Passo del viver mio la primavera.Questo giorno ch'omai cede la sera,Festeggiar si costuma al nostro borgo.Odi per lo sereno un suon di squilla,Odi spesso un tonar di ferree canne,Che rimbomba lontan di villa in villa.Tutta vestita a festaLa gioventù del locoLascia le case, e per le vie si spande;E mira ed è mirata, e in cor s'allegra. Io solitario in questaRimota parte alla campagna uscendo,Ogni diletto e giocoIndugio in altro tempo: e intanto il guardoSteso nell'aria apricaMi fere il Sol che tra lontani monti,Dopo il giorno sereno, Cadendo si dilegua, e par che dicaChe la beata gioventù vien meno.  Tu solingo augellin, venuto a seraDel viver che daranno a te le stelle,Certo del tuo costumeNon ti dorrai; che di natura è fruttoOgni nostra vaghezzaA me, se di vecchiezzaLa detestata sogliaEvitar non impetro,Quando muti questi occhi all'altrui core,E lor fia voto il mondo, e il dì futuroDel dì presente più noioso e tetro,Che parrà di tal voglia?Che di quest'anni miei? Che di me stesso?Ahi pentiromi, e spesso,Ma sconsolato, volgerommi indietro. 
Il canto risulta scritto da Leopardi nel 1831, ma progettato fin dal 1819-1820. Sebbene Il Passero Solitario sia stato scritto dal poeta in età avanzata, compare all'interno dei Canti fra i componimenti della prima giovinezza; il canto appartiene infatti per origine remota alla giovineza del poeta, e di quella giovinezza ne era una rievocazione comprensiva e affettuosa. La prima stanza è una descrizione delle abitudini di vita del passero solitario, in essa troviamo una prima descrizione del passero come colui che mira il modo di vivere gioiosamente la primavera, la gioventù, degli altri animali; egli invece canta e pensoso rimane in disparte: fin da questo punto è ben evidente la similitudine con la vita del giovane poeta che potremo vedere descritta nella seconda stanza. Il paragone tra la condizione dell'animale e quella dell'uomo è invece ripreso nella terza stanza; ormai è passata la gioventù, il passero che ha vissuto secondo natura non si duole della sua vita, mentre il poeta si chiede cosa nè è stato della propria. Interessante è notare come anche la vecchiaia e la morte in quest'ottica hanno espressioni ben differenti: per il passero essa non è nient'altro che la sera del giorno che le stelle gli hanno concesso, mentre per il Leopardi essa è la detestata soglia che si cerca di evitare. Si può in ultima analisi notare un paragone tra la vita del passero priva di coscienza e memoria è quindi incapace di nostalgiche riflessioni, e quella del poeta al contrario straordinariamente ricca di emozioni lasciate, non vissute e quindi rimpiante.