L'essenza dell'Anima

Leggete e fatevi un'idea....


Riporto un articolo del Corriere della Sera...dove è chiarissima l'idea del relativismo di cui parla Benedetto XVI. Vedete??? E' proprio questo modo di pensare..che si camuffa di un'idea di bene... ma sotto sotto, c'è la volontà di mettersi al posto di Dio. Non c'è una Verità oggettiva, c'è la "mia verità"...quello che penso sia giusto fare in un dato momento...Chi può decidere della vita o della morte? SOLO DIO! Chi ha deciso della nostra esistenza? Forse noi?.....Solo Dio. «Io, medico, ho staccato la spina» Eutanasia, confessione choc di una dottoressa trevigiana. Non sarebbe l'unico caso: «L'abbiamo fatto 5 o 6 volte» TREVISO - In un momento in cui tengono banco il dibattito sul testamento biologico, il dramma di Eluana Englaro da diciassette anni costretta ad una vita vegetale dalla legge, il fermo no della Chiesa a ogni forma di eutanasia, si scopre che in Veneto a più di un paziente senza speranza i medici, d'accordo con i familiari, avrebbero interrotto le terapie. L'ha rivelato, in una drammatica testimonianza pubblica, la dottoressa Nadia Battajon, che lavora nel reparto di Patologia Neonatale dell'ospedale Ca' Foncello di Treviso. «Noi ci troviamo spesso ad affrontare il dramma di dover dire a una mamma, a dei genitori, che per il loro bambino non c'è più niente da fare — ha raccontato il medico — e non è facile. Di fronte a situazioni irrecuperabili ci chiediamo: ma ha veramente senso continuare le cure? Racconto un caso recente, di un neonato affetto da gravissime malformazioni e, a soli cinque giorni di vita, operato ma ugualmente senza alcuna prospettiva di ripresa. A quel punto noi dell'équipe ci siamo guardati e ci siamo detti: non possiamo fare più niente per lui, che significato ha proseguire le terapie?». LA TESTIMONIANZA - Con l'angoscia nella voce, la dottoressa Nadia ha proseguito il racconto, di fronte a una platea improvvisamente ammutolita. «A quel punto abbiamo chiamato nella stanza i genitori, abbiamo spiegato la situazione, dicendo che non aveva più senso quello che stavamo facendo. Loro hanno capito. Abbiamo chiesto se, prima di dirgli addio, la mamma volesse prendere in braccio il suo bambino. Il piccolo era attaccato alle macchine. La madre in un primo momento ha risposto che non se la sentiva, poi però, nel momento cruciale ha cambiato idea. L'ha preso, si è seduta sulla poltrona della camera tenendolo in grembo e noi, piano piano, abbiamo bloccato la somministrazione dei farmaci. Il bimbo — ha ricordato la Battajon — è morto tra le braccia della mamma, nella tranquillità del reparto. Lo abbiamo già fatto cinque o sei volte, per casi disperati». Poi l'unico momento di ripensamento: «Pensate a cosa accadrebbe se la notizia uscisse di qui e arrivasse alla stampa». LEGGE ED ETICA - In un caso del genere si potrebbero configurare delle responsabilità penali, anche in caso di consenso dei genitori e di preciso rendiconto di quanto avvenuto nella cartella clinica del paziente. «L'articolo 32 della Costituzione impone la tutela della salute, quindi della vita — spiega l'avvocato vicentino Giovanni Gozzi, penalista ed esperto di bioetica —. Secondo la stessa Carta nessuno può disporre della vita altrui, nemmeno i genitori, a meno che non sia una legge a disporlo. Ma una simile norma non esiste, quindi il consenso dei genitori non vale niente, non assolve dalle proprie responsabilità chi interrompe le cure ad un malato. Un soggetto che compie tale gesto può essere indagato per omicidio volontario». Almeno finchè non diventerà norma uno dei dieci disegni di legge in elaborazione riguardante la possibilità di redigere un testamento biologico, e relative fattispecie. «Quella del testamento biologico è una sfida importante — riflette Camillo Barbisan, presidente del Comitato di bioetica dell'Usl 9 di Treviso e all'oscuro, prima di ieri, di quanto rivelato dalla dottoressa Nadia —. Anche perchè è difficile immaginare oggi quello che vorremmo domani. Bisogna aprire un grande dibattito. La percezione di sè che ognuno ha, si esprime liberamente in tanti aspetti della vita, anche nelle cure. Bisogna allora fare in modo che l'autonomia del malato si accordi con il medico, cercando la giusta soluzione alla sua malattia. Anche prendendo in considerazione l'ipotesi di non fare più nulla, se il paziente ritiene che le terapie cui è sottoposto non siano confacenti alla propria visione di vita. Ma è una questione molto delicata, da trattare con grande attenzione». L'ESPERIENZA - Elisabetta Ruzzon, in qualità di presidente padovana dell' «Associazione Pulcino» (segue i prematuri) ha una grande esperienza di bambini gravissimi ricoverati in Patologia Neonatale. «E' molto difficile che i genitori chiedano al medico di lasciar morire il figlio, anche se la situazione è disperata — confida —. In quel caso, c'è un consulto con i sanitari e se proprio non c'è alcuna possibilità di ripresa del piccolo, si sceglie di accompagnarlo alla morte, che però deve avvenire in modo naturale. Di solito con arresto cardiocircolatorio. Io non ho mai visto dottori interrompere l'erogazione di farmaci. Al massimo, evitano di rianimare per l'ennesima volta un bimbo ormai alla fine, perchè sarebbe crudele accanirsi con terapie invasive al solo fine di procurargli nuove e inutili sofferenze».